Il board del Fondo monetario internazionale deciderà oggi se includere lo yuan nel proprio paniere di valute. L’accesso tra i Diritti speciali di prelievo è considerato un punto di svolta nel processo di internazionalizzazione della moneta cinese, in particolare perché sosterrà le riforme. Ma gli effetti non saranno nell’immediato. I tempi sembrano ormai maturi per l’ingresso dello yuan nel paniere di valute del Fondo monetario internazionale. Incassato nelle scorse settimane il parere favorevole dei tecnici dell’Fmi, l’ok all’inclusione della valuta cinese tra i Diritti speciali di prelievo (Dsp) dovrebbe arrivare nella riunione del board dell’organizzazione multilaterale in agenda oggi.
Il possibile via libera è considerato un punto di svolta nel processo di internazionalizzazione dello yuan. Pechino gode della maggioranza affinché questo avvenga e per i tecnici lo yuan soddisfa il requisito di essere "liberamente utilizzabile". Il che, spiega Julien-Pierre Nouen economista di Lazard Freres Gestion, non vuol dire che le autorità cinesi lo renderanno totalmente fluttuante, ma vorranno mantenere un certo controllo sul conto corrente e evitare eccessiva volatilità sul tasso di cambi. Nella pratica, però, cosa cambierà da domani, anche considerato che il nuovo paniere sarà operativo da ottobre 2016?
L’ingresso in sé tra le valute Fmi non avrà un impatto dirompente, dice l’analista di Union Bancaire Privé, Koon Chow. Tuttavia "incoraggerà la dirigenza cinese a continuare le riforme per dimostrare di essere all’altezza delle responsabilità di essere parte dei Dps. Le riforme serviranno alla stabilità dei mercati finanziari globali". Il traguardo risponde quindi a un imperativo per la dirigenza riassunto nell’espressione «ce lo chiede il mondo».
L’approdo dello yuan nei Dsp assieme a dollaro, euro, sterlina e yen, "avrà inizialmente un impatto positivo nell’atteggiamento degli investitori verso la Cina, perché darà loro il segnale che il renminbi (altro nome della valuta cinese) è un asset sicuro". L’ingresso dovrà garantire che non ci sarà mancanza di liquidità in yuan, anche in prospettiva dell’ obiettivo nel lungo periodo di diventare una valuta di scambio concorrente al dollaro. Che per il momento, aggiunge Nouen, resterà "il riferimento per il commercio mondiale dominerà la composizione delle riserve di cambio".
Meno rilevante è forse l’aspetto di prestigio politico. I Dps sono una sorta di gotha delle valute, ma farne parte non è condizione necessaria per dare lustro alla valuta, come dimostra il peso internazionale del franco svizzero, che appunto non è nel paniere. Ma proprio per via della sfida alla supremazia della moneta verde, il tema dei Dps come fulcro di un futuro sistema sarà però nell’agenda del G20 che i cinesi ospiteranno l’anno prossimo.
Intanto la Banca Centrale Europea e la People’s Bank of China hanno annunciato giovedì di essere pronte a effettuare operazioni di swap valutario. I test condotti dai due istituti centrali ad aprile e a novembre hanno dato esito positivo. La riuscita delle prove sulle capacità operative nell’abito dell’accordo triennale siglato a ottobre 2013, che prevede un ammontare massimo di 350 miliardi di yuan e 45 miliardi di euro, non comporta però l’attivazione automatica dello swap.
Nell’ambito dei due test, che hanno coinvolto un limitato numero di controparti sia cinesi sia all’interno dell’Eurosistema, Bce e PboC hanno fornito l’un l’altra somme simboliche di euro e yuan. L’accordo servirà a garantire liquidità su entrambi i mercati, così da mantenere la stabilità finanziaria, e a favorire sia gli scambi commerciali sia gli investimenti bilaterali. In particolare, lo swap valutario aiuterà gli istituti finanziari a far fronte a carenze improvvise e temporanee di fondi in valuta estera. In questo caso garantirà alle banche europee disponibilità di yuan.
Dal 2009 l’istituto guidato dal governatore Zhou Xiaochuan ha siglato accordi di swap con 32 controparti. Il valore complessivo supera i 3 mila miliardi di yuan, pari a 455 miliardi di euro. Di recente la PboC ha rinnovato l’accordo con la Turchia e soprattutto, in occasione della visita in Gran Bretagna del presidente cinese Xi Jinping, ha esteso per altri tre anni quello con la Bank of England portandone il valore da 200 a 350 miliardi yuan. Londra d’altra parte punta a diventare uno degli hub del processo di internazionalizzazione della valuta cinese.
[Scritto per MF-Milano Finanza]