Al secondo tentativo, l’Assemblea nazionale approva la mozione di messa in stato d’accusa del presidente conservatore. I poteri passano al premier, in attesa della decisione della Corte costituzionale. Ma la società civile, intanto, ha vinto
“Mi faccio temporaneamente da parte, ma non mi arrenderò”. Sembra quasi vivere su un altro pianeta, Yoon Suk-yeol. L’Assemblea nazionale ha appena approvato la mozione di impeachment contro il presidente che imposto la prima legge marziale dell’era democratica della Corea del sud. Le gelide strade di Seul ribollono di entusiasmo. Le oltre 200 mila persone che stavano aspettando il verdetto di fronte al parlamento esultano. “Con tutto l’incoraggiamento e il sostegno che mi date, farò del mio meglio fino all’ultimo momento per la nazione”, dice ancora l’ex procuratore di giustizia, conservatore e misogino. Il riferimento è evidentemente alle circa 30 mila persone che si sono radunate a Namdaemun con bandiere della Corea del sud e degli Stati uniti, chiedendo l’arresto di Lee Jae-myung del Partito democratico, leader dell’opposizione. Ma è proprio grazie alla stragrande maggioranza della società civile, anche quella non simpatizzante dei progressisti, che il secondo voto sull’impeachment è andato diversamente dal primo.
Sabato scorso, i deputati del Partito del potere popolare avevano lasciato l’aula, impedendo il raggiungimento del quorum. Dopo una settimana di proteste e scioperi, hanno capito che i calcoli di convenienza politica non potevano dare risultati positivi. Avevano pensato a un commissariamento a tempo, per arrivare alle dimissioni nei prossimi mesi. Un modo per prendere tempo e creare problemi a Lee, che è in attesa del processo d’appello per un’accusa di dichiarazioni false durante la campagna elettorale del 2022. A mandare in fumo i piani del leader del partito di governo, Han Dong-hoon, è stato lo stesso Yoon, che con il discorso alla nazione di giovedì ha respinto l’ipotesi delle dimissioni e ha addirittura rivendicato la legittimità della legge marziale come “atto di governo necessario” di fronte al “sabotaggio parlamentare” dell’opposizione. Il partito ha deciso di presentarsi in aula, pur senza appoggiare ufficialmente l’impeachment. Servivano almeno otto voti della maggioranza per la messa in stato d’accusa: ne sono arrivati 12, con 85 contrari. Subito dopo l’annuncio dell’approvazione della mozione, in strada sono esplosi i festeggiamenti, tra lacrime di gioia, musica, le simboliche candele e i bastoncini luminosi in stile K-pop.
I poteri di Yoon sono stati immediatamente sospesi e trasferiti al premier Han Duck-soo, che diventa presidente ad interim. Non c’è ancora la parola fine, perché bisogna aspettare la Corte costituzionale, chiamata a confermare la destituzione di Yoon entro 180 giorni. Nel caso arrivi la conferma, saranno indette elezioni presidenziali anticipate entro due mesi dalla sentenza. Nei due precedenti processi di impeachment di presidenti, i pronunciamenti sono arrivati in realtà nel giro di tre mesi. Ma stavolta c’è un problema. Mancano tre dei nove giudici della corte, che il parlamento è ora chiamato a nominare, con la necessaria conferma del presidente ad interim. Un processo che oltre al rischio di un allungamento dei tempi potrebbe anche porre qualche dubbio sulla sua legittimità.
Nel frattempo, andranno avanti le inchieste giudiziarie. Yoon, accusato di insurrezione e abuso di potere, non può viaggiare all’estero dopo che gli è stato confiscato il passaporto. L’ex ministro della Difesa e suo fedelissimo, Kim Yong-hyun, ha tentato qualche giorno fa di impiccarsi in cella, dove si trova per l’accusa di tradimento. Ieri, il parlamento ha approvato anche un disegno di legge che impone un’indagine speciale sulla first lady, Kim Keon-hee, accusata tra le altre cose di manipolazione di azioni e interferenza nelle nomine elettorali. Non si tratta di un dettaglio di poco conto. Tra i principali ingredienti della frustrazione che ha portato Yoon all’abnorme azzardo della legge marziale c’era anche il desiderio di proteggere la moglie da questa indagine speciale, su cui aveva peraltro imposto tre volte il veto presidenziale. Stavolta non potrà più farlo. La Corea cerca di capire il suo futuro, ma pare difficile che Yoon possa farne parte.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.