B. chiede di rimanere anonimo. Lui è un han, nato a Urumqi, ora a è a Pechino. La sua famiglia vive là: dalle telefonate con parenti e amici, B. ha tratto una versione dei fatti grave, di forte tensione, latente. Non è un tipo che passa inosservato: dreadlocks, tatuaggi in ogni parte del corpo. Sul braccio sinistro ha una bandiera rasta, il cui rosso termina con un nuovo tatuaggio, la bandiera cinese. Sull’avambraccio, a osservare il tutto, il volto serioso di Deng Xiao Ping, il piccolo uomo che ha cambiato il volto della Cina: dal maoismo all’apertura, le riforme e lo sviluppo di zone come quella del Xinjiang, fino ad allora poverissima e arretrata.
B. non è timido, parla rapidamente. Un mese fa è stato ad Urumqi e si è fatto un’idea: la situazione non gli era parsa per niente tranquilla. La sua posizione è simile alla maggioranza dei cinesi ed è per lo più concorde con la versione governativa. Giusto o sbagliato, rimane il fatto che in Cina, grazie ad un video trasmesso dalla Cctv, il governo ha convinto tutti. Segno che il conflitto è latente e non nasce solo nell’ultima settimana. E B., per capire lo sfondo sociale cinese, può essere considerato a tutti gli effetti un outsider, perfino nella metropoli pechinese. Non è certo il prototipo dell’integrato, eppure quando si parla di Cina, la sua posizione è perfettamente lineare.
Che idea ti sei fatto delle giornate di Urumqi?
Intanto bisogna sapere che la città è da tempo divisa: a sud ci sono gli uighuri a nord gli han, anche se naturalmente poi ci sono delle zone miste. Io ho chiamato subito a casa, gli amici. Nei giorni successivi a volte non si riusciva a prendere la linea, ma quanto è successo è piuttosto chiaro, specie se lo ascolti da chi ha visto cosa è accaduto.
Che informazioni hai avuto?
Domenica le cose sono andate in questo modo: nel primo pomeriggio un gruppo di uighuri si è radunato, erano circa duecento persone. La polizia è andata là, erano nel quartiere musulmano, e ha invitato la gente, semplicemente, a disperdersi, andarsene a casa. Nella serata però le persone radunate erano diventate più di mille, si sono iniziate a muovere. Pare fossero indemoniati e hanno ucciso e massacrato qualsiasi han gli capitasse davanti, donne, bambini, vecchi. Il secondo giorno, si sono formati piccoli gruppi di uighuri, sono andati anche nel quartiere han.
Questa è anche la versione del Governo cinese…
Sì, ma sono informazioni che arrivano da là. Mi hanno raccontato che alcuni uighuri si sono anche procurati i vestiti della polizia. Bussavano alle porte degli han, questi aprivano e loro entravano massacrando chiunque. E’ normale che gli han si siano incazzati: gli uighuri hanno distrutto tutto, pure le loro strutture, i loro locali. Certo, bisogna specificare che non tutti gli uighuri sono così. So che alcuni di loro hanno aiutato degli han a nascondersi, a evitare di essere presi e massacrati. Il terzo giorno gli han, ovviamente, sono andati per strada a vendicarsi. Per questo secondo me i morti sono di più di quanto dicano le stime ufficiali, ma la maggioranza dei morti è sicuramente han.
Secondo te da dove nasce quest’odio?
Non c’è solo la vicenda del Guandong. Ci sono altri motivi. Ad esempio la miliardaria, Rebiya Kadeer. Io mi ricordo quando arrestarono suo marito. I nostri famigliari e le persone adulte dicevano che c’era lei dietro ad ogni attentato terroristico. Secondo me anche in questo caso c’è il suo zampino. Ne sono certo. Altrimenti non si spiega questo massacro. Gli uighuri da tempo commettono atti di terrorismo, tutti i controlli che bisogna fare in aeroporto, in ogni luogo pubblico, dipendono dal fatto che gli uighuri hanno compiuto attentati.
Ma quando parli degli uighuri responsabili delle violenze, di chi stai parlando? Chi sono? Operai, commercianti, giovani?
Disoccupati e delinquenti, criminali che si sono fatti lavare il cervello dagli uighuri all’estero.
Lo sviluppo economico in tutto questo come incide sulla recrudescenza dei rapporti? Pensi ci sia una causa?
La loro vita sta cambiando, ma forse loro non vogliono questo cambiamento. Questa può essere una spiegazione. Forse si tratta di uno sviluppo che non vogliono. Ma questa cosa vale anche per chi come noi è cresciuto là. Neanche noi abbiamo i soldi. Guarda me! Sono qui a Pechino, senza lavoro, vivo grazie al fatto che suono in alcuni gruppi, faccio rock. Lo sviluppo non arricchisce tutti. Il governo cinese sta impiegando forze e risorse là, e forse agli uighuri questa cosa non interessa, non la vogliono. La nostra cultura è diversa dalla loro. Lo sviluppo doveva essere veloce, parecchia gente dal sud della Cina negli anni 80 è andata là e si è messa a commerciare e sviluppare la regione. Uno sviluppo che si è ripercosso anche su di loro, gli uighuri. Loro secondo me però non hanno cultura, non studiano, non gli interessa il progresso. La questione è che non hanno proprio una mentalità imprenditoriale.
Come può uno straniero capire cosa è successo?
Sinceramente non lo so neanche io come interpretare quanto successo, figurati se posso dire quello che può fare un altro.
[Pubblicato su Liberazione 12 luglio 2009]