Sei uomini sono stati condannati a morte e uno al carcere a vita per "omicidio e altri reati nella rivolta del 5 luglio in Xinjiang", dopo un processo di primo grado, tenutosi oggi, 12 ottobre, a Urumqi. Abdukerim Abduwayit, Gheni Yusup, Mettohti Abdulla, Adil Rozi, Metyusup Alim e Nureli Wuxiu’er sono stati condannati a morte in uno processo condotto in lingua Uighur e visto da oltre 400 persone, tra cui i testimoni, i parenti delle vittime e giornalisti.
Dilxat Raxit, portavoce del World Uighur Congresso, ha detto alla Reuters che il processo è stato ingiusto e privo di trasparenza: "gli Uiguri non hanno alcuna tutela giuridica". Nel frattempo, Xinhua, l’agenzia governativa, ha mostrato le prove e testimonianze, tra cui le autopsie delle vittime e le immagini della rivolta.
Il governo cinese ha accusato fin da subito Rebiya Kadeer, presidente del World Uyghur Congress come responsabile e mandante per i disordini. Il 21 settembre il governo cinese ha pubblicato il "Libro Bianco sul Xinjiang” una relazione di 52 pagine che illustra la valutazione del Xinjiang da parte del governo di Pechino. Le forze della regione, stando al documento, "hanno annunciato la volontà di separatismo e organizzato numerosi episodi di terrore e violenza che inficiano l’unificazione nazionale, l’unità etnica e la stabilità sociale". Il governo cinese sostiene, inoltre, che durante il 1990 e il 2001, queste forze hanno creato circa 200 conflitti in cui 162 persone sono state uccise e 440 sono rimaste ferite.