Da alcune settimane dentro Xiaomi si è costituito il comitato aziendale del Partito comunista cinese. Un organismo normale nelle aziende pubbliche, ma meno diffuso nel privato. Sta però prendendo piede, in particolare nel aziende dell’high tech, che Pechino intende cooptare. Il Partito comunista cinese mette piede dentro Xiaomi. Nelle scorse settimane si è costituito il comitato aziendale del Pcc interno alla società produttrice di smartphone a basso costo, tra le nuove imprese innovative di maggior valore al mondo.
L’organismo è comune nelle aziende pubbliche e nelle istituzioni, dove presiede alla linea politica. E da anni ormai il Partito comunista, che l’altro ieri a celebrato i 94 anni dalla fondazione, accoglie tra le proprie file imprenditori e magnati. La costituzione dei comitati interni alle aziende private è invece meno diffusa, sebbene non manchino esempi di rilievo come quello di Wal-Mart, fondato nel 2006.
Nel caso di Xiaomi i membri del Pcc sono 104 su circa 8 mila dipendenti. Il lancio ufficiale è avvenuto il 19 giugno con una cerimonia nella sede della società a Pechino alla presenza di politici locali e del fondatore dell’azienda, Lei Jun, da molti soprannominato lo Steve Jobs cinese. Altri comitati di primo piano sono stati istituiti dentro Baidu, la società ideatrice del principale motore di ricerca cinese, in Sina, proprietaria del servizio di microblog Weibo, e in Sohu.
I critici si interrogano su quanta voce in capitolo il Pcc potrà avere nelle strategie aziendali. Di contro la dirigenza cinese guarda con sempre maggiore attenzione all’ascesa di imprenditori come Lei Jun, Jack Ma, fondatore di Alibaba, o Ma Huateng di Tencent, cercando di cooptarli. Lo stesso presidente Xi Jinping lo scorso maggio aveva sottolineato l’importanza che rivestono per la società i magnati di internet e delle nuove tecnologie e proponendo incontri più frequenti con loro.
Intanto, lanciando ufficialmente il modello Redmi 2 in Brasile, Xiaomi ha compiuto il primo passo verso l’espansione fuori dal continente asiatico. Il dispositivo sarà prodotto in Brasile, in collaborazione con Foxcoon, e venduto al prezzo di 499 real, circa 145 euro. Come sottolineato dal vicepresidente Hugo Barra, si tratta di un profondo cambiamento per la società. Il Redmi 2 sarà infatti anche il primo non prodotto in Cina, rendendo più complessa tutta la catena, con parti importante e altre acquistate da fornitori locali.
[Scritto per MF-Milano Finanza. Foto credit: Shang Jianfeng]