Cina e Stati uniti confermano l’intesa per la tregua commerciale. Un anno di rinvii e di tempo per cercare un’intesa più profonda e duratura, ma gli ingredienti per possibili turbolenze non sono stati del tutto rimossi
Donald Trump: “Il presidente Xi è un grande leader di un paese straordinario. Tra Stati uniti e Cina sta nascendo una relazione più forte che mai”. Xi Jinping: “Lo sviluppo della Cina va di pari passo con la visione di rendere di nuovo grande l’America. Essere partner e amici è una lezione dalla storia e una necessità della realtà”. I due grandi rivali tornano a stringersi la mano sei anni dopo l’ultima volta. Se contassero solo queste parole, si potrebbe pensare che la guerra commerciale tra le prime due potenze mondiali sia già finita. Non è così, non ancora. Xi e Trump si sono ritrovati faccia a faccia in una base aerea alla periferia di Busan, Corea del sud, non esattamente un luogo abituato a vertici di questa portata. Eppure, l’obiettivo dell’incontro era di primaria importanza: confermare l’intesa preliminare per un armistizio commerciale.
Dopo lo scambio di convenevoli, il colloquio è durato circa cento minuti, decisamente meno delle tre o quattro previste alla vigilia. Al termine, nessuna dichiarazione alla stampa, ma un’altra stretta di mano prima. Poco dopo, si è capito che quell’ora e 40 era bastata per confermare tutto quanto predisposto nel round negoziale dei giorni scorsi in Malaysia. Appena salito sull’Air Force diretto a Washington, Trump ha esaltato i risultati dell’incontro: “Quanto è andata bene da uno a dieci? Dodici”.
L’intesa raggiunta a Busan è di fatto una de escalation che cancella le ultime turbolenze e concede più tempo per trattare un vero accordo. Il primo risultato, come previsto, è l’annullamento dei dazi aggiuntivi del 100% che sarebbero dovuti entrare in vigore il 1° novembre sui prodotti cinesi e il rinvio di un anno di quelli del “Liberation Day”. Sul piano tariffario si è arrivati a toccare anche la questione fentanyl, l’oppioide sintetico che ha devastato intere comunità americane. Dopo che Pechino ha promesso “azioni decise” per fermare il flusso, Washington ha dimezzato dal 20% al 10% i dazi introdotti nei primi due round tariffari di febbraio e marzo. Entrambi i paesi hanno garantito il rinvio di un anno delle tasse portuali imposte contro le rispettive navi, entrate in vigore nelle scorse settimane.
Sul piano agricolo, la Cina ha ripreso ad acquistare soia statunitense, dopo un blocco totale di due mesi. Secondo il segretario al Tesoro Bessent, Pechino comprerà almeno 12 milioni di tonnellate entro l’anno e 25 milioni annui nei prossimi tre, riportando gli scambi ai livelli pre-2025. Si tratta di un tema fondamentale per Trump, visto l’imponente impatto delle scelte della Cina (principale importatore di soia americana) sugli agricoltori del Midwest.
Su tecnologia e terre rare, vale a dire i due snodi più strategici della competizione, i due leader confermano la marcia indietro sulle ultime manovre incrociate. Pechino ha accettato di sospendere per 12 mesi il nuovo sistema di licenze governative sull’export di terre rare. In cambio, gli Stati uniti rinvieranno di un anno l’estensione delle restrizioni sulle spedizioni di software tecnologici alle affiliate di aziende cinesi sotto sanzioni. Nessuna conferma definitiva su altri due dossier, Nvidia e TikTok. Sui chip, Trump ha detto che il colosso americano e la Cina “parleranno direttamente” tra loro, definendo gli Usa “solo un arbitro”. Sull’app, contrariamente alle speranze di Trump, non è arrivato alcun annuncio sulla vendita della divisione americana, anche se Pechino ha ribadito l’impegno a “risolvere la questione”.
Le rispettive concessioni mostrano il desiderio di entrambi di evitare un circolo vizioso nei rapporti, consapevoli che l’attuale interdipendenza economica rende impensabile un disaccoppiamento completo. I due leader hanno anche evitato di favorire frizioni sui dossier internazionali più divisivi. Trump ha detto che “lavorerà insieme” a Xi per cercare di risolvere la guerra in Ucraina, mentre di Taiwan non si è proprio parlato.
I plurimi rinvii di un anno e la conferma della visita di Trump in Cina ad aprile 2026 (con Xi che dovrebbe recarsi negli Usa in autunno) garantiscono una finestra di tempo non banale per provare a negoziare un’intesa più profonda e duratura. Obiettivo tutt’altro che semplice da raggiungere. Di fatto, su tech e terre rare è un ritorno alla situazione di fine settembre, che non era comunque certo idilliaca. La Cina ha già mostrato di essere in grado di poter modulare il flusso delle spedizioni di terre rare anche senza l’ausilio dei nuovi strumenti normativi che ora ha congelato. Allo stesso modo, le restrizioni alle catene di approvvigionamento avanzate imposte dalla Casa bianca sono ancora vaste e multiformi. Insomma, gli ingredienti per potenziali nuove turbolenze rimangono tutti al loro posto. Non a caso, dopo aver auspicato cooperazione, Xi si è dilungato sullo “slancio” dell’economia cinese e ha citato il nuovo piano quinquennale, che vede tra i suoi pilastri il perseguimento dell’autosufficienza tecnologica proprio per schermarsi dai futuri conflitti commerciali. Tra le righe, il leader cinese vuole dare un messaggio di fiducia nella capacità di Pechino di resistere alla pressione americana.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.

