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Xi-Trump, come interpretare la nuova tregua

In Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

Giovedì 30 ottobre il vertice tra i leader di Cina e Stati uniti, chiamati a confermare l’intesa preliminare per la de escalation nella guerra commerciale. Ma non sarà l’epilogo dello scontro, che da diversi segnali pare destinato a durare

Davanti, le mani si stringeranno. Dietro, continueranno a brandire le rispettive armi negoziali. Pronte a essere nuovamente sfoderate alla prossima turbolenza. Xi Jinping e Donald Trump si incontrano oggi a Busan, Corea del sud, e sono chiamati a siglare l’accordo quadro sulla tregua commerciale, messo a punto nei giorni scorsi dai rispettivi team durante i colloqui in Malaysia. Il menù dell’intesa dovrebbe essere ampio e variegato, pregno di concessioni incrociate. La Cina dovrebbe rinviare di un anno l’entrata in vigore del nuovo sistema di licenze governative sulle spedizioni di terre rare. Pechino avrebbe anche garantito la ripresa degli acquisti di soia americana, dopo averli interrotti del tutto a settembre causando non poca insoddisfazione tra gli agricoltori, repubblicani compresi. Gli Stati uniti cancelleranno i dazi aggiuntivi del 100% annunciati per il 1° novembre e dovrebbero rimuovere alcune delle ultime restrizioni all’export di software tecnologici. Entrambi i paesi potrebbero inoltre ridurre le tasse portuali contro le rispettive navi, effettive da poche settimane. E poi ci si aspetta la conferma dell’accordo su TikTok: la divisione statunitense dell’app passerà a un consorzio di aziende americane, col prezioso algoritmo che resterà però di proprietà cinese. Di più: ieri Trump ha annunciato che intende abbassare i dazi imposti sul dossier fentanyl, in cambio di garanzie su un contrasto più severo al flusso dei materiali chimici utili alla produzione dell’oppioide killer. È un passaggio rilevante, perché si tratta del 20% dei due round iniziali di febbraio e marzo scorsi. Una loro riduzione andrebbe dunque temporalmente più in là delle altre misure, che in sostanza si “limiteranno” a cancellare l’escalation dell’ultimo mese. Un altro passo interessante potrebbe riguardare Nvidia. La Casa bianca starebbe valutando di consentire la vendita in Cina del prossimo chip Blackwell B30A, cedendo alle insistenze del colosso tecnologico statunitense.

Attesa anche sui dossier internazionali. Trump ha detto più volte che chiederà a Xi di aiutarlo a premere sulla Russia per mettere fine alla guerra in Ucraina. Obiettivo difficile da raggiungere. Così come potrebbe rivelarsi complicato il tentativo di Pechino di portare il presidente americano a dichiarare di “opporsi all’indipendenza di Taiwan”, andando oltre il tradizionale “non supporto” di Washington. “Non c’è molto di cui parlare. Taiwan è Taiwan”, ha detto ieri Trump in risposta alle indiscrezioni in materia, apparentemente allontanando un’ipotesi che preoccupa non poco Taipei.

Anche qualora andasse tutto liscio, la tregua non equivale alla fine della guerra commerciale. Anzi, dal nuovo piano quinquennale cinese emergono segnali sul fatto che Xi è convinto che possa durare a lungo. Non è un caso che tra i termini più ricorrenti del lungo documento sulle proposte del Partito comunista, pubblicato martedì sera, figurano “sfide”, “incertezze”, “rischi” e “turbolenza”. Per schermarsi da nuove sanzioni e restrizioni, Pechino annuncia enormi investimenti per lo sviluppo delle “nuove forze produttive” e il perseguimento dell’autosufficienza tecnologica: non è una mera modernizzazione economica, bensì un’emancipazione geopolitica dai dai colli di bottiglia nelle catene di approvvigionamento. Il focus sullo stimolo dei consumi interni non significa però abbandono delle industrie tradizionali, a partire da quelle manifatturiera e pesante. Segnale che si vuole mantenere un volume produttivo elevato e che non si vogliono abbandonare facilmente le posizioni dominanti che hanno consolidato la dipendenza occidentale nei confronti dell’export cinese. Nel piano si parla anche di “autosufficienza di sud del mondo”. Tradotto: la Cina punta a rafforzare i legami con le economie emergenti, promuovendo la de dollarizzazione e ponendosi come architrave di un sistema multipolare in grado di attutire le turbolenze causate dalle politiche commerciali di Washington.

Nel frattempo, le due diplomazie si muovono in maniera parallela. Nel suo tour asiatico, Trump ha siglato un’intesa sulle terre rare col Giappone e confermato gli ingenti investimenti di Tokyo e Corea del sud sul territorio americano. Il premier cinese Li Qiang ha invece firmato l’aggiornamento dell’accordo di scambio con l’Asean e Xi ha annunciato che al summit Apec incontrerà tra gli altri il premier canadese Mark Carney, nel mirino di Trump.

Insomma, la tregua Cina-Usa non scioglierà i nodi più divisivi. Ma servirà a facilitare la probabile visita di Trump a Pechino a inizio 2026, sintomo del desiderio delle due potenze di continuare a guadagnare tempo, consapevoli di non poter arrivare a una vera e propria pace ma anche di non potersi permettere una guerra totale fino a quando resteranno tracce di interdipendenza reciproca.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]