Operazione Mekong, record d’incassi nelle sale cinesi, è un film che ripropone la tradizione della «melodia principale» – l’opera propagandistica – aggiungendovi tanta azione ed effetti speciali. I buoni sono buonissimi e i cattivi cattivissimi, quasi più che a Hollywood, e prendete nota che la Cina salverà il mondo. È stato il campione d’incassi nella golden week della festa nazionale del 1 ottobre. Una settimana in cui il box-office cinese registra alcuni dei picchi annuali più alti e pochi film (tutti nazionali) si contendono il primato. Lo abbiamo visto al suo ventesimo giorno di programmazione, proprio quando il film ha raggiunto il miliardo di yuan di incassi, occupando ancora quasi un terzo degli schermi nazionali (che a fine anno saranno circa 40mila).
Operation Mekong (meigonghe xingdong) parte da una storia vera, l’episodio del «massacro del Mekong» ovvero quando nel 2011 i cadaveri di alcuni marinai cinesi furono trovati nelle acque del fiume, in Myanmar. Gli indizi fanno risalire a uno spietato trafficante di droga – Naw Kham – e alla sua banda, che si nascondono nelle foresta lungo il corso d’acqua. La Cina reagisce istituendo una task force con i tre paesi coinvolti nel traffico: Thailandia, Myanmar e Laos.
Il film racconta però l’operazione eroica di una giovane squadra segreta dell’intelligence cinese in Thailandia per arrestare il trafficante. L’operazione si articola attorno a sempre più lunghe e spettacolari scene d’azione, che mettono in mostra l’eroismo degli agenti. Un arsenale ricco di inseguimenti, sparatorie ed esplosioni, fotografato e confezionato al meglio, reso possibile perché realizzato fuori dai confini nazionali (simili scene in Cina infatti difficilmente sarebbero state permesse). E anche la critica straniera lo ha promosso.
Il film è diretto da Dante Lam, che come molti altri registi di Hong Kong porta la grande tradizione dei film d’azione e di gangster dell’ex-colonia nella Cina continentale. Un trend già iniziato da qualche anno, da quando cioè l’industria cinematografica di Hong Kong in crisi ha cercato nuovi sbocchi nell’esplosivo mercato continentale. Ma per adattarsi alla censura della Cina continentale, le storie si semplificano, i i buoni sono più buoni, i cattivi davvero cattivi e soprattutto destinati sempre alla fine che meritano. Così, i trafficanti del Mekong sono sfigurati dalla droga, non hanno scrupoli, usano bambini-soldati e odiano i cinesi. La loro fine è già scritta.
Operation Mekong rifiuta complessità e ambiguità psicologiche, che pure hanno fatto la fortuna del film di genere cantonese. Mette in mostra i muscoli della Cina e il suo ruolo di guida nella regione del sud-est asiatico, oltre che la sua superiorità, tanto che forse il film sarà bandito in Thailandia perché poco gradito (come dargli torto) al governo locale. E alla fine il messaggio è che la Cina, grazie al suo rapido sviluppo, ha oggi il dovere di proteggere il mondo. Una chicca: sullo sfondo, vediamo anche immagini dell’Italia.
Il film è prodotto da Bona Film, una delle maggiori case di produzione cinesi tra i cui azionisti figura anche la statale China Film Group, da cui ha preso il progetto. Ha ricevuto l’approvazione del governo di Pechino affinché ispirasse l’orgoglio nazionale senza far venire meno l’intrattenimento e il valore commerciale. Bona già l’anno scorso aveva sbancato con un simile modello, The Taking of the Tiger Mountain, ispirato alla quasi omonima storia rivoluzionaria maoista, ma virato in chiave action, in 3D, con cast stellare e un regista di Hong Kong di fama internazionale, Tsui Hark. Questo nuovo modello di film della «melodia principale», come sono chiamati tradizionalmente i film di propaganda cinesi, funziona anche al box-office. Ed è il sesto film cinese a superare il miliardo di yuan di incassi quest’anno, una stagione che ha visto un rallentamento inaspettato di quella crescita vertiginosa del mercato cinematografico cinese che si era registrata negli ultimi anni. Quindi, un’operazione come Operation Mekong è quanto mai benvenuta sia dal governo sia dall’industria.
*Edoardo Gagliardi, laureato in studi orientali, ha ottenuto un dottorato in cinema cinese contemporaneo presso l’Università di Roma La Sapienza, dopo un periodo di studi alla Peking University. Vive a Pechino da diversi anni dove lavora su progetti e coproduzioni cinematografiche tra Italia e Cina, collaborando in passato con il desk ANICA di Pechino. Nel tempo libero si interessa di musica, una volta anche con il blog Beijing Calling, su queste pagine. «I Wenchan Ban sono gli uffici di promozione delle industrie culturali che si trovano in molti governi locali cinesi. Il Wenchan Ban di China Files è diretto da Edoardo Gagliardi, e il suo compito è quello di raccontare e promuovere ogni due settimane le nuove storie di cinema, musica e dell’industria culturale cinese, del loro mercato e dei loro protagonisti.» [E.G.]