Wenchan Ban – La nuova legge cinese sul cinema

In by Gabriele Battaglia

Edoardo Gagliardi esamina le nuove norme che dovrebbero facilitare la realizzazione di film in Cina, ma che sembrano tarpare le ali alle produzioni underground e indipendenti. L’industria culturale si appoggia al «rule of law» secondo caratteristiche cinesi, dove governa «il sigillo del drago». Qualche settimana fa il SAPPRFT (State Administration for the Press and Publication, Radio, Film and TV, un organismo di livello ministeriale) ha promulgato una nuova legge del cinema, chiamata «Legge per la promozione dell’industria cinematografica», diffondendo una bozza del testo. Approvata già dal Consiglio di Stato, entrerà in vigore nel marzo 2017.

Questa legge sostituirà la precedente ancora in vigore che risale al 2011.
A un primo sguardo non ci sono cambiamenti importanti, e sicuramente non quelli che l’industria cinematografica internazionale sperava, ma a guardare con più attenzione le novità non mancano e potrebbero portare nel tempo ad alcuni interessanti sviluppi per la seconda cinematografia mondiale.
In generale, sembra esserci più chiarezza nella legge rispetto al passato e quindi una semplificazione che potrebbe essere vista come una timida apertura, a vantaggio soprattutto delle produzioni locali.

Alcune principali novità:
Non sarà più necessaria la licenza per la realizzazione di un film. Secondo la legge precedente, ogni film prima di essere girato doveva avere la sceneggiatura inviata al Film Bureau da una società di produzione riconosciuta con già all’attivo almeno due film per essere approvata ed ottenere così una licenza singola per produrre il film.
Con la nuova legge sarà sufficiente sottoporre un soggetto del film per un’approvazione formale, con una prova di disponibilità di finanziamento in place; inoltre qualsiasi società o individuo potrà fare domanda.

Il visto di censura sul film finito, necessario per essere proiettato sugli schermi, chiamato «sigillo del drago», sarà assegnato da una commissione nominata dagli organi ufficiali e che per la prima volta potrà vedere al suo interno membri provenienti dal settore privato, e non solo quadri di partito o esperti “ufficiali”. Inoltre, altra importante novità, i produttori se non soddisfatti dal verdetto della censura potranno fare ricorso e avere il film riesaminato da una seconda commissione.

I film sprovvisti di «sigillo del drago» non potranno partecipare a festival cinematografici ufficiali, pena la sospensione dall’attività per cinque anni del regista. Questo limiterà, ahinoi, tutto quel cinema sotterraneo e indipendente, soprattutto documentari, non riconosciuto in patria ma che trova all’estero sempre interesse, e spesso premi.

Sono inasprite le sanzioni contro pratiche scorrette da parte sia di distributori sia di esercenti. Sempre più frequenti sono stati infatti i casi di distributori che creavano proiezioni «fantasma» comprando blocchi di biglietti per gonfiare il box-office e attrarre attenzione sui propri film, o esercenti che manomettevano i prezzi dei biglietti, intascando importanti ricavi in nero.
Secondo una ricerca dell’americana MPAA circa un terzo degli incassi del botteghino cinese sono sommersi.

Anche se non verrà ancora istituito un rating system che classifica i film secondo fasce d’età ristrette come negli altri paesi, per cui in Cina ogni film deve essere adatto al pubblico di ogni età, la legge darà la possibilità di inserire avvisi all’inizio di film poco adatti ai minori. Indicazione ancora poco chiara, ma che potrebbe timidamente aprire a nuovi contenuti finora bollati, come nudità, violenza o turpiloquio. Ma questa per ora è solo una congettura.

Divieto assoluto di inserire pubblicità durante la proiezione, una malapratica sempre più frequente in alcuni cinema.

A un primo sguardo si direbbe che questa legge renderà più facile l’accesso all’industria cinematografica, favorendo forse quella diversificazione espressiva che oggi più che mai il mercato cinematografico sembra invocare.
Allo stesso tempo sembra andare nella direzione di una rule of law che in Cina è un concetto spesso citato ma ancora poco applicato.
Inoltre molte funzioni vengo decentrate presso uffici amministrativi a livello locale, rendendo forse più semplice l’iter burocratico e aiutando l’espansione su territorio nazionale di entità produttive, per ora concentrate soprattutto a Pechino. 

Sebbene poi la nuova legge ponga una maggiore enfasi sull’avanzamento tecnologico, come uno degli obiettivi del cinema nazionale, la base ideologica è sempre quella di un cinema inteso a servire il popolo e promuovere il bene e prosperità della nazione.
La nuova legge arriva anche all’indomani della nomina di un nuovo direttore del SAPPRFT, Nie Chenxi, che inizia così un nuovo corso le cui caratteristiche comprenderemo solo tra un po’ di tempo.

Non sembrano esserci i cambiamenti sperati dall’industria internazionale, occorrerà aspettare ancora, ma probabilmente non molto. Infatti il prossimo anno secondo gli accordi del WTO la Cina dovrà liberalizzare il sistema attualmente in vigore delle quote previste per l’importazione di film stranieri sul grande schermo, che di fatto limita l’accesso dei film stranieri, soprattutto non commerciali, al mercato cinese. Ma se ancora non è chiaro se e quali provvedimenti saranno presi, quest’anno, complice forse anche il rallentamento della crescita del box-office, sono già state concesse quote extra per stimolare il mercato interno. E intanto Zhang Hongse, direttore del Film Bureau, ha fatto intendere che nel 2018 ci sarà una revisione delle quote, anche se non sarà una vera e propria liberalizzazione.

Certamente il governo non allenterà il controllo politico, anzi, ma forse la nuova legge renderà più chiaro il sistema e i suoi regolamenti, e magari darà veramente avvio a una nuova fase del mercato cinematografico cinese, già destinato a superare Hollywood in pochi anni, e ci auguriamo anche destinato a crescere in termini di qualità e diversificazione. Questa legge non sarà necessariamente un primo passo radicale, ma sicuramente porterà dei cambiamenti formali cui l’industria si dovrà adeguare e i cui effetti si vedranno solo nel tempo.

*Edoardo Gagliardi, laureato in studi orientali, ha ottenuto un dottorato in cinema cinese contemporaneo presso l’Università di Roma La Sapienza, dopo un periodo di studi alla Peking University. Vive a Pechino da diversi anni dove lavora su progetti e coproduzioni cinematografiche tra Italia e Cina, collaborando in passato con il desk ANICA di Pechino. Nel tempo libero si interessa di musica, una volta anche con il blog Beijing Calling, su queste pagine. «I Wenchan Ban sono gli uffici di promozione delle industrie culturali che si trovano in molti governi locali cinesi. Il Wenchan Ban di China Files è diretto da Edoardo Gagliardi, e il suo compito è quello di raccontare e promuovere ogni due settimane le nuove storie di cinema, musica e dell’industria culturale cinese, del loro mercato e dei loro protagonisti.» [E.G.]