Nel grande ritorno della musica analogica non c’è solo il boom dei vinili, ma anche il sorprendente successo delle musicassette, date per spacciate più volte e sempre risorte dalle ceneri. E le etichette più sperimentali coltivano con gusto e impegno particolari il «culto» del nastro magnetico. Anche in Cina. Cassette. Chi è meno giovane se le ricorda. I più pensano siano ormai oggetti da museo, ma invece non sono mai davvero sparite. Anzi, in questi ultimi anni si è visto un revival di supporti musicali analogici, forse come reazione alla smaterializzazione di mp3 e streaming.
Se i vinili stanno vivendo una seconda vita gloriosa nelle case e in sempre più nuovi mercati, le cassette sono il veicolo prediletto di generi «ai margini» e di etichette che fanno dell’underground un manifesto. È un fenomeno globale, e anche la Cina non è da meno, complici anche la presenza di alcuni impianti di produzione e costi contenuti. Certo è una cosa di nicchia, produzioni limitate il più delle volte a poche decine di copie, ascoltatori ridotti a un piccolo gruppo.
Nel 2010 l’etichetta Rose Mansion Analog diede il via al vecchio/nuovo trend, per poi sparire però dopo un paio di anni. Oggi, soprattutto Pechino e Shanghai vedono uscite regolari; e la presenza di nastri in vendita ai concerti è la norma. Un recente articolo ha censito le etichette principali e ne ha contate una decina.
Un’uscita recente che ci sentiamo di segnalare è «Afternoon» di Zhao Cong, musicista molto attiva nel circuito sperimentale pechinese delle Zoomin’ Night curate dal suo compagno d’arte e di vita Zhu Wenbo; serate nate nel defunto ma mai dimenticato D-22 e oggi ricollocate soprattutto al Fruityspace.
Ora Zoomin’ Night è anche un’ etichetta proprio di cassette. «Afternoon» è stato registrato in un pomeriggio con un tubo di cartone, un microfono, un mixer e i suoni dell’ambiente circostante, è fatto di drone continui, suoni casuali ma mai caotici, feedback minimali, voci sussurrate.
Un ascolto per i pomeriggi gelidi che Pechino sta già vivendo in questi giorni.
*Edoardo Gagliardi, laureato in studi orientali, ha ottenuto un dottorato in cinema cinese contemporaneo presso l’Università di Roma La Sapienza, dopo un periodo di studi alla Peking University. Vive a Pechino da diversi anni dove lavora su progetti e coproduzioni cinematografiche tra Italia e Cina, collaborando in passato con il desk ANICA di Pechino. Nel tempo libero si interessa di musica, una volta anche con il blog Beijing Calling, su queste pagine. «I Wenchan Ban sono gli uffici di promozione delle industrie culturali che si trovano in molti governi locali cinesi. Il Wenchan Ban di China Files è diretto da Edoardo Gagliardi, e il suo compito è quello di raccontare e promuovere ogni due settimane le nuove storie di cinema, musica e dell’industria culturale cinese, del loro mercato e dei loro protagonisti.» [E.G.]