Violenza domestica in Cina (e l’appello di Xi Jinping)

In Cina, Economia, Politica e Società by Redazione

Il 1 ottobre, giorno di Festa Nazionale in Cina, anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, il Presidente cinese Xi Jinping ha celebrato il venticinquesimo anniversario delle Nazioni Unite. In particolare, ha voluto presenziare, via video, alla cerimonia di UN Women.

Trattandosi anche del venticinquesimo anniversario dalla Quarta Conferenza Mondiale delle Donne che si è tenuta a Pechino dal 4 al 15 settembre 1995, il Presidente Xi ha voluto confermare il suo contributo di 10 milioni di dollari alla causa femminile, rimarcando che “La parità tra uomo e donna è alla base della politica nazionale cinese”.

Proprio in questi giorni, però, un caso di violenza domestica sta scuotendo l’opinione pubblica: Lamu, una contadina di una etnia di minoranza tibetana Aba, residente in un villaggio nella provincia Sud-occidentale del Sichuan, al confine con il Tibet, è morta dopo essere stata data alle fiamme dal marito. Su Douyin, il Tik Tok cinese, Lamu era seguita da migliaia di followers. “Lamu non era una star, era una donna lavoratrice”, dice uno dei commentatori online. Era una giovane di campagna che viveva, pur con i suoi problemi, serenamente nel suo villaggio. Aveva aperto un account su Douyin, ma non per denaro– non aveva più di 1000 RMB, circa 100 euro – , bensì per cercare solidarietà e uscire dall’isolamento del villaggio.

Dopo il matrimonio, a 19 anni, il marito, un coetaneo conosciuto fin dall’infanzia, era diventato violento e lei era riuscita a divorziare da lui, dopo la nascita di due figli. Di fronte alle minacce di lui di portare via i bambini, Lamu ha ceduto, e l’ha risposato. Anche la morte della madre, unica difesa nei confronti del marito, l’ha costretta a ridiventare moglie di questo uomo violento.

Lamu ha continuato a postare video di se, gioiosa e sorridente, su Tik Tik, mentre in tuta da ginnastica raccoglieva le verdure e le erbe delle montagne, o preparava da mangiare sul fuoco a legna, dentro la tenda dove beveva lo tsampa, la bevenda salata di orzo e burro di yak, tipica dei pastori tibetani, o danzando in abiti tradizionali per i suoi followers.

I suoi raccolti, le sue ricette, le sue danze, venivano registrate senza trucco e senza filtri, e questo, in un mondo – quello dei social – in cui nessuno vuole mostrare come è, attirava le simpatie di molti.

Quando il 14 settembre, durante una diretta, quel marito che lei aveva allontanato e poi ripreso, l’ha assalita, cosparsa di benzina e bruciata, migliaia di fans la stavano seguendo. Lo schermo si è oscurato e si sono sentite solo le urla e i rumori di una tragedia in divenire. Attraverso un crowdfunding la famiglia ha raccolto migliaia di euro per pagare le cure ospedaliere. Ma ogni trattamento si è rivelato inutile.

La sua morte è diventato un caso che ha suscitato una riflessione molto partecipata e ha toccato il tema delicato della violenza famigliare. I suoi fans si chiedono: come si comporterà la legge nei confronti di questo marito? Il marito verrà condannato a morte? Nell’ultimo anno nella società cinese molte voci si sono alzate contro la violenza famigliare. Vogliono che la violenza domestica sia considerata un reato perseguibile, alla stregua della violenza fuori dalle mura di casa. “No alla violenza famigliare! La violenza in casa è violenza e basta”, si legge molte volte tra i commenti.

La violenza domestica in Cina in teoria è regolamentata dalla legge ma le donne vittime di attacchi da parte dei coniugi raramente vengono tutelate: se un marito maltratta o ammazza la moglie, viene trattata come “questione famigliare,” una cosa privata, e non come reato a tutti gli effetti

Molte volte le donne vittime di violenza non denunciano, spesso vengono indotte dagli stessi famigliari a desistere, ma anche quando denunciano, troppo spesso i persecutori non vengono puniti. Un commentatore su Weibo scrive: “se qualcuno del villaggio l’avesse protetta, se avesse trovato una legge, uno stato, pronto a difenderla da questa violenza, Lamu sarebbe ancora qui. La sua unica speranza sarebbe stata quella di lasciare il villaggio, andarsene coi suoi figli”. Già, perché per molte donne di campagna, vittime di violenza, l’unica speranza è quella di lasciare tutto e diventare anonime comparse in una città qualsiasi della Cina, dove lavori come una schiava per pochi soldi e dove il vento delle colline del Sichuan con l’odore delle sue erbe non rimane che un offuscato ricordo.

Mentre in rete si levano commenti come “I punti oscuri della società sono i problemi della legge; dobbiamo parlare con forza della violenza domestica”, Xi Jinping, che ha dichiarato di voler “prendersi cura delle donne che vivono in condizioni di povertà, delle donne anziane, disabili e di gruppi con fragilità” e anche di “eliminare la discriminazione, il pregiudizio e la violenza nei confronti delle donne, in modo tale che la parità di genere possa diventare veramente un codice di condotta e uno standard di valori comuni per tutta la società,” ha ora una vera occasione di dimostrare la sincerità del suo impegno.

Di Sabrina Ardizzoni

[Pubblicato su il manifesto]