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Vaticano e Cina: un cammino faticoso ma continuo

In Cina, Relazioni Internazionali by Maria Novella Rossi

Dal 4 dicembre scorso la catechesi  del papa risuona ogni mercoledì in piazza san Pietro anche nella lingua di Confucio.  Un piccolo grande passo ad alto valore simbolico nel lungo e faticoso cammino dei rapporti tra Cina e Santa Sede. Il Vaticano segue con grande attenzione questo percorso, già avviato negli anni passati e rilanciato da Benedetto XVI.  Un’eredità accolta in pieno da  Francesco,  che cura le relazioni tra Vaticano e Repubblica Popolare Cinese sin dall’inizio del suo pontificato: il nome di Bergoglio, Francesco, è ispirato a Francesco d’Assisi,  ma in molti  hanno sostenuto che sia riferito anche a Francesco Saverio,  il gesuita spagnolo pioniere delle missioni in Asia. Partito da Lisbona nel 1542, si spinse fino a Formosa (oggi Taiwan ) e poi nelle Filippine, quindi nel 1545 partì per Malacca e dopo aver sostato anche in Giappone ripartì alla volta della Cina,  ma si ammalò durante il viaggio e non riuscì a raggiungerla. Morì nell’isola di Sancian nel 1552. Sebbene non avesse raggiunto l’impero dei Ming,  Francesco Saverio spianò la strada ad Alessandro Valignano e poi a Matteo Ricci. I gesuiti  ebbero  una grande importanza nella storia dei rapporti tra Europa, Italia e Cina non solo dal punto di vista della chiesa cattolica, ma anche da un punto di vista culturale. Matteo Ricci,  è morto nel 1610  a  Pechino e la sua tomba si trova  nella capitale cinese.

Ma oggi che significato assume l’udienza papale del mercoledì tradotta anche in cinese? Abbiamo chiesto a Gianni Valente, direttore dell’agenzia Fides, che  da molti anni segue i rapporti tra Cina e Santa Sede di darci una chiave di lettura più approfondita non solo nei confronti di quest’ultima novità,   ma anche di ricostruire in questa intervista le  tappe salienti di un  percorso difficile, con diversi   momenti d’arresto,  ma che comunque è sempre andato avanti. Dobbiamo premettere che oggi  non è più corretta la vecchia distinzione riferita alla chiesa cattolica in Cina: quella cosiddetta “patriottica”, ossia controllata dal Partito e quella “clandestina”, non riconosciuta dal governo cinese, i cui sacerdoti  facendo riferimento esclusivamente al papa e alla chiesa cattolica romana , sono stati spesso perseguitati, arrestati, o privati del  permesso di venire a Roma per seguire gli eventi più importanti…una distinzione che alla luce del percorso e dei cambiamenti avvenuti sin qui sarebbe grossolana,  come ci suggerisce Valente.

 Perché questa distinzione non è più attuale?

Non si può più dire adesso che c’è una chiesa patriottica e una chiesa fedele a Roma, perché questo  è uno schema legato certamente a dei dati storici,  ma più che altro  è uno schema  imposto dai media che poi cristallizzandosi ha  alimentato  delle polemiche. Secondo me questa suddivisione non è mai stata veritiera tra l’altro,  nel senso che la Santa Sede e il papa non hanno mai assunto questo tipo  di terminologia che parlava di due chiese.

Il  linguaggio delle “ due chiese” è sempre stato rifiutato dalla Santa Sede e adesso più che mai alla luce del percorso fatto  è assurdo pensare che ci siano dei preti fedeli al papa e preti fedeli al governo,  perché tutti i vescovi cattolici autorizzati dal governo apertamente, nominati secondo le procedure che coinvolgono anche l’autorità politica e che magari partecipano anche agli organismi cosiddetti patriottici (che erano quegli organismi creati per garantire che la Chiesa in qualche modo camminasse  dentro il  solco delle decisioni politiche disposte del Partito), ebbene tutti questi vescovi sono in piena e pubblica comunione col papa, per cui non c’è più questa schizofrenia o questa divisione che ha fatto tanto soffrire la Chiesa. E che secondo me adesso viene tirata fuori in maniera strumentale, dal momento che ci sono sicuramente dei gruppi  che continuano a cercare di coltivare questo schema, questa griglia di lettura ideologica di ciò che accade alla Chiesa in Cina, ma  sono gruppi che assolutamente non possono più dare ragione delle tesi che sostengono e ripeto, continuare a dire che c’è una parte della Chiesa in Cina che non è fedele al papa e che non vive in comunione con il papa secondo me oltre che strumentale è pericoloso e  ingiusto,  perché in qualche modo  ripete schemi  che potevano essere ricondotti e dialettiche o punti di contrasto esistenti  nei decenni in cui la pressione politica era più forte.

Ma ora ritornare su questa suddivisione delle due chiese  vorrebbe dire ad esempio che i sacramenti e le messe celebrate nelle parrocchie dove ci sono vescovi diciamo “ufficiali” e quindi riconosciuti dal governo cinese ,  non sarebbero validi e questo  sarebbe una tragedia. Se gli strumenti della salvezza promessa da Cristo che rappresentano il tesoro della Chiesa e giustificano la sua missione diventano pure parodie sacrileghe, allora questa sarebbe davvero  la fine della missione della Chiesa. Per questo dico che lo schema non può essere più quello,  e se c’è qualcuno che ancora sostiene o si presenta come rappresentante di una  chiesa fedele a Roma  contrapposta a una chiesa che non è fedele a Roma,  a questo punto,  facendo salve tutte le eccezioni,  vorrebbe dire che  c’è anche della malafede

 Questo nuovo piccolo passo della lingua cinese a S Pietro nell’udienza del mercoledì che significato ha?

Una novità  che  tiene conto del legame speciale che unisce i cattolici cinesi al magistero ordinario del papa. Le comunità cinesi, i vescovi cinesi, le parrocchie cinesi, seguono con molta attenzione e devozione  il magistero papale;  proprio per la situazione particolare in cui  si trovano,  si è sviluppata un’attenzione  più forte rispetto agli altri paesi nei confronti di tutto ciò che dice il papa, perché tutto quello che viene dal vescovo di Roma diventa spunto di iniziative, di riprese e fattore di ispirazione per le comunità cattoliche cinesi e questo ha fatto sì che negli anni più complicati in cui era più difficile il rapporto tra chiesa cinese e Santa Sede, era questa una maniera semplice di vivere  la comunione con il vescovo di Roma. Dunque nell’ottica di quello che è un cammino progressivo questa iniziativa ha sicuramente un forte impatto simbolico, un gesto  per cui tutte le settimane nel colonnato di San Pietro o magari nell’aula Nervi risuonerà il vangelo letto in cinese  e la parola del papa letta  in cinese,   in presa diretta

A ottobre scorso è stato rinnovato ancora una volta l’accordo sui vescovi sottoscritto per la prima volta nel 2018. Il cammino prosegue,  ma quanto è ancora difficile?

Questa  è la terza volta e per la prima volta si tratta di un  rinnovo non di due ma di quattro anni. Evidentemente è il segno di un cammino che continua. Si è sempre detto che il lavoro legato a questo accordo è un lavoro progressivo… nessuno ha mai sostenuto che questo accordo avrebbe risolto tutti i problemi in maniera magica da un momento all’altro,  proprio perché ci sono situazioni complicate e  controverse che durano da decenni,  che vanno sciolte una per volta. Però è evidente che l’allungamento dei tempi della proroga e le questioni che sono già state affrontate danno l’impressione concreta e verificabile  della crescita , della capacità di dialogo e della fiducia reciproca. Ricordiamo che c’è tutta una campagna mediatica che tende a relativizzare l’importanza, i risultati  di questo accordo mettendo l’accento sui problemi che però sono sempre stati messi in conto: possibili incomprensioni, momenti di stallo che si sono verificati negli ultimi due anni,  ma che poi sono stati superati grazie alla disponibilità e al dialogo e gli effetti oggettivi legati a questo dialogo. Dialogo che ha il suo strumento nell’accordo.

Tali fatti che possono essere sottovalutati soltanto da chi non percepisce quali siano le cose importanti nella vita della chiesa perché,  l’accordo fa si che tutti i vescovi cattolici oggi presenti in Cina  e facenti parte della comunità cattolica in Cina  siano  tutti in piena comunione con il vescovo  di Roma, e questo è un elemento importante dal punto di vista delle cose che interessano alla chiesa, e che sono nella natura della chiesa,  perché questo implica che le celebrazioni, i sacramenti che vengono amministrati nelle parrocchie cinesi  siano  sacramenti validi  e tutti i cattolici vivano  in piena comunione con il vescovo di Roma. I fattori importanti nella vita della chiesa sono i sacramenti e la successione apostolica e questi elementi sono assolutamente strutturali nel procedere della chiesa nel cammino della storia,  e in qualche modo adesso vengono vissuti in pienezza anche dalla chiesa cattolica della Cina.

Negli anni difficili dei primi decenni della Repubblica Popolare, dopo che Mao nel 1949 prese il potere,   l’elemento che aveva ferito l’unità della chiesa era proprio quello dei vescovi che venivano ordinati senza il consenso del papa e quindi questi vescovi venivano considerati “illegittimi” . Un meccanismo che  faceva nascere dei dubbi su tutte quante le attività di questi vescovi e quindi sull’ordinazione dei sacerdoti e poi, a cascata, anche nell’amministrazione dei sacramenti.. ecco tutti questi dubbi, sospetti,  paure,  che avevano lacerato la comunione della comunità ecclesiale adesso  sono stati spazzati via e questo è un punto oggettivo e reale che è legato all’applicazione dell’accordo.

 Ci può fare qualche esempio, o dare qualche dettaglio in più sulle difficoltà  che persistono ancora in questo percorso?

Sono i problemi  da risolvere che grosso modo si conoscono: c’è un certo numero di vescovi diciamo così “clandestini”,  secondo una definizione comune che io trovo impropria, nel senso che tutti sanno che sono vescovi,  ma semplicemente non vengono riconosciuti come tali dal governo cinese. Ad ogni modo riguardo a questi vescovi c’è tutta un’area grigia, tanto che i problemi sono ancora sul tavolo dal momento che  il governo esercita una forte pressione per farli registrare nelle comunità alle quali fanno  riferimento (le diocesi). Di conseguenza  il  problema nasce dalla non congruità, dalla  differenza tra il modo in cui in Cina sono state organizzate le nuove diocesi e ridisegnate su input degli apparati governativi e d’altra parte  lo schema, la griglia di diocesi creata nel 1949 a cui fa ancora riferimento la Santa Sede. Dunque ci deve essere un lento processo di adattamento  per ritrovare un equilibrio  su questo punto,  chiaramente tenendo presente che la prassi ordinaria della Santa Sede è sempre la stessa , in tutti i paesi, non solo in Cina.

Quindi  tenendo conto di tutte le secolarità storiche,  bisognerebbe far coincidere i confini di quelle che sono le circoscrizioni ecclesiastiche con quelli che sono i confini politici delle varie unità amministrative; questo è il criterio base e chiaramente in un processo che dovrà essere  graduale questo problema potrebbe andare risolvendosi lentamente. Riguardo all’area cosiddetta “clandestina” molti dei vescovi che una volta non erano stati  riconosciuti dal governo,  man mano in questi anni hanno accettato di registrarsi in queste strutture governative e quindi sono stati riconosciuti dal governo e i problemi si sono risolti. E questo quindi è il cammino da seguire perché ci sono delle singole situazioni controverse che bisognerà considerare ad una ad una

Ci sono ancora una ventina di casi irrisolti, più critici di altri, è così?

I casi irrisolti che riguardano i vescovi sono un po’ meno di venti, ma in ogni caso  non è possibile dare una cifra così precisa. Si tratta di una serie di vescovi che erano stati ordinati in precedenza dalla Santa Sede in maniera “riservata”,  non in maniera pubblica.  Ovviamente per la Santa Sede sono vescovi ma non essendo stati né eletti, né nominati, né consacrati  secondo le regole disposte anche dal governo cinese, il governo non li riconosce come vescovi. Ѐun fatto  spesso semplicemente formale, nel senso che il governo sa benissimo che sono vescovi, ma di fatto per questi vescovi è difficile operare come tali. Lasciando da parte  i casi  più controversi con degli arresti – anche perché parliamo di fatti avvenuti dieci anni fa – è vero anche che ce ne sono alcuni (due o tre in particolare) di cui non si sa più nulla,  ma è anche vero che probabilmente sono morti , magari perché anziani.

Al di là di questo i cosiddetti vescovi “clandestini” ( terminologia che ripeto considero impropria ), sono  vescovi  semplicemente non riconosciuti dal governo,  e quindi trattati  come semplici sacerdoti. chiaro dunque che in alcuni casi hanno difficoltà a operare come vescovi. Ad esempio  non possono officiare  le cerimonie riservate ai vescovi, alcuni di loro si trovano in stato di (fermo),  non in prigione ma diciamo in una residenza “controllata”,  e chiaramente  non possono muoversi liberamente. Tutto vero, ma alcuni di questi casi si stanno risolvendo nel tempo,  nel senso che magari hanno accettato di registrarsi presso le autorità civili cinesi secondo i format previsti dal governo e quindi sono stati riconosciuti come vescovi e insediati come vescovi.

Questa è stata una strada, mentre per gli altri si procede caso per caso. Ad esempio quei vescovi che non hanno voluto o non vogliono assolutamente firmare i moduli che gli vengono proposti dal governo ove magari c’è riferimento al fatto che la chiesa cinese è legata agli organismi “patriottici” , ossia del partito. Ecco in alcuni casi si possono creare queste situazioni di stallo, in altri casi la soluzione si può trovare dal punto di vista canonico,  nel senso che  gli accordi vengono regolati con la Santa Sede, di volta in volta. Ad esempio nel 2018, al momento dell’accordo, quando c’erano ancora dei vescovi “illegittimi” – il che vuol dire   vescovi ordinati secondo le procedure volute dal governo , ma non riconosciuti dalla Santa Sede , quindi diciamo  la situazione inversa, nel senso che la loro ordinazione era avvenuta senza il consenso del pontefice: per risolvere la questione,  e dunque per legittimare alcuni di questi vescovi che erano sei o sette,  “illegittimi”  secondo il Vaticano, si sono trovati degli escamotage nelle singole diocesi , dove magari esistevano vescovi clandestini cioè, che si trovavano nella condizione contraria, ovvero  riconosciuti dalla Santa Sede e non riconosciuti dal governo cinese.

A quel punto si è trovata  una soluzione per cui quello ufficiale del governo cinese è stato legittimato dalla Santa Sede e il “clandestino” della stessa diocesi  riconosciuto dal papa ma non dal governo è stato riconosciuto anche dalle istituzioni cinesi  come vescovo “ausiliare” della stessa diocesi.  Ecco  queste sono delle sperimentazioni , delle soluzioni trovate caso per caso…ma senza entrare nei singoli dettagli direi che la linea prospettica, a lungo termine, resta nel fatto che questi casi si risolveranno lentamente in un modo o nell’altro, per certi versi  anche naturalmente:  anche se in alcuni casi l’ostacolo principale resta quello che chiaramente da parte del governo e della politica religiosa cinese quello che si chiede ai vescovi è l’adesione a determinate  formule e  principi, a questi processi  di funzionamento delle diocesi conformi ai dettami del Partito.

Ecco tutto questo per alcuni di questi vescovi è difficile da accettare, è un aggiustamento non praticabile. Infatti alcuni,  facendo appello alla loro coscienza,  evitano e rifiutano ogni tipo di compromesso o escamotage e quindi in tal caso la situazione è destinata a perpetuarsi, anche se  a lungo termine i casi si vanno comunque  riducendo perché per parecchi di questi vescovi si troverà la soluzione di aggiustamento canonico. Ecco io dico che la prospettiva di lungo corso sarà che questi  vescovi non riconosciuti dal governo cinese  si andranno assottigliando nel tempo come, del resto  sono già diminuiti  rispetto all’inizio del processo iniziato con l’accordo, e alla fine non ci saranno più vescovi non riconosciuti dal governo cinese , proprio perché la prospettiva indicata dall’accordo in qualche modo ha messo da parte la possibilità che la Santa Sede possa ordinare vescovi fuori da una trattativa,  da un dialogo e da un consenso con l’autorità della Repubblica Popolare.

Mentre fino a 8 o 10 anni fa,  le ordinazioni che avvenivano senza la discussione previa e senza il confronto previo con l’autorità erano state ancora possibili , dall’accordo in poi questo non è più possibile: ecco perché  si esaurisce il flusso di nuove ordinazioni cosiddette “clandestine”. Chiaramente è uno dei temi che sono  sul tavolo,  ma al momento  non esiste un modello standard di risoluzione di tutte le controversie, che sia valido per tutti i casi, perché l’atteggiamento dei singoli vescovi è diverso. Ci sono alcuni di loro che hanno già manifestato la disponibilità a essere riconosciuti dalle autorità civili cinesi, magari trattando  sulle formule da adottare. Un elemento di ulteriore complicazione  è anche che su questi casi incidono  le situazioni locali,  i rapporti che questi vescovi  “clandestini” hanno con gli apparati locali. In alcuni casi c’è un dialogo aperto in altri c’è una chiusura, in alcuni casi gli apparati sono più duri e prepotenti, in altri sono più morbidi e quindi non si può generalizzare ma è necessario affrontare in maniera diversa ogni singolo caso

Formalmente il governo cinese non accetta alcuna ingerenza da parte di stati stranieri nei propri affari interni e quindi il punto di contrasto principale forse è proprio questo, dover accettare che il Vaticano, in quanto stato straniero,  ingerisca negli affari interni cinesi, è così?

Ma è proprio questo il segno più importante! L’aver accettato che la Sede Apostolica , un’entità esterna, abbia un ruolo sia pur “concordato” e la scelta dei vescovi (che in Cina di fatto considerano “funzionari religiosi”) è il segno che in qualche modo hanno riconosciuto a modo loro la specificità della chiesa cattolica e la sua natura sui generis. E hanno fatto una parziale deroga (non dichiarata, ma è un fatto) alla rigida regola della non ingerenza. Riconoscendo che la nomina dei vescovi non è un’ingerenza politica

Quest’anno c’è stato un altro evento, un’importante ricorrenza storica per la chiesa cattolica, i cento anni dal concilio di Shanghai. Che significato ha avuto questa ricorrenza e come incide questo anniversario nei rapporti tra Cina e Santa Sede?

Nel 2024 ricorrono i cento anni  dal  Concilio di Shanghai (Concilium Sinense) che era stato celebrato a Shanghai nel 1924,  in una fase che era assolutamente interessante nel cammino della chiesa in Cina.  Qual era  lo scopo del concilio indetto e convocato tra l’altro su forte pressione, su indicazione della Santa Sede,   gestito a nome di papa Pio XI da Celso Costantini, da quello che poi diventerà il cardinale  di Celso Costantini?  Lo scopo era quello di favorire, accelerare  la nascita o perlomeno il cammino di una Chiesa in Cina che però doveva diventare una chiesa cattolica cinese perché  in quella  fase c’era stato un grande sforzo missionario pieno di generosità, pieno di eroismo,  pieno di devozioni, di  zelo apostolico,  portato avanti soprattutto dalle congregazioni missionarie. Però questo zelo in alcune situazioni aveva finito per essere o per  innescare dei processi per cui le varie congregazioni religiose missionarie pensavano di essere diventate le padrone dei territori  su cui si erano insediate e delle diocesi che erano state create.

Tant’è vero  che tutti i vescovi erano ancora di provenienza occidentale,  erano tutti missionari e questo comportava il rischio di perpetuare l’equivoco molto pericoloso di continuare a  presentare il cattolicesimo come  un correlato religioso dell’Occidente, della civiltà occidentale e anche di quelle potenze occidentali che avevano messo in atto in Cina una politica neo coloniale  e  avevano creato poi di fatto forti reazioni di rigetto da parte della popolazione cinese, reazioni che avevano portato alla rivolta dei Boxer. Di tutto questo la Santa Sede si era resa conto,  proprio perché era in collegamento con i missionari più intuitivi, più lungimiranti  –  in particolare padre Vincent Lebbe, o anche padre Cotta – i quali viaggiando in Cina e vedendo quello che succedeva in quel paese  si erano accorti che questa dinamica poteva essere esiziale e controproducente per il futuro della  chiesa in Cina:  se  la Chiesa fosse stata identificata come un prodotto di importazione  e dunque imposto,  non sarebbe mai iniziato il tempo di un fiorire di una chiesa locale cinese.

Un tentativo portato avanti,  guidato dalla Santa Sede,  e questo è interessante perché vuol dire che la Santa Sede su certi passaggi , su  certi crinali importanti, ha avuto  una lungimiranza profetica che magari sfugge a chi operava e opera sul campo,  proprio perché la Santa Sede ha sempre  giudicato le cose nel solco della grande tradizione della Chiesa. Chiaramente quel Concilio mise in atto tutta una serie di disposizioni anche dettagliate proprio per cercare  di cancellare questo retaggio  colonialista della presenza della chiesa cattolica in Cina. Fu un processo molto contrastato anche dagli stessi missionari occidentali che però poi andò avanti , fino a quando, due anni dopo, nel 1926 , gettò le basi per l’ordinazione dei primi vescovi cinesi,  e tutto questo processo andò avanti anche in modo drammatico,  fino al 1949 quando ci fu l’inizio di un nuovo periodo con l’avvento della Repubblica Popolare Cinese.

Secondo me c’è un filo di continuità che unisce le intuizioni del Concilio di Shanghai al presente della chiesa in Cina perché paradossalmente,  anche per strade diverse rispetto a quelle che potevano essere immaginate,  passando per periodi di dolore, di grandi tribolazioni, anche di persecuzioni, tutto questo cammino storico così complicato e carico di tutte queste sofferenze ha portato a un  presente che vede vivere in Cina una chiesa che sicuramente è una chiesa  cinese. Ora la chiesa cattolica in Cina è sicuramente un piccolo gregge paragonato alla moltitudine del popolo cinese,  perché si parla di dieci massimo quindici  milioni di cattolici in Cina. Ma nessuno può dire che questa comunità sia una comunità in qualche modo identificata come una “quinta colonna” di qualche potenza straniera o un’élite di persone che vivono in Cina o che sia  guidata da infatuazioni, interessi e prossimità con  civiltà altre da quella cinese. I cattolici oggi in Cina sono pienamente cattolici e pienamente cinesi e questo tutto sommato era il sogno del concilio di Shanghai.

Di Maria Novella Rossi*

*Maria Novella Rossi, sinologa e giornalista RAI tg2, redazione esteri. Laureata in Lingua e Cultura Cinese, Dottore di Ricerca su “Gesuiti in Cina”, è stata in Cina la prima volta con una borsa di studio del Ministero degli Esteri dal 1984 al 1986; quindi è tornata molte volte in Cina per studio e per lavoro; è autrice di servizi e reportage sulla vita e la cultura in Cina trasmessi da Tg2 Dossier e da Rai Storia. Autrice anche di reportage sulle comunità cinesi in Italia. Corrispondente temporanea nella sede di Pechino per le testate RAI in sostituzione di Claudio Pagliara, attualmente continua a occuparsi di esteri con particolare attenzione alla Cina e all’Asia.