V Day – Pechino al centro del mondo

In by Simone

In una capitale blindata Xi Jinping celebra la vittoria della guerra di resistenza contro il Giappone. Assenti Usa e Tokyo, presenti Ban Ki-moon e Corea del Sud. Uno show dai diversi significati, con un nuovo status internazionale da affermare mentre l’economia tentenna e rispuntano le lotte interne al Partito. Si com­me­mora la kang­z­han shen­gli, la vit­to­ria della guerra di resi­stenza con­tro il Giap­pone. E Pechino torna ad essere blin­data come ai tempi delle Olim­piadi o dei 60 anni della Repub­blica popo­lare, o i 90 del par­tito comunista.
Gior­nate durante le quali, cam­mi­nando per Pechino, si viene sof­fo­cati da un tram­bu­sto biz­zarro, un tre­more della strada che spinge ad alzare lo sguardo.
Per sco­prire che quel rumore è dovuto alle mano­vre dei tank per le vie della capi­tale. Tia­nan­men, il ful­cro della parataè più al sicuro del solito (nelle gior­nate nor­mali si accede al cen­tro della piazza, dopo aver supe­rato i metal detec­tor). Per i cinesi, e chi vive nella capi­tale, è tutto molto normale.

Molti, come durante le cele­bra­zioni pre­ce­denti, se ne vanno: chi sulle mon­ta­gne a pochi chi­lo­me­tri (dove si svol­ge­ranno le Olim­piadi inver­nali del 2022), chi verso il mare. Rimar­ranno per lo più curiosi, le migliaia di per­sone reclu­tate per la sfi­lata e i fun­zio­nari pronti a cele­brare loro stessi, insieme alla ricor­renza. Per la prima volta la Cina festeg­gia, dichia­ran­dola festa nazio­nale (come accade per la fon­da­zione della Repub­blica, il primo otto­bre), il 3 set­tem­bre: i 70 anni dalla libe­ra­zione dall’invasione giap­po­nese. Un evento che si ammanta di nuovo nazio­na­li­smo e che uni­sce in fun­zione anti giap­po­nese gran parte dei paesi asiatici.

La parata che celebra la libe­ra­zione della Cina, arriva in un momento sto­rico e con­tin­gente molto par­ti­co­lare: da un punto di vista gene­rale rap­pre­senta la Cina del pre­si­dente Xi Jin­ping, attiva dal punto di vista inter­na­zio­nale e vogliosa di sfog­giare i pro­pri muscoli di fronte al mondo, ma in par­ti­co­lare per ricor­dare la pro­pria forza ai vicini asiatici.

Non a caso pro­prio in rife­ri­mento al Giap­pone, l’armamentario che viene mostrato è un mes­sag­gio a Tokyo e a tutti quelli che si oppon­gono alle mire marit­time cinesi nel Paci­fico. È un mes­sag­gio anche a Washing­ton: la stra­te­gia pivot to Asia di Obama dovrà fati­care di fronte a un tale sfog­gio di potenza. Dal punto di vista della con­tin­genza, que­sta com­me­mo­ra­zione arriva in un momento di debo­lezza del paese. I crolli delle borse hanno dimo­strato diverse sof­fe­renze da parte della diri­genza nel gestire alcuni pro­cessi finan­ziari. E la repres­sione che ne è seguita, com­presa la con­fes­sione coatta di un gior­na­li­sta addi­tato come il respon­sa­bile di tutto, non pare essere all’altezza di una diri­genza sicura del fatto suo.

Le esplo­sioni di Tia­n­jin hanno com­pli­cato le cose, anche per­ché il feno­meno dell’incuria (e del fitto col­le­ga­mento tra affari, fun­zio­nari e cor­ru­zione) è piut­to­sto dif­fuso. Un’altra esplo­sione è avve­nuta a Don­gy­ing, nella pro­vin­cia dello Shan­dong, cau­sando la morte di una per­sona. Secondo il Don­gy­ing News l’esplosione sarebbe avve­nuta nella notte di lunedì.

Anche in que­sto caso, come per Tia­n­jin, sei diri­genti della com­pa­gnia sono stati fer­mati dalla poli­zia, men­tre le inda­gini sulle cause dell’incendio sareb­bero in corso. La Cina arriva dun­que a que­sta impor­tante vetrina inter­na­zio­nale in dif­fi­coltà. L’indice d’acquisto del mani­fat­tu­riero anche ad ago­sto è stato al di sotto di 50, cau­sando un nuovo flop della borse nazio­nali, men­tre all’interno del par­tito pare si stiano di nuovo con­su­mando bat­ta­glie non da poco.

Come sem­pre accade in Cina, è neces­sa­rio rac­co­gliere gli ele­menti giorno dopo giorno, per­ché poi i fatti pos­sano assu­mere una loro fisio­no­mia chiara. Nei giorni scorsi, ad esem­pio, come riporta Ifeng, una rivi­sta cinese, un’iscrizione di Jiang Zemin sarebbe stata rimossa da una nota scuola di Par­tito. La let­tura è ovvia­mente una­nime: si tratta di un segnale della lea­der­ship al vec­chio Jiang che ancora gesti­sce impor­tanti fette di potere.

Ma chi ha memo­ria ricorda un’altra cosa: l’anno scorso Xi Jin­ping aveva richie­sto espli­ci­ta­mente che aves­sero fine le iscri­zioni (con la gra­fia ori­gi­nale) dei vec­chi poli­tici, per met­tere una pie­tra sopra al culto della per­so­na­lità (degli altri). La rispo­sta di Jiang arrivò da lì a poco: in visita ad una scuola, lasciò pro­prio una sua iscri­zione. Come a dire: ho visto la nuova regola, e sono qui a riba­dire che io ne sono esente. E ora la con­tro­ri­spo­sta di Xi Jinping.

A Pechino sono arrivati in tanti, seb­bene l’evento cinese abbia finito per esem­pli­fi­care le attuali divi­sioni internazionali.
Ovvia­mente non c’è il Giap­pone, che anzi ha pro­te­stato con­tro la pre­senza del segre­ta­rio gene­rale delle Nazioni unite Ban Ki-moon. Non c’è Obama, per l’Italia c’è il mini­stro degli esteri Paolo Gen­ti­loni. Pre­sente anche la Corea del sud che ha in comune con la Cina la rivalsa con­tro il Giap­pone e parec­chi paesi alli­neati con Pechino (come ad esem­pio la Rus­sia o il Vene­zuela di Maduro). E per l’occasione Xi Jin­ping ha anche dichia­rato un’amnistia per molti dei pri­gio­nieri che par­te­ci­pa­rono al secondo con­flitto bel­lico. Tutti fuori, tranne chi è accu­sato di corruzione.

[Scritto per "Il Manifesto"]