Un’altra censura è possibile

In by Simone

Zeng Li era colui che all’interno del Southern Weekly – uno dei magazine più aperti del panorama editoriale cinese – controllava che gli articoli pubblicati non fossero troppo in antitesi con la vulgata della propaganda. È morto mercoledì scorso dopo appena tre giorni di pensione, ma prima di morire ha riaperto il dibattito sul giornalismo in Cina.
La lettera in cui Zeng Li si pente di alcune sue decisioni editoriali sta diventando virale sull’internet cinese. “Ripercorrendo gli ultimi quattro anni, mi accorgo di aver fatto degli errori. […] Ho cancellato alcuni contenuti che non avrei dovuto cancellare e avrei fatto meglio a seguire la mia coscienza piuttosto che portare avanti una missione politica”.

Zeng Li era assurto alle cronache nazionali e internazionali lo scorso gennaio, quando l’inedita protesta contro la censura dei giornalisti della sua testata aveva aperto un inconsueto dibattito sullo stato dei media cinesi.

Un breve riassunto dei fatti. Tutto è cominciato con l’editoriale di capodanno del settimanale – in cinese Nanfang Zhoumo – noto soprattutto per i suoi articoli di approfondimento sempre sul filo della censura e spesso slegati dalla propaganda di Partito.

L’editoriale in questione giocava sul “sogno cinese”, uno slogan inaugurato proprio dal nuovo presidente Xi Jinping e volto a sottolineare la crescita del Paese e quasi a volerlo confrontare con gli Stati Uniti. Ma tra il sogno cinese e quello americano ci sono alcune differenze sostanziali. Così l’editoriale della redazione del settimanale titolava ironicamente con il “sogno del costituzionalismo” e, auspicando rispetto della costituzione e aperture democratiche, sosteneva che “solo così sarà possibile costruire una nazione forte e libera”.

Ma questo editoriale era stato riscritto, plaudendo le politiche del Partito comunista. L’autore della colonna era stato addirittura Tuo Zheng, ovvero il capo del dipartimento della propaganda di una delle regioni più liberali della Cina, il Guangdong. Niente di nuovo nel panorama dell’informazione asservita agli interessi del Partito comunista (o alle masse come si è sempre giustificato), anche se in genere è più frequente che siano gli stessi giornalisti e i capiredattori ad applicare autonomamente l’autocensura al proprio lavoro.

Inedita invece era sta la coraggiosa reazione di 35 giornalisti della testata che in una lettera aperta fatta circolare il 4 gennaio su Sina Weibo, il microblog più diffuso nella Repubblica popolare, definivano l’intervento di Tuo “un gesto eccessivo e ignorante” e per questo ne chiedevano le dimissioni. Due giorni dopo, sull’account ufficiale del settimanale, era comparso un messaggio, immediatamente smentito dai giornalisti in questione, che sosteneva che l’editoriale incriminato fosse opera della redazione. La situazione aveva sbloccato la rabbia repressa. Giornalisti, opinionisti, gente comune, internauti e professori avevano espresso prima in rete e poi in piazza la solidarietà alla redazione del Nanfang Zhoumo. E, mentre gran parte della redazione entrava in sciopero, fuori dai suoi cancelli si radunava una folla che li sosteneva. Erano stati tre giorni incredibili per la libertà di espressione in Cina.

In quel frangente Zeng Li, che di mestiere faceva il censore al’interno della redazione e avrebbe dovuto assicurasi che gli articoli pubblicati non andassero contro i regolamenti dei dipartimenti di propaganda nazionali e regionali, aveva manifestato apertamente il suo supporto a quei giornalisti che stavano protestando contro la censura. Nella sua ultima lettera lo rimarca: “Mi sono esposto e mi sono espresso per un senso di giustiza. Ho la coscienza pulita e nessun ripianto”.

La sua lettera, datata al 28 aprile, è stata condivisa online da Chen Zhaohua, il direttore del Southern Metropolis Weekly, un giornale che appartiene allo stesso gruppo editoriale. Sebbene la morte di Zeng è un fatto privato, ha motivato il giornalista, l’esternazione del dolore che la sua dipartita ci causa significa condividere i valori per cui si è battuto. E infatti l’ultima lettera di Zeng Li è subito diventata virale nell’internet cinese: decine di migliaia i condivisioni e commenti. Ne riportiamo uno, che ci rimanda al peso che un gesto del genere ha ancora oggi nella Repubblica popolare cinese: “questa lettera è un documento della storia cinese”. Così Ma Yong, storico e sociologo dell’Accademia sociale per le scienze cinesi, il più importante think thank governativo.

[Scritto per Lettera43; fotocredits: niemanlab.org]