Una legge a metà

In by Gabriele Battaglia

Ieri, primo maggio, dopo 27 anni di tentativi, è entrata in vigore la prima legge sulla salute mentale in Cina. Potrebbe essere la fine dell’internamento forzato, su cui manca chiarezza da parte delle autorità sanitarie. Unico problema: la norma non parla di reinserimento dei pazienti o i fondi per l’assistenza. Il primo maggio è entrata in vigore la prima normativa cinese sulla salute mentale. Ci sono voluti 27 anni per stilarla e i media locali si dedicano principalmente a questo tema.

L’agenzia di stampa Xinhua la riassume in pochi punti. “I malati di mente, con l’eccezione di chi è gravemente malato e di chi potrebbe causare danni a se stesso o a altri, doverebbero ricevere cure solo su base volontaria”. E ancora: “Secondo la legge, la dignità, la sicurezza personale e la proprietà dei malati mentali non deve essere infranta”. E in ultimo: “Istituzioni e individui devono proteggere la privacy dei malati mentali prevenendo la diffusione di informazioni personali”.

Sono stati gli stessi psichiatri a volere una legge che in qualche modo segna un passo in avanti sulla gestione sanitaria di milioni di cinesi e, forse, metterà fine all’internamento forzato dei “malati mentali” dichiarati tali da medici in cerca di nuovi pazienti e individui pronti a tutto per sbarazzarsi di scomodi personaggi.

Sicuramente l’entrata in vigore di questa legge creerà nuovi problemi che andranno affrontati. Il dottor Michael Phillips, primario del centro prevenzione suicidi dell’ospedale di sanità mentale di Shanghai ha dichiarato al South China Morning Post che “l’80 per cento dei pazienti internati negli ospedali psichiatrici sono lì contro la loro volontà”. E chi gli fornirà supporto legale e assistenza psicologica una volta che, a seguito della nuova normativa, decideranno di uscire?

Questo è uno dei tanti interrogativi lasciati aperti dalla nuova legge. Ma è l’assenza di dati che rende il panorama cinese più che sconfortante. Non ci sono numeri ufficiali sugli individui dichiarati “malati mentali”. In Cina ci sono circa 600 strutture ospedaliere dedicate ai “malati mentali” e si stima un numero di circa 100 milioni di cinesi dichiarati affetti da disturbi mentali. Tra questi, solo 16 milioni sarebbero considerati gravi, mentre circa 10 milioni sarebbero affetti da forme di depressione più o meno gravi.

Il dibattito sui “malati mentali” era iniziato già nel 1985 ma si è sempre arenato su problematiche come l’attribuzione delle responsabilità, i criteri di ammissione nelle strutture dedicate agli standard che queste avrebbero dovuto garantire. Lo stesso ministro della Sanità Chen Zhu lo scorso anno aveva dichiarato che la mancanza di standard e l’internamento forzato erano i problemi più grande che il sistema di sanità mentale del paese si trovava ad affrontare.

Ieri il Southern Metropolis Daily ha posto la questione più grande. Fino a quando saranno gli altri a dichiarare una persona “malata di mente”, la legge non potrà proteggere tutti coloro che sono sono stati internati perché fonte di rancore da parte di famigliari che semplicemente volevano sbarazzarsi di loro.

E non è un fenomeno raro. L’edizione cinese del Global Times oggi riporta che circa il 70 per cento delle persone internate sono state confinate in ospedale solo a seguito delle dichiarazioni dei coniugi “sani”. Secondo l’articolo in questione, la nuova legge fa un passo in avanti: “L’ammissione di un paziente in manicomio dovrà basarsi sulla diagnosi di uno psichiatra specialista piuttosto che dalla struttura che li ospedalizza. E la diagnosi dovrà essere verificata da due specialisti indipendenti se i famigliari del paziente lo richiederanno”. Ma, sottolinea l’articolo, “La legge appena promulgata offre solo delle linee guida generali, ma non risponde in maniera dettagliata su come un potenziale malato di mente possa esprimere il suo consenso”.

Inoltre, come aveva notato già a dicembre il China Law and Policy, questa legge non prende assolutamente in considerazione come il “malato di mente” possa condurre una vita indipendente e possa essere accettato dalla società. E soprattutto tace su fondi e incentivi necessari all’assistenza medica e psicologica di cui queste persone avranno indiscutibilmente bisogno.

[Scritto per Lettera43; foto credits: foreignpolicy.com]