Diplomazia cinese al lavoro tra Khartoum e Juba. La Cina potrebbe diventare il mediatore ufficiale tra i due Sudan. Non è cosa da poco, perché Pechino accantonerebbe così uno dei principi fondamentali della propria politica estera: la non intromissione nelle vicende interne degli altri Paesi.
Il modello “win-win” a cui si ispira la Cina – relazioni bilaterali con benefici economici per tutti in termini di Pil – necessita infatti di un riaggiustamento alla luce della secessione del Sud Sudan daKhartoum, che risale a meno di un anno fa.
Di fatto, il 75-80 per cento del petrolio sudanese che prende la via del Dragone viene estratto nel giovane Sud e poi sconfina a nord via oleodotto, per poi essere imbarcato a Port Sudan. Pechino non può permettersi che la guerra di frontiera tra Khartoum e Juba interrompa il flusso.
Le autorità cinesi lo sanno bene ma, caso mai ce ne fosse bisogno, gliel’ha recentemente ricordato il presidente del
Sud Sudan, Salva Kiir Mayardit, sbarcato a Pechino con il suo cappello texano – si dice sia un regalo di George W. Bush, ma pare che poi lui se ne sia comprati altri due – e ricevuto con tutti gli onori.
Kiir ha di fatto investito la Cina del ruolo di mediatore. Secondo quanto riporta China Daily, "ha ringraziato la Cina per l’aiuto e affermato che il Sud Sudan apprezza il rapporto di amicizia con Pechino.
Il suo Paese è pronto ad approfondire la cooperazione con la Cina in tutti i settori e fornire un ambiente sicuro e conveniente per gli investimenti cinesi nel Paese. Per quanto riguarda l’attuale tensione tra Sudan e Sud Sudan, Kiir ha chiesto una soluzione pacifica al posto della forza militare”.
Il Sud Sudan,
il Paese più giovane del mondo, è totalmente aperto agli investimenti. La comune matrice cristiana lascerebbe intendere che con l’Occidente Juba potrebbe avere un rapporto privilegiato, ma non bisogna lasciarsi ingannare: da qualsiasi parte vengano, i soldi aprono tutte le porte.
E la Cina non ha nessun problema a farsi nuovi amici a sud, mentre conserva quelli a nord: il 28 aprile, un portavoce del governo cinese ha annunciato prestiti per lo sviluppo del Sud Sudan da 8 miliardi di dollari, spalmati nei prossimi due anni.
Il presidente Kiir ha anche proposto alla Cina di collaborare al progetto di
oleodotti alternativi, che bypassino il Sudan, un’idea su cui il neonato Paese è già in trattativa con l’Etiopia, il Kenya e un’impresa texana che dovrebbe fare i lavori.
Pechino ha declinato l’invito, ma Kiir sembra determinato a voler proseguire comunque su questa strada nei prossimi mesi. Un’altra gatta da pelare per Pechino.
La
presenza cinese a Juba e dintorni è aumentata esponenzialmente nei dieci mesi trascorsi dall’indipendenza. Oltre ai rapporti petroliferi, le aziende cinesi forniscono infrastrutture e il Sud Sudan ha bisogno di tutto: strade, ponti, telecomunicazioni, centrali e reti elettriche, scuole, ospedali, edifici pubblici, impianti di trattamento delle acque, dighe e sistemi di irrigazione, nuove installazioni per l’industria petrolifera.
Le aziende cinesi stanno facendo studi di fattibilità in lungo e in largo e producono già alcune proposte, ma gli accordi più importanti sono ancora da chiudere.
In questo quadro, anche se il governo centrale di Pechino ricopre un ruolo fondamentale nel garantire un accesso sicuro al mercato, l’impegno cinese in Sud Sudan non è gestito monoliticamente.
Secondo il nuovo modello “di mercato” che si sta affermando, le imprese private e piccoli imprenditori si muovono sempre più indipendentemente come player a tutto tondo, con i propri investimenti. Ma perché la situazione si sblocchi definitivamente, deve tornare la calma.
Del resto, anche in Occidente c’è chi vede la Cina come naturale mediatore. È questo il caso dell’
International Crisis Group – un think tank di Bruxelles in odore di World Bank ma, come si suol dire, “non partisan” – che si sbilancia addirittura in alcune raccomandazioni per il governo di Pechino.
L’Icc chiede alla Cina di “assumersi le responsabilità politiche commisurate al suo status economico”, secondo alcune linee guida che prevedono, oltre ad articolate forme di finanziamento al Sud Sudan, “il rafforzamento dei recenti sforzi diplomatici attraverso il coinvolgimento più attivo e regolare nelle trattative Nord-Sud, anche con una partecipazione diretta tramite un inviato con poteri speciali”.
Mentre annunciava il prestito da
8 miliardi, il governo cinese ha confermato che un suo inviato, dopo avere visitato Khartoum, è in viaggio verso Juba.
* Gabriele Battaglia è fondamentalmente interessato a quattro cose: i viaggi, l’Oriente, la Rivoluzione e il Milan. Fare il reporter è il miglior modo per tenere insieme le prime tre, per la quarta si può sempre tornare a Milano ogni due settimane. Lavora nella redazione di Peace Reporter / E-il mensile finché lo sopportano.