Twitter, artisti e silenzi

In by Simone

In Cina l’informazione è censurata. Questo stimola molti articoli sul web cinese e le ottusità del governo locale in tema di libertà di espressione. Che in Cina esista la censura, non lo negano neanche i cinesi, anzi, lo sanno perfettamente. Quando però una rete di attivisti, seppure minoritaria, buca la censura e via Twitter (e Buzz) annuncia qualche evento e ne segue lo svolgimento in diretta, in Italia si “buca” il tutto alla grande. Tira poco, forse.

I fatti: lunedì mattina alcuni artisti situati in una zona oltre il quinto anello pechinese vengono aggrediti da un gruppo di sgherri. Alcuni vengono picchiati. Il motivo è semplice: sono in una zona in cui la demolizione è un esercizio quotidiano. I loro studi sono in mezzo a un mare di detriti, di case tirate giù, mentre schiere di palazzi tutti uguali popolano altre spianate di terreno. Periferia pechinese. Anche il posto dove stanno gli artisti è da buttare giù. Loro però sono rimasti lì, ed ecco l’intimidazione. Si dirà, in seguito, che gli sgherri sono stati mandati dai costruttori: alcuni sono stati arrestati, una sorta di prova di innocenza da parte della polizia locale.

Nel pomeriggio di lunedì una manciata di artisti decide di fare una cosa inaudita da queste parti: marciare su Chang’an Avenue, la via che porta diretti a Tianamen. Vent’anni dopo, come viene scritto su Twitter, qualcuno marcia di nuovo su quelle strade. E’ un evento. Succede poco in realtà, ma a livello di immaginario l’esito è grande: interviene la polizia, qualche striscione viene rimosso e tutto finisce in fretta. Su Twitter però rimbalza l’eco dell’azione, c’è fermento, si respirano di nuovo i giorni del boicottaggio contro la Green Dam Youth Escort (il filtro alla navigazione, un’operazione non riuscita al governo cinese anche grazie al boicottaggio operato da molti netizens) o quelli di altre piccole  e grandi forme di disobbedienza civile.

Gli artisti sono ben lontani dal centro, ma di fronte ai loro capannoni pronti per essere distrutti, mostrano le foto degli aggrediti. Sul posto – ancora oggi, sabato – molti poliziotti che immediatamente circondano e identificano chiunque si avvicini. “Stiamo celebrando il giorno delle Lanterne”, dice una ragazza, a due metri dalle foto degli artisti picchiati, ma accanto ad un poliziotto che parla inglese. Non sta succedendo niente di che, è il messaggio.

Ne hanno parlato molti quotidiani, dal Guardian al New York Times, perfino il cinese Global Times. Non una parola sui siti dei principali quotidiani italiani: forse la notizia tira poco, forse alcuni cinesi che sfidano il sistema costituiscono qualcosa di meno attraente dei soliti aneddoti sulle stranezze o lo durezze del governo cinese. O forse perché significherebbe mettere sotto una seria lente di ingrandimento i meccanismi del web cinese, spesso catalogati semplicemente alla voce “censura”. E’ vero: Twitter, Facebook e Youtube, in Cina ufficialmente sono censurati, non funzionano, il governo non vuole che i cinesi possano accedervi. Kevin Spacey, noto attore hollywoodiano, sul suo twitter ha scritto una settimana fa: “sono stato in Cina per le riprese di un film. Senza Twitter e Facebook”. Forse nessuno gli ha consigliato una via d’uscita: bastava andare su uno dei tanti  siti ponte (gestiti da cinesi che traducono in inglese i blog locali) per trovare il rimedio. Esistono infatti moltissime scappatoie: alcune riservate agli stranieri, o ai cinesi in possesso di una carta di credito straniera, come ad esempio i proxy a pagamento (5 dollari al mese), altri invece per tutti: sono gratis.

Quasi tutti i cinesi che si interessano ad alcuni temi sono su Twitter (da tempo peraltro, mentre adesso imperversa anche il buzz di Google). Scrivono, polemizzano, creano immaginari. E forse, per capire e descrivere meglio questa complessità, basta parlare con loro, chiedere, confrontarsi. Sono anche molto disponibili a incontrare stranieri, senza però cedere ai consueti stereotipi. La loro è una lotta con “caratteristiche cinesi”, poco sfruttabile dal facile dualismo “regime-democrazia”. Conoscono bene i limiti delle nostre democrazie, non hanno problemi a parlare di quelli del loro sistema: semplicemente non accettano lezioni di “democrazia” occidentale. Quando si parla di Cina contemporanea, si parla anche di loro, di queste voci complesse. Il governo le vuole silenti. E spesso si scrive di queste manovre censorie, mentre raramente si “racconta” il mondo cinese che – minoritario e con fatica, certamente – si oppone ad esso, anche attraverso gli strumenti che nelle cronache occidentali, spesso, passano come simboli assoluti della censura cinese.

*anche su Scene Digitali – Repubblica