La rivolta dei Taiping (1850-1864), con i suoi venti e più milioni di morti, devastazioni di villaggi e distruzioni di città del basso Yangtze, una delle zone tradizionalmente più ricche e popolose della Cina, è considerata tra i periodi più difficili della storia cinese moderna e contemporanea. China Files vi regala uno stralcio di Tra i ribelli Taiping (per gentile concessione della casa editrice O barra O).
Non capivo perché il brigante non ci avesse uccisi subito, né perché non si fosse pronunciato sulla nostra sorte. Che avesse intenzione di lasciarci andare? Dopo neppure un quarto d’ora, ci ordinarono di metterci in marcia. Allora anche lo zio era di nuovo al nostro fianco. Fummo trascinati fuori e a ognuno di noi fu assegnato un fardello da portare. Avevamo percorso appena qualche metro quando vedemmo la figlia del tenutario Pang. Indossava un abito nuovo e sulla testa portava una fascia di seta rossa. Viaggiava a dorso d’asino, a fianco di Sua Eminenza Li, ridendo e scherzando. I banditi la chiamavano “donna virtuosa”, questo perché stava già con il loro capo. Seguivano il cavallo diversi giovani briganti tra i tredici e i quindici anni, abbigliati con vesti sgargianti e con la coda legata da fili rossi. In spalla portavano coltelli e bandiere. Alcuni di loro trasportavano un oggetto avvolto in seta gialla e rossa simile a una tavoletta di legno, lungo circa cinque cun, largo due o tre cun e spesso meno di un cun. Si trattava del sigillo dei banditi. Alcuni impugnavano un coltello a lama corta, altri delle fruste di giunco, altri ancora dei forconi.
Erano bellissimi. Avevano la pelle candida e i capelli lunghi da due cun a oltre un chi. Tutti li chiamavano “capi in seconda” oppure “principini”, ma in realtà si trattava di amanti dei banditi. Avanzavano subito dietro al cavallo del capo e, quando lui si fermava un istante, lo circondavano senza allontanarsi di un passo, scrutando il suo volto in attesa di ordini, facendo tutto il possibile per compiacerlo. Ahimè, in realtà questi ragazzi amavano appiccare incendi e uccidere, erano un miscuglio di tutte le perversioni del mondo! Io e la fila di prigionieri con cui condividevo la corda al collo fummo sospinti in mezzo alla folla. Non osavamo fermarci, né avevamo il coraggio di lasciar trasparire la nostra sofferenza. Pensavo che forse durante il tragitto avrei avuto occasione di fuggire, ma poi venivo preso nuovamente da paura e sconforto.
All’epoca, tutte le colonne dei banditi stavano convergendo verso sud, all’attacco di Suzhou e Hangzhou, per un totale, almeno secondo i briganti, di diversi milioni di uomini. Lungo il tragitto, avanzavamo in file composte da una decina di persone, bloccando la strada e facendo una gran confusione, come se fossimo uno stormo di corvi o un esercito di formiche, il tutto per diverse decine di li, senza interruzione. In questa schiera, i banditi autentici, quelli originari di Guangdong, Guangxi, Hunan, Hubei, Jiangxi, Fujian, Anhui e persino Nanchino, erano appena quattro o cinque su dieci. Il resto erano tutti prigionieri catturati di recente. Giunti a Longdu, a ovest della strada vedemmo un incendio non ancora domato, mentre a est si levavano nuove fiamme.
Ovunque c’erano cadaveri, alcuni dei quali decapitati, una scena che si ripeté invariata fino a quando non arrivammo a Hushu. A Hushu, sul viale Yaoxi, c’era un negozio di proprietà della mia famiglia che aveva appena iniziato a bruciare. Le fiamme si levavano furiose, quasi a lambire il cielo, ardendo merci, porte, finestre e mobili. Senza fermarci un solo istante, uscimmo dal paese dalla parte del villaggio di Dugui, in direzione sud-est. Lungo il percorso, i più deboli, in particolare anziani e bambini, crollavano dalla stanchezza, ma quando facevano per accovacciarsi, venivano accoltellati e abbandonati agonizzanti sul bordo della strada.
Alcuni all’improvviso saltavano nei fiumi nella speranza di riuscire a fuggire, ma non appena entravano in acqua, i banditi iniziavano a colpire la superficie con le lance o a sparare con gli archibugi. Tra i cento che ci provarono, non uno si salvò, e l’acqua si tinse di rosso. Nel caso dei contadini, se qualcuno veniva scoperto mentre progettava la fuga o veniva riacchiappato dopo essere fuggito, i banditi gli mozzavano le orecchie e lo costringevano ad avanzare con le mani legate dietro la schiena. Sebbene avessero il corpo interamente coperto di sangue, a costoro non era permesso sostare, e quando erano troppo stanchi, venivano ammazzati. Un trattamento così severo probabilmente era dovuto al fatto che i contadini erano forti e i banditi speravano di utilizzarli in prima linea per combattere. Quando si rifiutavano, i banditi si infuriavano e quindi tagliavano loro le orecchie, costringendoli a camminare di buon passo fino a quando non erano in fin di vita, per poi ammazzarli come avvertimento per gli altri.
Nelle case lungo la strada o in angoli oscuri di cimiteri a volte si vedevano un paio di anziani o bambini. Sebbene fossero già moribondi, i banditi li finivano comunque a coltellate, tagliando loro la testa o un piede da appendere alla lancia come trofeo, per poi rimettersi in marcia. Le donne e i bambini, costretti ad avanzare a dispetto della propria debolezza, venivano calpestati a morte dalla folla, finché gli occhi uscivano loro dalle orbite e le viscere si spargevano sul terreno. Situazioni del genere non si contavano. A un certo punto, fu dato l’ordine di fermarsi a mangiare. Vidi un appezzamento di terra incolto su cui erano sparsi mattoni e pietre. Paioli di bronzo e ferro erano posati su fuochi ancora accesi. Abbandonate sul terreno, c’erano ciotole e tazze con un po’ di avanzi. Coloro che ci avevano preceduto dovevano essersi fermati laggiù a mangiare, prima di proseguire il cammino. I briganti si affrettarono a procurarsi un posto su quello spiazzo, mentre altri correvano al villaggio più vicino alla ricerca di cibo. Ordinarono di cuocere il riso che i nuovi prigionieri portavano in spalla e, incuranti se fosse cotto o crudo, divorarono il tutto come tigri e lupi affamati.
Per esperienza, temevamo che se non avessimo mangiato, non avremmo avuto le forze necessarie per proseguire, tuttavia, anche volendo, non riuscivamo a inghiottire. Ci costringemmo a mandare giù alcuni bocconi, ma dovemmo presto rinunciare. Fu allora che vidi una decina di miei compaesani che erano appena stati ricatturati. I banditi facevano a gara per accoltellarli e io non osavo guardare. Mi ero appena voltato dall’altra parte, quando un brigante si avvicinò di corsa, dicendo: «Non vuoi guardare? Non hai scelta!». Mi trascinò a forza, e dopo avermi costretto a girarmi, spinse uno dei miei compaesani al mio cospetto, massacrandolo senza pietà davanti agli occhi di tutti. L’uomo era già caduto a terra, ma il bandito lo afferrò per la coda e lo colpì sulla coppa.
Alla prima coltellata, si potevano ancora sentire le grida; alla seconda, rimase immobile; alla terza, la testa si staccò, tranne che per un sottile lembo di pelle sulla gola. Il brigante recise quest’ultima striscia e la testa cadde a terra, con uno spruzzo di sangue che schizzò a tre chi di distanza. Altri furono decapitati con due o tre colpi. In un istante, una dozzina di persone fu ammazzata in questo modo, tra il suono dei coltelli che laceravano la carne. Raccogliendo da terra le teste, i banditi avvertirono la folla: «Se provate a scappare, questa sarà la vostra sorte!». Non appena ebbero finito di parlare, lanciarono le teste in aria, presero i coltelli e se ne andarono. Eravamo ancora impietriti dalla scena, che già ci ordinavano di procedere.
*Li Gui, nato nel 1842 nei pressi di Nanchino, trascorse l’infanzia dedicandosi allo studio dei testi confuciani in preparazione agli esami imperiali. Nel 1860 la sua famiglia fu decimata dai Taiping e lui fu fatto prigioniero. Rimase nelle mani dei ribelli fino al 1862, quando riuscì a fuggire a Shanghai. Tre anni dopo entrò in servizio alle Dogane marittime imperiali, che nel 1876 lo inviarono in missione negli Stati Uniti. Dalle osservazioni raccolte trasse il Nuovo resoconto di un viaggio intorno al mondo, un reportage che all’epoca ottenne uno straordinario successo. Negli anni seguenti, ricoprì una serie di incarichi ufficiali, contribuendo, tra l’altro, a introdurre in Cina un sistema postale moderno. Morì nel 1903.