Tpp, l’accordo Trans-Pacifico c’è

In by Gabriele Battaglia

Sono servite alcune ore in più rispetto alla scadenza prevista, ma alla fine i ministri del Commercio di Stati Uniti, Giappone e di altri 10 Paesi sulle due sponde del Pacifico hanno portato a casa l’intesa sul più importante trattato di libero scambio da decenni. I dodici Paesi (oltre a statunitensi e nipponici, Australia, Brunei, Canada, Cile, Malaysia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam) rappresentano circa il 40% dell’economia globale. Per Washington, il Partenariato Trans-Pacifico (Tpp) porterà alla cancellazione di circa 18mila tariffe imposte sulle esportazioni made in America.

Soprattutto l’intesa raggiunta dopo cinque giorni di negoziati ad Atlanta rappresenta un punto a favore del presidente Barack Obama, in prima fila nel sostenere il progetto, parte della più ampia strategia di riposizionamento statunitense in Asia in chiave di contenimento dell’influenza cinese. E lo stesso si può dire per il governo giapponese di Shinzo Abe che vede nel Tpp un arco nella faretra per il rilancio della terza economia al mondo, sebbene nell’arcipelago sia un tema sensibile perché cadranno barriere nel settore dell’agroalimentare e dell’auto.

La creazione di un blocco economico-commerciale cui guardano con interesse anche Corea del Sud, Colombia e Thailandia potrebbe essere ricordato come uno dei più importanti traguardi raggiunti dall’amministrazione Obama. Non nasce però sotto la spinta statunitense. Il progetto risale infatti al 2007, quando partirono i primi negoziati tra Cile, Nuova Zelanda e Singapore, mentre gli Usa entrarono nella partita soltanto l’anno successivo.

Sul piano diplomatico la raggiunta intesa garantisce a Stati Uniti e Giappone di contrastare l’attivismo di Pechino. Metà dei Paesi coinvolti è anche tra i fondatori della Banca asiatica per le infrastrutture e lo sviluppo, istituita come contraltrare alla organizzazioni finanziare multilaterali dove predomina l’influenza americana e alla quale hanno deciso di non aderire proprio Washington e Tokyo.

«Non possiamo far scrivere le regole dell’economi a globale a Paesi come la Cina», ha dichiarato Obama nel commentare l’accordo. Dal canto loro i cinesi hanno sottolineato la necessita di maggiore trasparenza nei negoziati sposando in parte le posizioni dei critici del Tpp.

Con il trattato cambiano le regole di scambio di servizi e prodotti. Si spazia dalla carne ai prodotti agricoli; dal settore auto allo standard sulla protezione dei dati. Un punto cruciale dell’ultima tornata di negoziati è stato quello dei brevetti farmaceutici, in particolare sui farmaci cosiddetti biologici Gli Usa avrebbero voluto una durata fino a dodici anni, l’Australia cinque: il compromesso alla fine è stato trovato ad otto.

Il Tpp dovrebbe inoltre portare a nuovi standard in materia di protezione dell’ambiente e di tutela delle condizioni di lavoro. Secondo quanto riporta il Financial Times, pur non scritta, ci sarebbe anche un’intesa affinché i dodici Paesi non si imbarchino in strategie di svalutazione competitiva. Nelle prossime settimane il testo sarà formalizzato e saranno chiariti i dettagli tecnici.

Dopo le firme dei capi di Stato e di governo servirà la ratifica dei Parlamenti e per Obama si potrebbe aprire un nuovo terreno di scontro. Critiche sono infatti arrivate sia da diversi esponenti dei repubblicani, con in prima fila il candidato alle primarie Donald Trump, sia da alcuni democratici.

Ai risultati di Atlanta si guarda anche in Europa, mentre procede al rilento il negoziato sul Partenariato Transatlantico sul commercio e gli investimenti. Si tratta di «un passo fondamentale», ha commentato il viceministro allo Sviluppo economico italiano, Carlo Calenda, «ora dobbiamo lavorare rapidamente per completare il negoziato per il Tpp prima delle elezioni presidenziali americane». 

[Scritto per Milano Finanza]