The Leftover of the Day – Tronchetto dell’infelicità

In by Simone

Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
2 febbraio 2010, 17:24
Tronchetto dell’infelicità

Nei suoi appunti veneziani ha scritto da qualche parte “tronchetto”. Mi rivolge a bruciapelo questa domanda: “Come chiamate in italiano il tronchetto?”. Lo guardo esterrefatta, non ho idea di cosa stia parlando, immagino subito che si sia confuso con la fermata Tronchetto di Venezia, ma non voglio ancora espormi, così gli chiedo a mia volta: “What do you mean?”. Lui risponde che durante l’intervista gli avevano parlato di un indumento specifico per l’acqua alta che si chiama tronchetto. Mi viene da ridere, ma mi trattengo, gli dico: “Ma sei sicuro? A Venezia usano gli stivali per l’acqua alta, ma non ho mai sentito parlare di nessun indumento con quel nome. Forse ti sei confuso con Tronchetto”. 

“Ah, in effetti sul taccuino c’è scritto Tronchetto e subito accanto Piazzale Roma”
Ecco, appunto. Ma la discussione non è ancora conclusa; lui insiste: “Comunque sul mio dizionario c’è scritto che tronchetto significa anche stivale”. Spazientita eppure con il dubbio che cova, controllo su Garzanti Linguistica: lì si dice solo che tronchetto può essere sinonimo di tronchese, oppure una pianta (tronchetto della felicità) o un dolce. Lui però non è soddisfatto, dice che il suo vocabolario gli dà come spiegazione stivale. Gli dico: “Please, believe me, I’m more Italian than your dictionary!”. Lo sento che continua a cercare e mi impunto anche io, l’unica cosa che si avvicina al senso di tronchetto come stivale è lo stivale a tronchetto, glielo dico e aggiungo che in genere non si dice tronchetto per dire stivale. Lui stampa una pagina e me la mostra soddisfatto: è la foto di un paio di stivali chiamati tronchetti. Non ne uscirò viva.

2 febbraio 2010, 17:56
Dolce vita

A pranzo mi annuncia che si prenderà una vacanza.
Non ci credo molto: ogni volta che mi ha parlato della sua intenzione di prendersi una pausa, per un motivo o per l’altro, non è mai accaduto. Sospetto sia un altro di quei casi. Anche se stavolta è un po’ diverso. Dovrebbe prendere una vacanza che è una sorta di premio da parte dell’azienda e deve farlo entro marzo, altrimenti perde la possibilità e la vacanza “scade”.
Gli domando se, qualora non riuscisse a usare i giorni di ferie, quei giorni gli verrebbero tramutati in compenso e lui mi spiega che in generale il loro sistema non funziona così: è irrilevante se uno gode o meno delle ferie, per loro la logica è: anche se vai in vacanza, il tuo stipendio ti sarà garantito.

È per questo, conclude, che è così difficile prendersi le ferie in Giappone… Life is difficult in Japan. Ed è per questo, dice, che lui non vorrebbe tornare in Giappone. Si è affezionato allo stile di vita dell’Italia e vuole persino scrivere un libro per i giapponesi: Cosa si può imparare dall’Italia. Sarà.
Gli dico che anche noi avremmo parecchio da imparare dal Giappone, lui concorda ma sostiene che il prezzo che i giapponesi pagano per la loro famosa e famigerata efficienza è troppo alto, che al dunque non vivono bene. È vero, per carità, e a volte lui ne è la prova vivente, benché residente fuori dal suo paese… Certo che pure in Italia, però.

*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)