Le manifestazioni e la repressione della primavera 2010 passano per le aule di tribunale. L’ex premier Abhisit dovrà rispondere di omicidio, mentre 24 esponenti delle camicie rosse fedeli al deposto primo ministro Thaksin sono sotto processo per terrorismo. In attesa, forse, di un’amnistia.
Passa per le aule di tribunale il ricordo della repressione della manifestazioni antigovernative che nella primavera del 2010 investirono per quasi due mesi Bangkok. Ieri l’ex primo ministro Abhisit Vejjajiva e il suo vice Suthep Thaugsuban sono stati incriminati con l’accusa di omicidio per la morte di un tassista colpito dalle forze di sicurezza che aveva ricevuto da governo l’autorizzazione a sparare nelle aree attorno alle barricate dei dimostranti.
Parte invece oggi il processo per terrorismo contro 24 esponenti del movimento delle camicie rosse, tra cui cinque parlamentari, che due anni fa protestarono in migliaia a sostegno del ex premier in esilio Thaksin Shinawatra e per chiedere le dimissioni di Abhisit.
A scalzare dal governo il primo ministro ora incriminato è stata diciassette mesi fa con regolari elezioni Yingluck Shinawatra, sorella di Thakisn riparato all’estero per sfuggire alle accuse mossegli dopo il colpo di stato che lo spodestò nel 2006 e ancora una figura polarizzante nel Paese.
La riconciliazione nazionale dopo la repressione che fece almeno 90 morti e trascorsi anni di divisioni politiche non è invece ancora compiuta. Lo dimostrano la manifestazione di alcuni esponenti delle camicie rosse che hanno contestato il politico sotto accusa intonando canti in ricordo della protesta.
“Le accuse sono motivate politicamente”, ha detto Abhisit ai giornalisti a margine di quattro ore di colloquio con i funzionari del Department of Special Investigation, “Sono certo della nostra innocenza”, ha dichiarato, sottolineando quelle che considera l’inconsistenza e le contraddizioni della accuse.
Né Abhisit né Suthep saranno comunque messi agli arresti ha sottolineato il direttore generale del DSI, Tharit Pengdit. Prima di loro né esponenti dell’esecutivo né dell’esercito erano stati messi sotto inchiesta per le morti durante la repressione. Secondo le prove raccolte da Human Rights Watch, i soldati sono coinvolti nella morte di almeno 36 manifestanti. L’organizzazione sottolinea tuttavia che anche tra le file dei dimostranti ci fu chi era armato e per questo deve essere processato.
Le accuse contro il premier partono dalla sentenza con cui il tribunale di Bangkok stabilì le responsabilità dell’esercito nella morte di Phan Khamkong il 12 maggio del 2010. Lasciato il taxi dal meccanico fu colpito da un proiettile mentre camminava. Come ricorda Bloomberg l’omicidio di Phan dovrebbe ricadere fuori dai parametri in discussione in Parlamento per un’amnistia dei reati di natura politica commessi tra il 15 settembre 2005 e il 10 maggio 2011.
Tuttavia, scrive l’Associated Press, l’incriminazione di Abhisit potrebbe essere una carta da giocare per quanti vorrebbero far cadere le accuse anche contro Thaksin, un provvedimento che al momento incontra l’ostruzione dell’opposizione che tuttavia potrebbe cedere se l’amnistia dovesse riguardare anche il proprio leader. Di suo Abhisit sembra voler andare incontro al processo, cercando di stanare il rivale a fare altrettanto.
Decisi “a combattere sino alla fine”, sono anche il leader rossi il cui processo è iniziato oggi e che, per bocca di Jaturpon Prompan, chiedono che sia garantita un amnistia a tutti i gruppi politici. Il processo a loro carico, come quello contro Abhisit, potrebbe durare anni. Cinque di loro si è detto sono parlamentari, colleghi in questo dell’ex premier. Le udienza si possono svolgere soltanto nei periodi in cui il Parlamento non è riunito e gli imputati non sono protetti dall’immunità.
[Foto credit: redphanfa2day.wordpress.com]