Ex politica del DPP, la quasi 56enne ha battuto il candidato favorito dall’establishment del partito grazie a uno stile comunicativo combattivo e una visione più decisa sul futuro della principale forza d’opposizione a Taipei. Con uno sguardo già alle elezioni del 2028
Cheng Li-wun è la nuova presidente del Guomindang (KMT), dopo aver vinto a sorpresa (ma nettamente) le elezioni interne di sabato 18 ottobre. Come scritto nella puntata precedente, dopo il fallimento dei voti di revoca dei deputati del Guomindang, il principale partito d’opposizione ha tenuto le elezioni interne per decidere il suo nuovo presidente (le elezioni precedenti del 2021 le avevo raccontate qui).
Il leader uscente Eric Chu aveva auspicato la successione della sindaca di Taichung, Lu Shiow-yen. Ma lei ha detto di no, preferendo terminare il secondo mandato come prima cittadina. Una mossa volta a evitare di logorarsi nella lunga marcia di avvicinamento alle presidenziali del 2028, lungo la quale sarebbe chiamata a esprimersi su vicende scomode rishciando di bruciarsi. Meglio restare a Taichung e lanciare la sfida più avanti. Una sfida, quella per la candidatura a presidente, che la vede attualmente in vantaggio rispetto al sindaco di Taipei, Chiang Wan-an, più battitore libero e meno amato dai “grandi vecchi” del partito.
Chi è Cheng Li-wun
Cheng Li-wun compirà 56 anni a novembre ed è stata sin qui protagonista di una carriera politica peculiare, che l’ha vista militare prima nel Partito progressista democratico (DPP) e poi passare al Guomindang (KMT). Nata a Yunlin, non ha passato l’infanzia a Taipei o in una delle principali città di Taiwan. La sua famiglia ha origini nella provincia cinese dello Yunnan. Dopo il diploma presso la prestigiosa Taipei Municipal Zhongshan Girls High School e la laurea in giurisprudenza alla National Taiwan University, ha frequentato un master negli Stati Uniti e a Cambridge in relazioni internazionali.
Di ritorno da Cambridge, Cheng è entrata nel DPP e in questi giorni circolano sui social dei video di suoi discorsi di allora dove definiva il KMT di Chiang Kai-shek un “regime spietato e crudele” ed esprimeva posizioni esplicitamente pro indipendenza (come Repubblica di Taiwan). Nel 2005 il passaggio al KMT: non così frequente un cambio del genere, visto che tra i due principali partiti non c’è solo una grande distanza politica ma anche ideologica e identitaria). Eletta allo yuan legislativo nel 2008, quando Ma Ying-jeou stravince le presidenziali, ne resta fuori nel 2012, assumendo il ruolo di portavoce dello yuan esecutivo, il ramo operativo del governo.
Cheng affina le sue capacità di comunicazione tra il 2014 e il 2015, quando conduce un talk show su TVBS, prima di tornare a scalare la gerarchia del partito e rientrare in parlamento dopo le elezioni del 2020. Non rieletta alle elezioni del gennaio 2024, negli ultimi mesi ha rafforzato la sua presenza sui social media e ha assunto uno stile comunicativo più combattivo, superando le spesso paludate dinamiche dell’establishment del KMT guidato dall’esperto Eric Chu. Non a caso, lo scorso giugno annuncia la formazione della “Opposition Alliance“, una fazione che promette di “rinvigorire lo spirito” dell’opposizione dialogante con Pechino e combattere il cosiddetto “terrore verde” del DPP, formula utilizzata sia dal KMT sia dal Partito comunista cinese per attaccare l’amministrazione del presidente Lai Ching-te.
Come ha vinto Cheng
Cheng non era la candidata dell’apparato, non controllava la macchina territoriale, non aveva l’investitura degli “anziani”, ma è riuscita a costruire una campagna che ha capovolto le aspettative degli osservatori e le gerarchie interne. Il favorito dell’establishment del KMT era il 73enne Hau Lung-pin, sindaco di Taipei dal 2006 al 2014 e già vice presidente del partito nel 2014 e dal 2016 al 2020. Nel conteggio finale, Cheng ha ottenuto il 50,15% del totale dei voti: una vittoria a sorpresa ma netta, visto che Hau si è fermato al 35,85%.
Cheng ha impostato l’intera corsa sulla promessa di riportare il KMT al governo nel 2028, presentando la propria candidatura non come un cambio di gestione ma come il primo atto di una contro-offensiva ai danni del DPP, mentre il gradimento verso il presidente Lai pare in discesa. Il linguaggio scelto, dalla “rotazione completa del potere” alla necessità di evitare che Taiwan diventi “un’altra Ucraina”, ha parlato direttamente a una base che non chiede moderazione ma riscatto dopo tre sconfitte consecutive alle presidenziali.
La forza comunicativa di Cheng non è stata un dettaglio tecnico ma il cuore della sua vittoria. Ha colonizzato gli spazi digitali, usando video brevi e clip in cui si è resa protagonista di attacchi frontali al DPP e una postura combattiva capace di catturare l’attenzione dei militanti e di viralizzare le sue parole ben oltre le reti tradizionali del partito. L’attivismo digitale di Cheng (unito a una serie di contenuti giudicati lesivi contro la sua campagna) è entrato nel mirino del rivale Hau che, insieme a influenti commentatori pro KMT come l’ex candidato vice presidente Jaw Show-kong, ha accusato il Partito comunista cinese di “interferenze esterne” a danno della sua campagna. Da qui, il fatto che alcuni media vicini al DPP definiscono Cheng come “sostenuta da Pechino”.
Sul fronte politico, Cheng propone una riforma interna delle nomine, un rinnovamento generazionale che usi le elezioni locali del 2026 come fase di incubazione di nuovi quadri e l’istituzione di un governo ombra per trasformare il KMT in partito “pronto a governare” e non mero oppositore. Su Pechino, come tutti gli esponenti del KMT, Cheng propone un ritorno al dialogo per migliorare i rapporti e accompagnare la deterrenza alle rassicurazioni, ribilanciando i rapporti con gli Stati Uniti. Non è in discussione l’adesione al famigerato “consenso del 1992“, secondo cui Taiwan appartiene alla Cina ma senza stabilire quale (Repubblica Popolare o Repubblica di Cina) e che rappresenta la precondizione al dialogo imposta dal PCC. Si tratta del cosiddetto principio di “unica Cina con diverse interpretazioni” coniato dal KMT. In un dibattito televisivo prima del voto, Cheng ha affermato che sarebbe lieta di incontrare Xi Jinping. Allo stesso modo, Cheng ha dichiarato di voler incontrare Sanae Takaichi, neo presidente del Partito liberaldemocratico e probabile neo premier del Giappone, che ha però posizioni assai ostili nei confronti di Pechino.
A Pechino sarà piaciuta soprattutto la posizione di Cheng sul fronte identitario, che corre su un filo più sottile ma per certi versi più decisivo persino di quello politico. La nuova leader del KMT ha infatti dichiarato di sentirsi “cinese” (il che non equivale a dire di voler essere governati da Pechino) e che intende promuovere “l‘orgoglio di essere cinesi” tra i taiwanesi, andando in direzione contraria a quanto fatto dal DPP negli scorsi anni.
Come accaduto per le elezioni passate, compresa l’ultima di Eric Chu nel 2021, Xi Jinping si è congratulato con Cheng, con reciproco riferimento al consenso del 1992.
Con la vittoria di Cheng, la base del KMT sembra in qualche modo rafforzare la dimensione identitaria del partito, rifiutando l’idea che il ritorno al potere passi da un riposizionamento centrista e ponendosi in netta contrapposizione con l’amministrazione Lai, molto più decisa di quella dell’ex presidente Tsai Ing-wen sul fronte identitario e retorico. Cheng eredita un partito diviso tra la sede centrale e i potentati locali che avevano appoggiato Hau, e dovrà governare le fratture interne mentre prova a trasformare il KMT in un soggetto competitivo alle urne già dalle elezioni locali del 2026.
Gli scenari
Nel suo primo discorso da leader in pectore del KMT, Cheng ha subito criticato Lai: “Chiedo al DPP di non seminare odio o divisione e di smettere di giocare le carte dell’attacco alla Cina, dell’anti-comunismo e dell’anti-Cina solo per manipolare le elezioni e condurre battaglie politiche interne”. Subito dopo, l’offerta di dialogo a Pechino: “Dovremmo mostrare insieme la massima sincerità e buona volontà per attenuare il confronto e le divergenze tra le due sponde dello Stretto, e garantire che non ci sia più guerra nello Stretto di Taiwan”. Cheng ha definito “etichette davvero a buon mercato” le accuse secondo cui il KMT sarebbe controllato da Pechino.
Al di là del fronte dell’unità interna al partito, tra i primi banchi di prova politici di Cheng ci sarà il posizionamento sul budget di difesa, con Lai che dichiarato nei mesi scorsi di puntare ad innalzare la spesa fino al 5% del pil entro il 2030. Incontrando i corrispondenti stranieri a Taipei, Cheng ha preso le distenze dai piani di Lai: “Non li supporto perché un tale budget è troppo alto e irragionevole”, prima di ammonire che Taiwan non deve “diventare una pedina di scambio di Trump“.
Da capire come potranno evolversi i rapporti con Lu Shiow-yen, la sindaca di Taichung che era stata indicata da Chu come sua auspicabile erede. Lu è considerata la favorita per la candidatura alle presidenziali del 2028, ma sin qui ha sempre avuto una postura molto più cauta sul tema dei rapporti intrastretto. Importanti anche le relazioni con il TPP, l’altro partito d’opposizione con cui il KMT ha avviato una collaborazione parlamentare. In passato, Cheng ha criticato anche aspramente il suo fondatore Ko Wen-je (alle prese con gravi problemi giudiziari), ma servirà un’intesa per un candidato unitario (saltata nel 2024) per aumentare le chance di vittoria alle urne nel 2028.
Altre notizie
Sono passati solo pochi giorni dalla precedente puntata di Taiwan Files. Nei prossimi c’è da aspettarsi qualche nuova scintilla sulla Storia, visto che il 25 ottobre è l’80° anniversario della fine della colonizzazione giapponese a Taiwan e l’inizio dell’amministrazione della Repubblica di Cina del KMT di Chiang Kai-shek. Come in occasione della parata militare dello scorso 3 settembre per la resa di Tokyo, ai funzionari taiwanesi è stato vietato di partecipare agli eventi organizzati da Pechino in merito.
Intanto, una nuova serie televisiva dell’emittente statale cinese CCTV, “Silent Honour”, è la prima opera drammatica a raccontare e commemorare le attività di spionaggio del partito a Taiwan, iniziate negli ultimi mesi della guerra civile.
Su The Straits Times, un’analisi della taglia su 18 ufficiali militari taiwanesi emessa da Pechino.
Le autorità della Cina continentale intendono ampliare l’elenco degli aeroporti che offrono servizi di rilascio di permessi di ingresso all’arrivo per quelli che Pechino chiama “residenti di Taiwan”, semplificando i viaggi. Taipei critica il programma.
Come ho avuto modo di scrivere diverse volte in passato, non è detto che i taiwanesi più giovani abbiano sentimenti ostili nei confronti della Cina. A livello identitario, la distanza è più grande rispetto alle generazioni più adulte, ma questo non significa che Pechino sia vista per forza di cose negativamente. Ne scrive ora CBC, ci torneremo.
C.C. Wei, presidente e amministratore delagato di TSMC, ha dichiarato che il più grande produttore di chip a contratto al mondo accelererà il ritmo di espansione della produzione e di aggiornamento tecnologico in Arizona, continuando a investire a Taiwan. Wei ha affermato che TSMC sta anche puntando a introdurre nel complesso statunitense il suo sofisticato processo a 2 nanometri, la cui produzione commerciale a Taiwan dovrebbe iniziare nel quarto trimestre di quest’anno. TSMC sta investendo 65 miliardi di dollari in Arizona per costruire tre fabbriche di wafer avanzate, su pressing della Casa Bianca.
EVA Air si è scusata con la famiglia di un’assistente di volo, deceduta per malore dopo un volo da Milano a Taoyuan, dopo che un dipendente le aveva inviato un messaggio al telefono chiedendole di presentare la documentazione per la richiesta di congedo. La compagnia aerea taiwanese ha dichiarato in una nota scritta che il messaggio con la richiesta di documentazione per il congedo per assistenza familiare dopo il decesso è stato inviato per errore.
Di Lorenzo Lamperti
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Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.
