G7 TAIWAN

Taiwan Files – Double Ten e Trump, droni e nafta russa

In Taiwan Files by Lorenzo Lamperti

Turbolenze nei rapporti Taipei-Washington, le richieste di Xi a Trump, i chip tra scudo di silicio e spada diplomatica, aumento dell’export di droni e boom di import di nafta russa, scontro narrativo sulla Storia con Pechino, la postura taiwanese tra Israele e Palestina, il fallimento dei voti di revoca e la nuova presidenza del Guomindang. La rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

L’estate di Taiwan è trascorsa tra i crescenti dubbi sulla postura degli Stati Uniti di Donald Trump e uno scontro retorico con Pechino sulla Storia (tra Seconda Guerra Mondiale e risoluzione 2758 delle Nazioni Unite), tra il fallimento definitivo dei voti di revoca contro i parlamentari dell’opposizione del Guomindang (a luglio ci eravamo lasciati con la prima parte) e le pressioni di Washington sui chip. Ma anche tra l’aumento esponenziale dell’export di droni e dell’import di nafta russa, nonché tra la tragedia causata dal tifone Ragasa a Hualien e il Double Ten del 10 ottobre. Mentre ci si prepara al cambio di leadership del Guomindang.

Intanto, il 10 settembre ha segnato una tappa simbolica per Taiwan: i giorni trascorsi dall’isola sotto un regime democratico supereranno quelli vissuti sotto la legge marziale. L’evento è stato etichettato come “Democracy Date Line” e viene presentato come un giro di boa cruciale dopo un lungo percorso fatto di resistenze, trasformazioni e tensioni identitarie. Taiwan è considerata una delle democrazie più solide dell’Asia. Eppure, non mancano alcuni coni d’ombra. Ne ho scritto qui.

Il 10 ottobre, Lai Ching-te ha pronunciato il suo secondo discorso in occasione della festa della Repubblica di Cina (che a Taiwan viene comunemente chiamata Double Ten), in cui ha adottato toni più morbidi sui rapporti intrastretto rispetto al 2024. Non sono comunque mancate né le critiche dell’opposizione al discorso di Lai, né quelle del DPP di governo sul discorso di Han Kuo-yu, presidente dello yuan legislativo e figura apicale del Guomindang. Tra le altre cose, Lai ha annunciato il programma T-Dome, definito “un rigoroso sistema di difesa aerea multilivello, di rilevamento elevato e di intercettazione efficace”, subito dopo il lancio del satellite Formosat-8, primo sistema satellitare interamente sviluppato a Taiwan e rilevante anche per lo scetticismo di Taipei nei confronti di Starlink di Elon Musk. Più problemi sul fronte sottomarini.

Turbolenze nei rapporti Taipei-Washington

A fine luglio, si è parlato molto dell’indiscrezione del Financial Times secondo cui la Casa Bianca avrebbe negato un transito a New York al presidente taiwanese Lai Ching-te. Un segnale inquietante per Taipei, preoccupante per gli alleati asiatici di Washington, insperato per Pechino, proprio mentre i negoziatori di Stati Uniti e Cina si stavano parlando a Stoccolma per prorogare la tregua sui dazi e organizzare un vertice tra Trump e Xi Jinping in autunno.

A metà luglio, il presidente del Paraguay Santiano Pena annuncia la prossima visita di Lai, durante un forum bilaterale ad Asuncion, alla presenza del ministro degli Esteri taiwanese Lin Chia-lung. “Ci stiamo preparando per riceverlo nel giro di 30 giorni”, dice Pena, che non fornisce una data precisa ma localizza la visita di Lai nel mese di agosto. Il Paraguay è uno dei 12 Paesi rimasti a mantenere relazioni diplomatiche ufficiali con la Repubblica di Cina, nome ufficiale di Taiwan. Così come il Belize, altra meta del tour in America latina programmato da Lai.

Come accade in questi casi, il presidente taiwanese compie dei “transiti” sul territorio statunitense. Un termine che viene utilizzato nonostante il periodo trascorso su suolo americano superi le 24 ore, pur lontano da Washington. È una prassi di lunga data. La precedente presidente taiwanese, Tsai Ing-wen, ne ha fatti ben sette (nonostante le restrizioni dell’era Covid) tra il 2016 e il 2023. L’ultimo dei quali, successivo alla visita a Taipei di Nancy Pelosi, ha portato a estese esercitazioni militari cinesi intorno a Taiwan.

Secondo anticipazioni di stampa, Lai avrebbe dovuto effettuare un doppio transito, sulla via dell’andata e del ritorno: uno a New York, l’altro a Dallas. Dopo il doppio passaggio tra Hawaii e Guam dello scorso dicembre, nel periodo di transizione tra l’amministrazione Biden e l’amministrazione Trump, sarebbe stato un salto di qualità. Primo motivo: un passaggio sul territorio continentale è ritenuto più significativo. Secondo motivo: sarebbe stato il primo dal ritorno di Trump alla Casa Bianca, che nel dicembre 2016 dopo la sua prima vittoria era diventato il primo presidente eletto degli Stati Uniti a parlare con un leader taiwanese in carica.

Stavolta, però, Trump ha mostrato assai più cautela sul dossier Taiwan, che ha sostanzialmente evitato di maneggiare nel tentativo di negoziare un accordo commerciale con Pechino. E da qui nascerebbe il no al passaggio da New York, con Trump interessato a mantenere un clima favorevole al negoziato, mentre lo stesso Financial Times non chiarisce se gli fosse stato negato anche il passaggio a Dallas.

Il ministero degli Esteri di Taipei e l’ufficio presidenziale di Lai hanno entrambi negato la ricostruzione del quotidiano britannico, sostenendo che non c’erano piani di visite all’estero “nel prossimo futuro”, anche per “gli sforzi in corso per la ripresa dopo il disastro causati da un tifone nel sud di Taiwan, i negoziati sui dazi reciproci con gli Stati Uniti e la relativa situazione internazionale”. La realtà è però che il viaggio era stato già annunciato dal Paraguay. Di fatto, la visita non sarebbe stata cancellata, ma rinviata a dopo il vertice fra Trump e Xi.

Il segnale, comunque la si guardi, è rilevante. “La cancellazione del sorvolo pianificato da Lai da parte dell’amministrazione Trump per il bene delle relazioni tra Stati Uniti e Cina è il tipo di segnale che il sostegno di Trump a Taiwan è transazionale e condizionato, non stabile”, hanno commentato diversi analisti. A seconda dell’effettiva dinamica sul rinvio del transito, la vicenda segnala che la Casa Bianca affronta con un approccio transazionale anche un tema centrale della politica estera americana. Ne scaturisce un triplice messaggio che può avere conseguenze rilevanti. Per Taiwan si potrebbero amplificare i timori di essere usati come pedina all’interno dei rapporti Usa-Cina. Per gli alleati asiatici degli Stati Uniti (Giappone, Corea del Sud e Filippine) aumenta l’inquietudine sull’instabilità dell’impegno regionale americano. Per la Cina si tratta di un segnale che si può negoziare persino su un tema su cui sembrava impossibile farlo.

Nel frattempo, Trump ha anche congelato circa 400 milioni di aiuti militari per Taipei. In questo caso, non si tratta per forze di cose di una mossa legata a Pechino, quanto alla generale postura di Trump che mira a far pagare alleati e partner le garanzie di sicurezza piuttosto che regalarle. La stessa dinamica è in corso con Corea del Sud e Giappone.

Certo, il futuro incontro Xi-Trump potrebbe essere uno spartiacque e qualora (come peraltro probabile) non si arrivasse a un “grande accordo”, il sostegno statunitense a Taiwan potrebbe tornare a essere più esplicito. Ma lo snodo attuale resta e condizionerà le future dinamiche del triangolo scomposto Pechino-Washington-Taipei, in maniera simile (eppure potenzialmente opposta) della famosa telefonata fra Trump e Tsai Ing-wen che mise in guardia Xi nel 2016. Sia in positivo (la telefonata con Tsai) sia in negativo (il transito negato a Lai) il risultato è simile, seppur raggiunto con mezzi diversi: dare l’impressione che la postura su Taiwan sia legata all’andamento dei rapporti tra Casa Bianca e Pechino.

Secondo il Wsj, nei colloqui negoziali in corso fra Cina e Stati Uniti la richiesta di Xi Jinping a Trump sarebbe quella di “opporsi all’indipendenza di Taiwan”. Ho già segnalato diverse volte come a quanto mi risulta il tentativo sia in effetti quello di reinserire questa frase nei documenti finali dopo il prossimo summit Xi-Trump, ma va ricordato che si tratta di una formula già utilizzata fino a circa 15 anni fa, prima che emergesse la rivalità Cina-Usa. Fino ad allora, tutti i presidenti Usa si dicevano sempre in opposizione contro “qualsiasi azione unilaterale dalle due sponde dello Stretto”, cioè “azione militare della Cina o dichiarazione di indipendenza di Taiwan”.

Negli ultimi anni, complice la rivalità tra le due potenze e lo sbilanciamento sempre più forte della potenza militare, Washington si è fermato alla prima parte. In aggiunta a quanto scrive il Wsj, risulta che Pechino voglia far dire a Trump che il presidente taiwanese Lai Ching-te è un “piantagrane”, riprendendo in questo caso una celebre definizione che fece Bush Jr dell’allora presidente taiwanese Chen Shui-bian. Da qui la fortissima personalizzazione della questione Taiwan che si è vista negli ultimi mesi da parte della narrativa del Partito comunista.

Lai ha intanto dichiarato che Trump dovrebbe ricevere il premio Nobel per la pace se riuscisse a convincere Xi Jinping “ad abbandonare l’uso della forza contro Taiwan”. Un modo per riportare Taipei nel dibattito della Casa Bianca, visto che l’isola non è stata menzionata (in modo del tutto inusuale) nell’ultima telefonata tra Trump e Xi.

C’è chi sostiene che Lai abbia “perso” Trump, chi ritiene il contrario e chi immagina potenziali accordi Washington-Pechino. Interessante notare le prese di posizione (per esempio qui e qui) della ex portavoce di Tsai Ing-wen.

La visita di Wicker, le armi e gli Han Kuang 2025

Poco più di tre anni dopo la visita di Nancy Pelosi a Taipei, Lai ha ricevuto a Taipei il repubblicano Roger Wicker, presidente della commissione per le forze armate del Senato americano. In questo clima di dubbi intorno a Washington, la missione di Wicker assume un peso politico maggiore: dimostrare che, al di là delle incognite di Trump, il congresso e il senato intendono mantenere un impegno concreto.

Ma più che un gesto simbolico di sostegno, il viaggio di Wicker è il preludio a un imponente pacchetto di forniture militari americane. Durante l’incontro, Lai ha ribadito l’impegno a rafforzare le capacità asimmetriche attraverso l’acquisto di armi dagli Stati uniti e programmi di difesa autoctoni, chiedendo inoltre progetti congiunti di ricerca e sviluppo per colmare le enormi disparità militari nello Stretto. Il budget della difesa di Pechino per quest’anno è stimato in 249 miliardi di dollari, oltre dieci volte quello di Taiwan.

Il piano si inserisce in un quadro di riforma strutturale delle spese militari: per il 2026, Taiwan ha fissato per la prima volta la soglia oltre il 3% del pil. Una scelta che richiama da vicino il “modello Nato” e che intende mostrare a Washington la volontà concreta di farsi carico della propria sicurezza. Nelle settimane scorse, Lai ha dichiarato che l’obiettivo è arrivare al 5% del pil entro il 2030, cifra che solo qualche mese fa la sua amministrazione aveva definito “irrealistica”.

Ma, secondo The Diplomat, la società taiwanese non è pronta alla guerra. Le esercitazioni annuali Han Kuang, svoltesi a luglio, sono state ampliate. Ma secondo numerosi riscontri, ci sono stati pochi cambiamenti pratici rispetto agli anni scorsi. O, in alcuni casi, come sui test anti raid, nessuno. La sensazione di “compiti a casa” svolti è stata comunque amplificata da alcuni media, soprattutto statunitensi. Un missile Patriot è esploso pochi secondi dopo il lancio durante un’esercitazione. Qui un’analisi sui riservisti.

L’obiettivo di Lai sulle spese militari è anche politico: cercare di ammansire Trump, conquistare la sua sfuggente attenzione in materia di sicurezza e provare a ottenere un abbassamento dei dazi del 20%, più alti per i prodotti taiwanesi rispetto a concorrenti regionali come Giappone e Corea del sud. I maxi investimenti negli Usa annunciati dal gigante dei chip TSMC non sono bastati, coi critici che ritengono che Taiwan si sia prestata a erodere il suo cosiddetto “scudo di silicio” senza ottenere nulla in cambio.

Il fallimento dei voti di revoca

Lai ha bisogno di segnali concreti di sostegno da Washington, anche per mostrare qualche risultato a un’opinione pubblica che lo ha punito ai due round di voti di revoca dei parlamentari d’opposizione. Dopo il fallimento di luglio, quando 24 deputati del Guomindang erano rimasti al loro posto, ad agosto si sono salvati anche altri sette. Un voto secondo alcuni analisti mostra il desiderio dei taiwanesi che i due partiti principali si bilancino a vicenda. L’azzardo di voler ribaltare gli equilibri allo yuan legislativo non ha funzionato e il gradimento verso il presidente è ai minimi.

Non ha invece raggiunto il quorum il voto sul referendum per il riavvio di una centrale nucleare, pochi mesi dopo lo spegnimento dell’ultimo reattore attivo. Come da tradizione, il DPP aveva chiesto di votare per il “no”, ma tra chi si è recato alle urne ha nettamente prevalso il “sì”. Nonostante il non raggiungimento del quorum, il tema resta assai attuale, anche per questioni legate alla sicurezza. Ne avevo scritto qui.

Secondo diverse voci, Lai (la cui linea sugli Usa fa discutere i taiwanesi) non starebbe convincendo i diplomatici americani presenti sull’isola, che avrebbero consigliato uno stop ai suoi annunciati “dieci discorsi sull’unità nazionale”, che contenevano diversi elementi sensibili dalla prospettiva di Pechino e che sono fermi a quattro da inizio estate.

Lo stop agli aiuti militari, i dazi al 20% e l’offensiva sui chip

Per di più, sempre il Financial Times ha riportato della cancellazione di un incontro tra i vertici del Pentagono e il ministro della Difesa taiwanese Wellington Koo.

Nel frattempo, nonostante i ripetuti tentativi di arrivare a un accordo, restano in vigore dazi al 20% sulle importazioni di prodotti taiwanesi negli Stati Uniti. Meno del 32% annunciato ad aprile, ma più del 15% imposto a economie vicine come Giappone e Corea del Sud.

Per ammansire Trump si è provata la strada del progetto sul gas naturale liquefatto in Alaska e il più che probabile acquisto di ingenti pacchetti di armi (mentre si attende l’arrivo di diversi ordini degli anni passati in ritardo ed è stato presentato il primo missile realizzato in modo congiunto), ma la Casa Bianca punta con decisione ai chip.

Washington ha revocato a TSMC una nuova procedura accelerata per le esportazioni di apparecchiature per la produzione di chip dagli Stati Uniti al suo stabilimento principale in Cina. Una stretta al sistema di licenze in vigore già da diversi anni, che Trump ora stringe nel tentativo di impedire a Pechino l’accesso alle catene di approvvigionamento più avanzate.

La stretta protezionista annunciata da Washington, unita alla corsa globale all’intelligenza artificiale, spinge TSMC a diversificare la propria geografia produttiva. Una mossa necessaria per continuare a servire il mercato statunitense, ma che a Taipei suscita timori: lo “scudo di silicio”, quell’insieme di fabbriche che rende Taiwan strategica e difficilmente attaccabile, rischia di perdere parte del suo valore deterrente. Trump ha promesso di riportare in America la produzione high-tech, accusando Taiwan di “aver rubato il business”. Un’accusa priva di fondamento. La costruzione dell’impero di TSMC è stata incentivata proprio dagli Stati Uniti. Ne ho scritto qui.

TSMC sostiene che gli Usa non chiederanno una parte della proprietà dell’azienda, ma intanto il segretario al Commercio degli Stati Uniti Howard Lutnick ha dichiarato che Washington punta a una ripartizione al 50-50 nella produzione di chip, la maggior parte dei quali è attualmente realizzata sull’isola. Un approccio ancora più radicale del pressing sui colossi taiwanesi come TSMC per produrre negli Usa. Una tendenza che rischia di erodere lo “scudo di silicio” di Taiwan, considerato una leva di deterrenza di potenziali azioni militari sullo Stretto. Il governo di Taipei prova a resistere al pressing.

Tanto per far capire il peso politico di TSMC, un ex membro del consiglio direttivo dell’azienda, Kung Ming-hsin, è stato nominato nuovo ministro dell’economia, dopo le dimissioni del suo predecessore per motivi di salute e nell’ambito di un più ampio rimpasto di governo.

A proposito di TSMC, che riceve sussidi da diversi paesi tra cui anche la Repubblica Popolare, alcuni lavoratori sono stati licenziati per aver trasmesso dati all’estero, per la precisione in Giappone.

Taiwan cerca intanto di capire quanto potrà impattare il nuovo sistema di licenze per le spedizioni di terre rare introdotto da Pechino. C’è chi ritiene che l’impatto possa essere rilevante, chi meno.

Chip e Sudafrica

Sempre a proposito di chip, per decenni Taiwan ha coltivato l’idea del cosiddetto “scudo di silicio”. Oggi, però, Taipei sta iniziando a trasformare quello scudo in una spada. Per la prima volta nella sua storia, il governo taiwanese ha imposto controlli unilaterali sull’esportazione di chip verso un Paese specifico: il Sudafrica. Alla base della decisione, l’accusa che Pretoria abbia “minato la sicurezza nazionale e pubblica di Taiwan” spostando il suo ufficio di rappresentanza lontano dalla capitale politica Pretoria, sotto pressione di Pechino. È stato un segnale forte: i semiconduttori non sono più soltanto uno strumento passivo di protezione, ma un’arma attiva di diplomazia coercitiva.

Solitamente, Taiwan utilizza i chip per farsi aprire porte che altrimenti resterebbero chiuse. Promettere un flusso privilegiato, o addirittura avviare la costruzione di un impianto del gigante TSMC come accaduto in Giappone o in Germania, significa rendersi indispensabile e ricevere dei dividendi non solo economici, ma anche politici. Ora, però, Taiwan sembra intenzionata a usare i chip anche come strumento “offensivo”. Il contenzioso con il Sudafrica affonda le radici nel 2023, quando il Paese africano, dopo aver ospitato il vertice annuale dei BRICS con (tra gli altri) il presidente cinese Xi Jinping, ha iniziato a chiedere il trasferimento dell’ufficio taiwanese da Pretoria a Johannesburg e a declassarne lo status, ribattezzandolo “Taipei Commercial Office”. Ne ho scritto qui.

Taiwan punta sull’export di droni

“I droni da combattimento possono diventare la nuova TSMC di Taiwan”. L’affermazione è di Cathy Fang, ricercatrice del think tank DSET, supportato dal governo taiwanese e specializzato sulle nuove tecnologie.

Così, mentre il mondo è infiammato dalle guerre e lo status quo dello Stretto viene messo in discussione, Taipei punta a replicare il successo ottenuto coi chip. Obiettivo: diventare un ingranaggio indispensabile per la produzione dei droni, settore a dir poco strategico come dimostrano anche le attuali tensioni nei cieli tra Europa e Russia.

I numeri raccontano un cambiamento sorprendente. Nel 2024 Taiwan aveva esportato complessivamente circa 3.000 droni, un dato marginale nel panorama globale. Ma ad agosto 2025 l’isola ha spedito 18.000 velivoli senza pilota, di cui 12.000 diretti in Polonia, Paese che si trova sulla prima linea europea nel fronteggiare le incursioni russe e nel sostenere l’Ucraina. Il solo ordine polacco vale quasi 15 miliardi di dollari taiwanesi.

E l’Europa è stata nel frattempo meno timida del solito nella sua presenza a un evento su sicurezza e difesa organizzato da Taipei.

Nonostante i progressi, le ambizioni di Taiwan sui droni devono fare i conti con due grandi ostacoli. Primo: la mancanza di campi di test e di esperienza diretta, come invece avviene in Ucraina, dove il conflitto ha accelerato lo sviluppo di tecnologie innovative sul campo di battaglia. Sull’isola, manca anche proprio lo spazio fisico per condurre esercitazioni di ampio respiro. Secondo: la dipendenza dalla Cina continentale per le terre rare e i magneti permanenti, componenti indispensabili per la produzione dei droni.

Ne ho scritto nel dettaglio qui.

Taiwan primo importatore di nafta russa
Sorpresa: Taiwan è diventata il più grande importatore mondiale di nafta russa, un derivato del petrolio utilizzato per produrre sostanze chimiche necessarie all’industria dei semiconduttori, nonostante abbia aderito alle sanzioni contro la Russia e si consideri un alleato dell’Ucraina. Nella prima metà del 2025, Taiwan ha importato nafta russa per un valore di 1,3 miliardi di dollari e le importazioni medie mensili hanno raggiunto un livello quasi sei volte superiore alla media del 2022. Rispetto alla prima metà del 2024, le importazioni quest’anno sono aumentate del 44%. Taiwan ha ribadito altrove il suo sostegno all’Ucraina nella guerra con la Russia. Ma evidentemente non basta a recidere il cordone con la Russia, stretto partner della Cina a cui secondo recenti report fornirebbe anche mezzi e addestramenti utili a un’eventuale azione  militare sullo Stretto.
Da tenere presente che la Repubblica di Cina di Chiang e l’Unione Sovietica avevano rapporti profondi, soprattutto nella fase di gelo tra Mosca e Pechino. La moglie di Chiang Ching-kuo era una cittadina sovietica. Ne parlerò presto in un approfondimento ad hoc.
Secondo Washington Post e Financial Times, la Russia starebbe intanto aiutando ad addestrare ed equipaggiare le forze aviotrasportate cinesi nelle tattiche d’assalto e nella guerra ibrida. Alcuni documenti russi trapelati descrivono il trasferimento di un quantitativo di equipaggiamento russo sufficiente a dotare un battaglione aviotrasportato dell’Esercito Popolare di Liberazione, insieme a sistemi di comando e controllo e a programmi di addestramento che si svolgeranno sia in Russia sia in Cina. Nonostante i titoli che hanno spesso esagerato la portata della notizia, si tratta comunque di esperienze che potrebbero servire a Pechino in caso di futura azione militare su Taiwan.
La sfida tra Pechino e Taipei sulla Storia

Nel frattempo, tra Taipei e Pechino si alza il livello dello scontro retorico, in concomitanza dell’anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale e della grande parata militare con cui Xi Jinping ha celebrato l’ottantesimo anniversario della vittoria contro il Giappone. Il governo cinese ha invitato anche veterani del Guomindang, che ebbero un ruolo da protagonisti nella resistenza contro l’imperialismo giapponese. E Xi ha stretto la mano a uno di loro, per ultimo, sul palco di piazza Tian’anmen prima di tenere il suo discorso. Presente all’evento anche l’ex leader del GMD, Hung Hsiu-chu.

Taipei aveva chiesto ai suoi cittadini di non partecipare e i funzionari pubblici sono stati formalmente interdetti dal viaggio. Una “blasfemia“, secondo Pechino, per cui la memoria significa anche rivendicare la “restituzione di Taiwan” come “parte integrante dell’ordine mondiale post-bellico”. Una narrativa funzionale a giustificare le attuali pretese di “riunificazione”.

Per Taipei, che a maggio ha per la prima volta commemorato il giorno della vittoria contro la Germania, la presa di distanza serve a collocarsi nel campo delle democrazie liberali e svincolarsi dall’eredità cinese. Al centro della contesa l’interpretazione della risoluzione 2758 delle Nazioni Unite, con la quale si diede il seggio alla Repubblica Popolare togliendolo alla Repubblica di Cina. Qui la visione di Pechino, che chiede in modo sempre più deciso di assecondarne la visione, qui la visione di Taipei (appoggiata dall’Occidente). Un durissimo articolo sul Quotidiano del Popolo sostiene che “le forze indipendentiste taiwanesi stanno diventano sempre più simili ai nazisti” (tema di cui si parla anche qui), in riferimento alla presunta erosione dello stato dei diritti e la presa di mira dell’opposizione da parte del governo. Un’accusa che ricorda quella della Russia all’Ucraina.

Secondo le stime del governo di Taiwan, lo scorso anno la Cina avrebbe speso 21 miliardi di dollari in esercitazioni militari nello Stretto di Taiwan, nel Mar Cinese Orientale e Meridionale e nel Pacifico occidentale, quasi il 40% in più rispetto al 2023.

Il Guomindang ha organizzato invece una serie di eventi per ricordare il ruolo da protagonista dell’allora governo di Chiang Kai-shek nello sconfiggere il Giappone. Sforzo non compiuto da Lai, che per la storica posizione del DPP e per questioni identitarie fatica a rivendicare il ruolo della Repubblica di Cina, che potrebbe creare qualche imbarazzo alla narrativa del Partito comunista. In occasione dell’anniversario è intervenuto anche l’ex presidente Ma Ying-jeou, il politico locale più apprezzato a Pechino ma ormai con un’influenza in discesa anche all’interno del GMD.

Taiwan e Israele-Palestina

Distretto di Haifa, consiglio regionale di Binyamin, ente che amministra 48 comunità di coloni. Verso la fine di luglio, si palesa una figura inusuale al fianco di Israel Ganz, presidente della potente Yesha Council, organizzazione ombrello degli insediamenti in Cisgiordania. Si tratta di Abby Ya-ping Lee, rappresentante di Taiwan in Israele. In quella sede, promette di finanziare il Nanasi Medical Centre di Sha’ar Binyamin, insediamento di coloni a nord di Gerusalemme. Secondo il South China Morning Post, se la promessa venisse portata a termine, potrebbe essere la prima volta che un governo straniero finanzia direttamente un’infrastruttura sanitaria all’interno di un insediamento israeliano in Giudea e Samaria. Un gesto simbolicamente rilevante in un contesto in cui ampia parte della comunità internazionale considera questi insediamenti illegali alla luce del diritto internazionale.

Il ministero degli Esteri di Taipei ha cercato di smorzare le polemiche, parlando di progetto non ancora ufficializzato e “in fase di discussione” e “puramente umanitario”, ma la localizzazione geografica resta il nodo critico. Ci sono seri dubbi che la struttura sarà effettivamente accessibile o usata dalla popolazione palestinese locale. Finanziarla potrebbe essere intepretato come un sostegno politico o materiale agli insediamenti.

I rapporti tra Taiwan e Israele hanno radici profonde, nate durante la guerra fredda quando entrambi erano considerati avamposti sostenuti dagli Stati uniti in funzione anticomunista. Negli anni ’60 e ’70 la cooperazione tocca anche ambiti sensibili come la vendita di armi e lo sviluppo tecnologico-militare. Dopo la democratizzazione taiwanese, la relazione si è concentrata su commercio e cooperazione scientifica. Col netto miglioramento delle relazioni con la Cina, Israele è peraltro stata attenta a bilanciare i rapporti con Taipei.

Ma il legame è rimasto. Da anni, Washington spinge Taiwan a “prendere esempio” dalla capacità di Israele di “difendersi” come “piccola entità statuale circondata da potenziali nemici”. Da diverse personalità americane in visita sull’isola, come l’ex ambasciatrice all’Onu Kelly Craft, arriva la stessa esortazione: “Taipei deve rafforzare i suoi armamenti e dimostrare di essere pronta a difendersi, come Israele”.

Dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, Taiwan si è schierata con decisione con Israele, così come aveva fatto in precedenza con l’Ucraina. Parlando di “legame unico” e “valori condivisi”, anche all’alba della sproporzionata reazione israeliana. Tanto che sono stati firmati accordi sugli scambi artistici e culturali e sono proseguite le visite reciproche. I toni sono diventati assai più cauti e sfuggenti con il passare del tempo e l’intensificarsi dei bombardamenti su Gaza, mai comunque nemmeno parzialmente criticati dal governo taiwanese.

Pechino è schierata da sempre a favore della soluzione dei due stati e negli ultimi anni è stata molto esplicita nella sua condanna di Israele. Taipei ritiene naturale avvicinarsi alla parte opposta, anche per marcare la propria distanza strategica. Eppure, nella società civile taiwanese esistono movimenti critici verso il doppio standard applicato tra Ucraina e Gaza. Attivisti, accademici e organizzazioni musulmane locali sottolineano le somiglianze tra la condizione palestinese e la precarietà geopolitica di Taiwan, in particolare sul tema dell’autodeterminazione. A Taipei si sono svolte diverse proteste e manifestazioni di solidarietà pro Palestina, seppur scarsamente coperte dai media locali, mentre ancora ad agosto è stata ospitata una delegazione della Knesset (visita criticata da Pechino) proprio durante l’invasione terrestre di Gaza City. Il governo taiwanese ha ribadito di non avere piani per riconoscere la Palestina.

Ne ho scritto qui.

Le elezioni alla guida del Guomindang

Dopo il fallimento dei voti di revoca, il Guomindang si appresta alle elezioni interne del 18 ottobre per decidere il suo nuovo presidente (le elezioni precedenti del 2021 le avevo raccontate qui). Dopo il successo delle tornate di luglio e agosto, il leader uscente Eric Chu aveva auspicato la successione della sindaca di Taichung, Lu Shiow-yen. Ma lei ha detto di no, preferendo terminare il secondo mandato come prima cittadina. Una mossa intelligente, per evitare di logorarsi nella lunga marcia di avvicinamento alle presidenziali del 2028, lungo la quale sarebbe chiamata a esprimersi su vicende scomode rishciando di bruciarsi. Meglio restare a Taichung e lanciare la sfida più avanti. Una sfida, quella per la candidatura a presidente, che la vede attualmente in vantaggio rispetto al sindaco di Taipei, Chiang Wan-an, più battitore libero e meno amato dai “grandi vecchi” del partito.

La sfida vede come potenziali favoriti due candidati: la 56enne Cheng Li-wen e il 70enne ex sindaco di Taipei Hau Long-bin, punto di riferimento della vecchia guardia. Una sfida anche generazionale per un partito che fatica a trovare nuovo slancio, nonostante il recente netto calo di consensi nei confronti di Lai. Il noto commentatore ed ex candidato vicepresidente Jaw Shaw-kong ha chiesto a Pechino di non interferire col voto. “Se Pechino riuscisse a influenzare le elezioni del presidente del KMT, il partito sarebbe finito e, di conseguenza, lo sarebbero anche Taiwan e la Repubblica di Cina”, ha affermato Jaw.

Il GMD ha nel frattempo proposto una modifica delle elezioni presidenziali, immaginando un sistema a doppio turno che sarebbe destinato (in teoria) a favorirlo.

Altre notizie

Taiwan è stata colpita dal tifone Ragasa, che ha provocato diversi morti a Hualien. Qui l’hanno ribattezzato lo “tsunami delle montagne”, che ha rapidamente travolto Guangfu, sommergendola letteralmente sott’acqua. Martedì 23 settembre, con l’arrivo delle piogge torrenziali portate dal tifone, un lago di sbarramento in altura sul torrente Matai’an è tracimato. Dopo la rottura degli argini, interi quartieri, auto, case e negozi sono stati travolti. In appena 30 minuti si sono riversati a valle circa 15,4 milioni di metri cubi d’acqua: l’equivalente di circa 6 mila piscine olimpioniche. La tragedia ha suscitato polemiche politiche ( ne ho scritto qui, insieme al racconto dei fatti), ma anche una grande risposta di solidarietà con cittadini arrivati ad aiutare da tutte le parti dell’isola.

Si è svolta SEMICON 2025, la trentesima edizione di una delle più importanti manifestazioni di settore al mondo. Il motto scelto, “Leading with Collaboration. Innovating with the World”, ha riassunto bene lo spirito di un evento che ha cercato di coniugare la forza di Taiwan come polo produttivo e tecnologico con la necessità di stringere nuove alleanze in un settore che non è mai stato così cruciale per l’economia globale. Ne ho scritto qui.

Il ministro degli Esteri taiwanese Lin Chia-lung è stato in Giappone (dove si è recata anche Tsai), nelle Filippine e in Europa. Italia compresa per l’inaugurazione della sede ristrutturata dell’Ufficio di Rappresentanza di Taipei. Una delegazione di parlamentari italiani, guidata dal senatore di Forza Italia Adriano Paroli, è stata invece a Taiwan a settembre.

Il governo di Taiwan ha nominato funzionari più giovani nel suo team di sicurezza. Uno dei portavoce di Lai, Lii Wen, e il consigliere comunale di Taipei Chao Yi-hsiang sono stati nominati vicesegretari generali del Consiglio di Sicurezza Nazionale, in sostituzione dei più esperti Hsu Szu-chien e Liu Te-chin. Chao sarebbe stato inviato negli Usa per nuovi dialoghi con l’amministrazione Trump. Taipei ha negato che all’ordine del giorno ci fosse il tentativo di fissare nuovamente un transito di Lai in America.

Lai ha nuovamente nominato il presidente di Taiwania Capital, Lin Hsin-yi, a rappresentare Taiwan all’incontro dei leader economici dell’APEC (AELM) in Corea del Sud, dove dovrebbero incontrarsi Trump e Xi.

Taiwan aumenta l’attenzione per la protezione dei suoi cavi sottomarini, tema critico legato all’energia e potenziali blocchi navali.

Molto interessante il thread di Josh Hoang-Wilkes sulla postura di Pechino relativa ai transiti di navi militari internazionali nello Stretto di Taiwan.

La polizia di Xiamen ha offerto una taglia a chiunque fornirà informazioni sugli ufficiali appartenenti all’unità dell’esercito taiwanese che si occupa di operazioni psicologiche (PsyOps). La taglia può arrivare fino a 10 mila yuan (circa 1.200 euro) e si riferisce a un gruppo di 18 ufficiali, di cui sono stati pubblicati nomi, foto e numeri delle rispettive carte d’identità.

Una capo villaggio nella parte orientale di Taiwan è stata rimossa dall’incarico a causa della sua nazionalità della Repubblica Popolare Cinese, diventando la prima funzionaria locale a essere rimossa dall’incarico per tale motivo. Il tutto nell’ambito di una stretta di Taipei su chi possiede documenti della Cina continentale, che mette a rischio anche le posizioni lavorative.

Il consiglio comunale di Taipei è finito nel mirino delle critiche dopo aver ammesso che un cane robot acquistato per aiutare a pattugliare le strade della città tramite telecamere di sorveglianza è stato realizzato da un’azienda cinese legata all’esercito.

Uscita Zero Day, la prima serie taiwanese che immagina un’invasione dell’Esercito popolare di liberazione. Ne avevo scritto qui durante la produzione.

Manovre di Pechino intorno alle isole Dongsha (Pratas), a non molta distanza da Hong Kong ma amministrate da Taipei.

Un cinese continentale entrato illegalmente a Taiwan con il figlio a bordo di un gommone a maggio è stato condannato a otto mesi di prigione.

Aumentano intanto le visite dei cittadini taiwanesi in Cina continentale.

Un influencer taiwanese molto seguito sui social ha viaggiato in Cina continentale, cambiando drasticamente il suo approccio sulla questione dei rapporti intrastretto e creando forti polemiche in rete e causando anche un richiamo per delle sue critiche troppo forti contro Lai.

New Bloom si chiede quale sia il beneficio per Taiwan di invitare (pagandoli) figure internazionale ormai senza un vero ruolo come Boris Johnson, ospite principale del Ketagalan Forum 2025.

Le autorità hanno rilasciato un nuovo manuale di mobilitazione civile per far fronte a emergenze naturali o ipotetiche invasioni, mentre aumentano gli acquisti dei kit di emergenza.

“La principale minaccia per Taiwan non è militare, ma le speculazioni mediatiche. Ogni titolo diventa una crisi, ogni cambiamento di politica diventa abbandono. Taiwan merita un’informazione che resista alle speculazioni”. Da leggere, mentre a Taiwan esplode uno scandalo sui media.

A proposito di media. Nonostante i racconti spesso idilliaci sui media occidentali, Taiwan (com’è anche normale che sia) non è sempre un’oasi di diritti e libertà di stampa. Ed Moon, ex giornalista di Taiwan Plus, racconta la sua esperienza.

Taiwan ha nominato un ministro dello Sport. Si tratta di Lee Yang, giovanissimo ex atleta di badminton, vincitore di due medaglie d’oro alle Olimpiadi di Tokyo 2020 e Parigi 2024. L’obiettivo è quello di rafforzare la cultura sportiva dei taiwanesi e ospitare eventi internazionali.

Di Lorenzo Lamperti

Tutte le altre puntate di Taiwan Files