Nuovo album per la band più celebrata di Pechino. Che canta in mongolo. Sempre più professionali, sempre più contaminati da generi «globali», piacciono a cinesi, expat, grandi e piccini. Una domanda rimbalza nel cervello: non staranno mica diventando gli U2 del Celeste Impero? (speriamo di no)
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Uscito in Cina, è acquistabile su iTunes. Ecco la sesta fatica della più famosa band di Mongolian rock, gli Hanggai, domiciliati a Pechino ma echeggianti suoni delle steppe sconfinate. C’è poco da fare, il genere piace da morire o irrita il sistema nervoso. Noi, che siamo da sempre fans di schitarramenti, canto lungo della tradizione mongola e qualche nitrito qua e là, ci limitiamo a osservare che la crescita aritmetica degli Hanggai come band corrisponde alla loro crescita geometrica come brand. Non sempre il suono ne trae beneficio e, in attesa di vederli (e goderli) live, non ci convincono alcune scelte. Se le loro evocazioni di una tradizione sempre meno autentica rischiano di diventare cliché che non si rinnova, le incursioni nei generi «occidentali» (come nel country di «Grassland My Beautiful Home») lasciano un po’ perplessi. Per non dire dell’estetica «Joshua Tree» che accompagna la loro ultima fatica. Non vorranno mica diventare una versione ultra-fake e fuori tempo massimo degli U2? No, c’è bisogno di un salto di paradigma, gli Hanggai non graffiano più.