Nella sola serata del 15 maggio 1911, a Torreón, Coahuila, Messico settentrionale, decine di immigrati cinesi caddero vittime delle violenze dell’esercito rivoluzionario, e più in generale di un diffuso sentimento razzista e anti cinese tra la popolazione messicana.
Il ricordo della mattanza è stato celebrato dalla comunità cinese di Torreón per la prima volta solo nel 2006, ben 95 anni dopo il triste evento. Più di trecento furono le vittime totali del movimento rivoluzionario messicano. I cinesi provenivano soprattutto dalla provincia di Canton e giunsero a Torreón attraversando il Pacifico e centinaia di chilometri in territorio messicano.
Attacchi contro la comunità cinese di Torreón si ebbero già tempo prima, il 16 settembre 1910, durante il centenario dell’indipendenza messicana: alcune persone lanciarono pietre contro i negozi dei cinesi, rompendo vetri e finestre.
Il 13 maggio 1911, durante la rivoluzione (iniziata un anno prima) che porrà fine alla dittatura di Porfirio Díaz, le truppe ribelli di Emilio Madero (fratello del più noto Francisco Madero) cominciarono l’assalto alla città di Torreón. Prime vittime della violenze furono proprio i cinesi, ritenuti pieni di dollari americani e messicani che “nascondevano nelle scarpe”. Vennero così trucidati tutti quelli che si rifiutavano di consegnare il denaro o che erano proprietari di negozi e banche.
Movente non solo economico però. Anzi, secondo lo studioso Javier Trevino Rangel, motivo principale della mattanza fu un razzismo anti cinese di vecchia data. Lavoratori cinesi fecero il loro ingresso in Messico a partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo, provenienti soprattutto da Cuba e Stati Uniti, e vennero impiegati come forza lavoro a basso costo per la costruzione di strade, ferrovie e in agricoltura.
Anni in cui l’odio per il “diverso” e discorsi di nazionalismo e razza galoppavano velocemente. L’immigrazione in territorio messicano era accettata solo se “bianca, cattolica, europea”. Diffuso era il malcontento della popolazione in molte aree del paese per le difficili condizioni di vita, e spesso a pagare i danni di questa frustrazione erano gli stranieri, specie gli asiatici dediti al commercio.
Chiaramente i “diversi” per eccellenza erano proprio gli asiatici in generale e i cinesi nel particolare, considerati “barbari”, “incivili”, “sporchi” e addirittura “cannibali”. L’identità della nuovo nazionalismo rivoluzionario del popolo messicano veniva prendendo forma anche e soprattutto in opposizione ad identità “diverse e straniere”, non senza pesanti connotazioni razziste, etniche, fisiche.
Gli “uomini dagli occhi di gatto” erano noti (e temuti) per la loro laboriosità, per il loro rispetto all’autorità e il basso costo di manodopera. Soliti a vivere in piccole abitazioni in condizioni igieniche deprecabili, portatori di malattie e dediti all’antropofagia. Venivano anche indicati come accaniti giocatori d’azzardo, oppiomani e privi di valori nazionalisti.
Nel 1899 un giornalista messicano parlò di “invasione mongolica”. L’odio nei confronti dei cinesi cresceva, ma non solo per lo squilibrio economico di quest’ultimi nei confronti degli strati più bassi della popolazione locale, bensì per una eredità culturale che considerava tutti gli stranieri non europei come “inferiori”.
Ma fu solo con la rivoluzione del 1910 che il vero movimento anticinese passò dalle parole ai fatti, complici anche le nuove idee di “difesa della razza e della patria” che circolavano tra tutti gli strati della popolazione.
Al di là della mattanza citata sopra del maggio 1911 a Torreón, episodi di razzismo andarono avanti per oltre vent’anni. Nel Chiapas la comunità giapponese si unì a quella cinese per chiedere al governo messicano di intervenire contro gli assalti di rivoluzionari armati ai danni di negozi asiatici. Nel 1913 a Zacatecas la polizia arrestò 53 cinesi con l’accusa di cannibalismo. Vennero vietati matrimoni tra cinesi e messicani e confiscate senza alcuna giustificazione proprietà e attività di immigrati cinesi. Le espulsioni e il sentimento anti cinese raggiunse il culmine nei primi anni trenta, per poi affievolirsi.
Molti decenni sono trascorsi e i rapporti, soprattutto economici e culturali, tra Cina e Messico sono oggi lontani anni luce da quei sentimenti di odio e razzismo. Purtroppo però molti degli stereotipi che si hanno ancora nei confronti degli asiatici, hanno le loro radici storiche proprio in quel periodo a cavallo tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo.
Per approfondire:
– “Entre el Rio Perla y el Rio Nazas. La Colonia China de Torreón”, di Juan Puig Llano.
– “Los Hijos del Cielo en el infierno: un reporte sobre el racismo hacia las comunidades Chinas en Mexico, 1880-1930”, di Javier Trevino Rangel.