Stato di Diritto: autorità e media cinesi danno rinnovata enfasi al tema della legge, intesa come strumento e codice condiviso per ordinare una società sempre più complessa e difficile. Tuttavia l’applicazione del diritto in Cina rimane talvolta discutibile. Esempi sono le prigioni nere e la nuova politica contro le autoimmolazioni. Il neosegretario e futuro presidente Xi Jinping ha così celebrato il trentennale della costituzione cinese del 1982 riconoscendo implicitamente che la Cina ha un problema di attuazione della regole comuni: “Nessuna organizzazione [leggi “Partito”] o individuo [leggi “funzionario”] ha il privilegio di essere al di sopra della Costituzione e della legge, e ogni violazione della Costituzione e della legge deve essere indagata”.
Un editoriale della Xinhua dà ulteriore forza al principio: “A fine agosto 2011, il legislatore cinese aveva promulgato 240 leggi, tra cui l’attuale Costituzione, 706 regolamenti amministrativi e oltre 8.600 normative locali. Ciò nonostante, si sono verificate occasionalmente violazioni e applicazioni lassiste della legge."
"Funzionari potenti abusano della loro autorità e hanno calpestato le stesse leggi che sono state invece rispettate dalla maggioranza dei cittadini. I funzionari sono ossessionati dal dominio dell’uomo sull’uomo, che è praticato in Cina da migliaia di anni ed è in contrasto con lo Stato di Diritto”.
Chi è abituato a pensar male, ha osservato che Xi non ha aggiunto molto a quanto già detto da Hu Jintao sia all’inizio, sia alla fine del suo mandato. Il problema, come al solito, è rendere effettivi i buoni propositi.
Sarà forse per dimostrare che questa volta è diverso che negli ultimi giorni è cominciato un vero e proprio giro di vite che colpisce i funzionari riconosciuti come corrotti in ogni angolo della Cina. L’ultimo è un pezzo grosso: Li Chuncheng, 56 anni, vicesegretario del Partito nella provincia del Sichuan. Secondo quanto riportano sia Caijing sia il South China Morning Post, sarebbe “il primo funzionario di livello ministeriale sottoposto ad indagine dopo il XVIII congresso del Partito del mese scorso, quando Li è stato nominato membro supplente del comitato centrale”.
È un caso di corruzione come ce ne sono tanti (legato, pare, alle attività delle grandi imprese di Stato), ma il peso del protagonista fa pensare che sia anche un monito per l’intera classe dirigente cinese, nonché un messaggio rappacificante alla sempre più inferocita gente comune.
I media cinesi riportano notizie sparse di altri casi di funzionari indagati in varie regioni del Paese, mentre sarebbe in corso una vera e propria retata contro i junket operator di Macao, regno del gioco d’azzardo e della perdizione.
Costoro sono personaggi che girano nei casinò vestendo i panni di giocatori Vip. In realtà, prendono una commissione dai casinò stessi per reclutare giocatori compulsivi nella Cina continentale, favorirne il trasferimento nella regione amministrativa speciale e quindi spennarli per bene. Così facendo, si rendono protagonisti di un illegale travaso di valuta dalla Cina a Macao.
Un’altra voce al capitolo “Stato di Diritto” è la notizia secondo cui migliaia di petizionisti sarebbero stati liberati da una “prigione nera” di Pechino, dove erano stati trasferiti dopo essere giunti nella capitale per manifestare in occasione del “giorno del Diritto”.
Le “prigioni nere” sono centri di detenzione informali, gestiti da privati e sparsi per tutta la Cina dove, senza avviare una procedura legale, viene rinchiuso chi turba l’ordine pubblico (in Cina è possibile detenere amministrativamente per mesi prima che al recluso venga notificata un’imputazione formale).
La notizia circola su vari media cinesi e in Rete, ma le versioni divergono sia sulla realtà dei fatti, sia sull’effettivo numero di persone “liberate”. Secondo Global Times – che parla di migliaia di persone – i petizionisti appena giunti a Pechino in gran numero per la ricorrenza, sarebbero stati caricati su degli autobus, portati nel “centro servizi di soccorso” di Jiujingzhuang (a sud della metropoli) e quindi rispediti a casa con trasporto gratuito.
Lo spin off del Quotidiano del Popolo intervista anche un docente universitario, secondo cui “portarli al centro di accoglienza è un buon modo per affrontare il rigido inverno della città” (a Pechino attualmente si arriva anche a meno 10°).
Il South China Morning Post parla invece di trecento petizionisti rilasciati e cita fonti secondo cui migliaia sarebbero ancora detenuti nella “prigione nera”. Secondo il Christian Science Monitor, in Rete sarebbe invece circolata la notizia secondo cui le persone illegalmente detenute nella zona di Pechino e rilasciate in questi giorni sarebbero addirittura 70mila.
Un altra novità legata all’applicazione della legge, ma questa volta di segno completamente diverso, è il fatto che le autorità cinesi, sempre nel nome del Diritto, intendono incriminare per omicidio chi aiuti i tibetani ad autoimmolarsi (ormai siamo a novanta casi).
Un parere congiunto della Corte suprema e dei vertici della polizia sancisce come “omicidio intenzionale” ogni “favoreggiamento o istigazione” dell’estremo atto di protesta. Lo riporta il Quotidiano di Gannan, organo governativo della prefettura nordoccidentale del Gansu dove molti dei roghi di novembre hanno avuto luogo.
Mentre il Dalai Lama ripete da Tokyo che la Cina dovrebbe invece indagare le ragioni profonde delle autoimmolazioni, l’intento delle autorità sembra quello di offrire un quadro legale (Stato di Diritto, appunto) alla repressione delle proteste.
[Scritto per Lettera43; foto credits: ourbusinessnews.com]