Naoto Kan, premier giapponese nei giorni del disastro di Fukushima, è diventato uno strenuo sostenitore della causa antinuclearista. Contesta le politiche di ritorno all’atomo dell’attuale amministrazione nipponica e si batte per lo sviluppo delle energie rinnovabili. La sincerità è una qualità che non fa difetto a Naoto Kan. L’ex primo ministro giapponese ha ammesso senza troppi giri di parole che se non fosse stato per il disastro di Fukushima a marzo del 2011, forse, non avrebbe mai cambiato idea sul nucleare.
Oggi Kan, ideatore dell’Ulivo nipponico, è uno strenuo fautore dell’abbandono dell’atomo e dello sviluppo delle energie rinnovabili. Come generazioni di suoi connazionali dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale dice di aver creduto alle promesse del presidente statunitense Dwight Eisenhower sull’atomo a scopi pacifici, capaci di fare presa sull’unica popolazione che sperimentò sulla propria pelle la bomba atomica.
Una convinzione che la catastrofe nucleare di Fukushima ha mandato in frantumi, come dimostrato nel 2014 dalla piattaforma antinuclearista con cui un altro ex premier, Morihiro Hosokawa, si presentò alle elezioni per il governatore di Tokyo, sostenuto peraltro da un terzo ex primo ministro, il carismatico liberaldemocratico Junichiro Koizumi.
«Il pomeriggio dell’11 marzo mi trovavo in parlamento per una riunione. A un certo punto l’enorme calendario sopra di noi ha iniziato a ciondolare. Ho pensato: speriamo non cada», ricorda Kan, parlando davanti agli studenti dell’Università la Sapienza di Roma per la presentazione del documentario «Fukushima: a Nuclear Story», scritto dal giornalista di SkyTg24 Pio D’Emilia per la regia di Matteo Gagliardi.
La catastrofe però fu ben altra. A stretto giro, oltre alle notizie sulle devastazioni del terremoto e del maremoto, seguirono quelle dalla centrale nella quale i sistemi di emergenza avevano fallito. I problemi a Fukushima continuano ancora oggi. La dismissione del vecchio impianto, nonostante le rassicurazioni dell’operatore Tepco, durerà ancora a lungo e nel mentre l’acqua radioattiva si riversa ancora in mare, dice l’ex premier.
«A dicembre del 2012 il mio partito perse le elezioni» e la politica di abbandono dell’atomo è stata messa da parte, ha poi aggiunto Kan. Il nuovo governo guidato da Shinzo Abe ha rilanciato lo sviluppo del nucleare. Tra le decisioni prese dal governo a guida del Partito democratico dopo la catastrofe di Fukushima ci fu infatti il blocco dei 53 reattori dell’arcipelago, che fino ad allora avevano contribuito a circa il 30 per cento del fabbisogno energetico nazionale.
Secondo l’ex premier la maggioranza dei giapponesi è contraria alle politiche energetiche portate avanti dall’esecutivo guidato da Abe, sotto il cui governo sono stati riavviati tre reattori (proprio in questi giorni il tribunale distrettuale di Otsu ha ordinato il blocco dei reattori della centrale di Takahama). Sotto il manto delle politica economica – la cosiddetta Abenomics – per far uscire il paese dalla stagnazione, spiega il primo ministro, il governo ha nascosto due riforme invise ai cittadini, quella della sicurezza e quella energetica, legata all’atomo.
In questo secondo caso, aggiunge, parte della responsabilità va data anche alla lobby dell’industria del settore, ossia le utility delle quali Kan critica le politiche commerciali. E ripete: «Una decisione come quella di tornare al nucleare dovrebbe essere presa dai cittadini, con un referendum. La parola spetta soprattutto ai giovani, perché sono loro il futuro».
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