In un editoriale sul China Daily, Liu Shinan si dichiara commosso a vedere le centinaia di migliaia di persone che in ogni modo cercano di tornare nella propria città di origine per celebrare il capodanno cinese. «E’ impressionante – scrive – vedere lo sforzo che tante persone fanno per ricongiungersi alle famiglie, dopo un anno di duro lavoro». Tradizioni e consuetudini, ma non tutti possono permetterselo.
Yan Shuyi è una ragazza di ventotto anno, originaria di Tangshan, cittadina della provincia dell’Hebei. Segno zodiacale cinese gallo, conduce un piccolo ristorante ristrutturato da qualche mese nel centro di Pechino. Insieme a lei, c’è il suo compagno, classe 1974, originario di Chengdu, nel Sichuan, la regione vittima del terremoto che lo scorso anno ha scosso l’intera Cina. Lui non torna a casa da cinque anni e anche questo Chungjie, il capodanno cinese, li vedrà impegnati, al lavoro: il loro ristorante rimarrà aperto la notte di capodanno, e faranno i jiaozi, i ravioli, cibo per eccellenza delle celebrazioni cinesi del nuovo anno.
Yan Shuyi racconta come si festeggiava il Chunjie quando era piccola, nella sua cittadina. Parla con gli occhi illuminati dal ricordo di quale era lo spirito festoso che accompagnava l’attesa del nuovo anno, la gioia di quel periodo in cui i piccoli desideri dei bambini venivano esauditi e si potevano mangiare dolci, carne e piatti prelibati, troppo costosi il resto dell’anno, ma immancabili a Chungjie.
«Tutte le famiglie – ricorda Yan – si raccoglievano nel proprio yuanzi, (case con il giardino) in cui vivevano in genere gli anziani e i figli maschi che vi risiedevano con le mogli. L’importanza riconosciuta agli anziani era dovuta al fatto che questi avevano una lunga esperienza di vita; era usanza che i bambini andassero a trovare agli anziani nelle case dei vicini o amici per avere gli auguri di una vita lunga e fortunata. In passato i bambini che andavano a ricevere gli auguri degli anziani, si dovevano inchinare di fronte a questi (ketoubainian). All’avvicinarsi del capodanno, i più vecchi di ogni famiglia, erano gli specialisti della carta tagliata, rigorosamente fatta a mano. Si usava carta rossa, da appendere ai muri o alle finestre. Il rosso è un colore che tiene lontana la sfortuna, ed è il colore che caratterizza tutta la festa».
Erano sempre gli anziani, considerati saggi e più colti, che preparavano su fogli rossi con inchiostro nero le scritte augurali da attaccare alle porte. I chunlian rimangono ancora oggi appesi alle porte tutto l’anno, per essere cambiati ogni Chunjie. Il contenuto di queste scritte cambiava a seconda di cosa si voleva augurare, di solito buona salute o prosperità.
Un’altra usanza che ricorda Yan Shuyi è quella di attaccare sulle ante delle porte i menshen, ovvero gli spiriti della porta, figure che appartengono a personaggi valorosi della storia antica e della mitologia cinese. Anche in questo caso il compito è tenere lontani gli spiriti cattivi.
«Oggi in campagna si trovano ancora tutti questi festoni, mentre in città ci si limita ad appendere un fu, carattere che significa fortuna, sulla porta».
Altre tradizioni: «il trentesimo giorno del dodicesimo mese lunare in ogni casa cinese si fanno i jiaozi ravioli, piatto tipico che ogni cinese mangia il primo dell’anno. Sono sempre gli anziani a farli. E l’usanza vuole che i bambini vadano a farsi fare un jiaozi dall’anziano della casa vicina (o di amici). E per la sera di capodanno nei ravioli si mette una monetina da un mao per vedere chi sarà baciato dalla fortuna nell’anno che comincia». Ai jiaozi è legato un aneddoto che Yan Shuyi ricorda con piacere: «quando si facevano i jiaozi, se alla fine avanzava la pasta per avvolgerli, voleva dire che in quell’anno la famiglia avrebbe avuto abbondanza di cibo, se invece avanzava il ripieno allora erano i soldi ad abbondare. Se non avanzava nulla poco male, l’anno sarebbe stato normale».
Per augurare una buona salute, l’ottavo giorno del dodicesimo mese del calendario lunare si mangia invece la labazhou, una minestra fatta di otto tipi diversi di cereali bolliti. In passato questo era il cibo dei poveri e generalmente veniva preparato dalla nuora per la suocera in occasione del capodanno. Ci sono altri cibi tradizionali legati al periodo del Chunjie, alcuni dei quali variano dal nord al sud della Cina, come per esempio le torte: al sud si mangia la nianagao o i tanyuan, al nord la youzhagao.
«Il primo giorno dell’anno oltre a dover mangiare almeno un jiaozi, si prepara un ricco pranzo degno di ogni capodanno che si rispetti, con carne, pesce (in cinese yu, cibo fortunato perché assonante allo yu che vuol dire abbondanza e dolci (in cinese tian). Non c’era nulla che fosse vietato durante il capodanno, se non pronunciare parole che coincidono con alcune sillabe particolarmente sfortunate, come huai, cattivo, rotto; si, morte, ren, buttare; po, rompere; diu, perdere».
Anche in Cina si fanno le pulizie di Chunjie, che impegnano tutti i componenti della famiglia, così come è usanza comune indossare, il primo giorno del nuovo anno, abiti nuovi: dall’elastico per capelli alla biancheria intima. Inoltre la tradizione vuole che l’anno in cui ricorre il proprio segno zodiacale, la persona deve indossare per tutto l’anno qualcosa di rosso (in genere un braccialetto, una cavigliera, un anello o una piccola cintura portata a pelle sulla vita), in quanto si crede che nell’anno del proprio segno non si gode di buona fortuna, «e il rosso aiuta sempre», conclude Yan. Per quanto riguarda i regali, «in genere sono fatti dai più grandi ai bambini, ed è usanza che a portare i regali sia chi va nella casa ospitante: i regali possono entrare ma non possono uscire».
Oggi però tutto sa cambiando, le tradizioni si perdono, la città macina progresso e benessere, facendo dimenticare rituali e usanze storiche: «oggi se non si può tornare a casa basta una telefonata, invece prima passare il capodanno in famiglia era l’unica cosa di cui non si poteva fare a meno. Del resto oggi non bisogna aspettare il capodanno per mangiare dolci o comprarsi un vestito nuovo».