Spartiti rossi – Un pezzo di stoffa rossa: da Tian’anmen alle idol band

In Cultura, Spartiti Rossi by Redazione

A Pingyao, nella provincia cinese dello Shanxi, città che ha visto crescere anche il regista Jia Zhangke, esiste un ostello della gioventù con un nome particolare: 平遥一块红布国际青年旅舍. Tradotto suona più o meno come “Ostello della gioventù, un pezzo di stoffa rossa” – Antica Pingyao. Se si vuole conoscere il perché di un nome così insolito, sul loro sito ufficiale e profilo Weibo, non esiste alcun riferimento alla denominazione della struttura, oltre a informazioni di natura pratica, itinerari e recensioni.

Ma perché? La causa di questa mancanza va ricercata nel significato simbolico che una “benda rossa sugli occhi” rappresenta per la musica cinese e, più estensivamente, per la cultura popolare.

Ma facciamo un piccolo passo indietro. Nel 1986 Cui Jian (崔健), accompagnato dalla sua band ADO, si esibì al Beijing Worker’s Stadium (北京工人体育场): con il suo gruppo, Cui partecipò a un talent ante-litteram chiamato 100 singer concert of year of international peace, sfoggiando una mise anarchica diventata poi iconica (abito da contadino e pantaloni militari con una gamba arrotolata al ginocchio). La canzone scelta era “Nothing to my name” (一无所有), un inno dirompente sulla disillusione dei giovani cinesi che parlava di libertà, sessualità e amore. Un brano apertamente critico nei confronti dell’individualismo dominante. Non è quindi difficile immaginare che questo brano, appena tre anni dopo, sarebbe diventato il simbolo delle proteste di piazza Tian’anmen a Pechino. Proprio lì, il 20 maggio 1989, Cui la canterà davanti a migliaia di studenti, pochi giorni prima della sanguinosa repressione del governo.

Nel video, che documenta la visita di Gorbacev a Tien an men, anche l’arrivo di Cui Jian:

È proprio in seguito al drammatico epilogo di quelle proteste che l’anno successivo fa la sua comparsa la benda rossa. Nel 1990 Cui inizia il tour per promuovere l’album dal titolo fortemente evocativo: Rock‘n’roll della nuova lunga marcia (新长征路上的摇滚). L’artista si presenta al pubblico cantando il brano “Nothing to my name” (一无所有), ma stavolta al potere delle parole si aggiunge un dettaglio di enorme importanza simbolica: una benda rossa sugli occhi.

Questa rappresentazione paradigmatica della cecità e della repressione diventerà anche un brano dal titolo omonimo, presente nel disco del 1991 “Solution” (解决), il cui testo rimane ancora oggi una delle testimonianze più forti del sentimento di una certa generazione di cinesi e, più in generale, delle politiche repressive dei primi anni Novanta. Il testo, giocato interamente sulla dicotomia privazione/libertà, sottolinea aspramente la violenza del totalitarismo, della rivoluzione culturale, della “bandiera rossa” diventata oggetto repressivo e accecante. L’individualismo disfunzionale portato all’estremo ha creato lo smarrimento cantato da Cui nei versi che recitano “Non riesco a vedere te, non riesco a vedere la strada” (看不见你也看不见路), espressione di una mancanza di prospettive future. Decisamente troppo per il partito. Il tour venne cancellato, a Cui fu comminata una multa salatissima e, cosa ben peggiore, gli fu vietato – sebbene mai in maniera ufficiale – di esibirsi per oltre dieci anni.

Con un lungo salto torniamo ai giorni nostri. A novembre dello scorso anno la giovanissima idol band cinese TNT (时代少年团) ha messo in scena una performance che ha fatto discutere: una cover di “A piece of red cloth” (一块红布) di Cui Jian in chiave K-Pop. Non è la prima volta che il brano viene riadattato, e lo stesso Cui si è a più riprese dimostrato aperto a tale pratica; tuttavia, la versione dei TNT ha ricevuto un volume di critiche maggiore di qualsiasi altra nella storia.

Oltre che a una generica mancanza di rispetto nei confronti del “padre del rock”, buona parte del malcontento dei netizens è rivolto alla produzione musicale dietro la band, tacciata di spremere eccessivamente dei quelli che sono poco più che bambini (15/16 anni in questo caso) per esibizioni totalmente prive di senso, contesto e profondità. Il peso storico-sociale che tale brano porta con sé è un carico eccessivo da sopportare per performer così giovani; inoltre, volerlo inserire forzosamente all’interno della cultura idol sa molto di cultural appropriation.

In altre parole, pensare alla canzone 一块红布 come ad un brano che parla – tra le altre cose – di libertà non rende automaticamente declinabile il suo uso a piacimento, né autorizza il suo spacchettamento in termini di semplificazione progressiva.

Cui Jian è ora un uomo libero e una star rispettata tanto in Cina (Hong Kong e Taiwan comprese) quanto all’estero (nel 2013 ha infatti ottenuto il premio Tenco). I tempi sono diversi e i carri armati di Deng hanno ceduto il passo al controllo capillare di Xi che si candida – seppur non condannando esplicitamente – a mettere ordine in Myanmar, dove, come nella Pechino di oltre trent’anni fa, si continua a sparare sulla folla. Tornando a quell’ostello di Pingyao quindi, possiamo dire con certezza che parlare apertamente di benda rossa è possibile ma ciò che suscita, almeno in chi ne conosce il significato intrinseco, è ancora qualcosa di eversivo e pericoloso. Al contrario, ridurre un brano come 一块红布 a mero atto di intrattenimento, svuotato di ogni contenuto e messo al servizio di un prodotto musicale preconfezionato è la perfetta espressione del solito soft power cinese e della sua imperterrita spinta normalizzante.

Di Stefano Capolongo*

*Gestisce su Instagram la pagina cinesedabao, in cui racconta la musica cinese e quello che succede oggi in Cina attraverso i caratteri e i loro mutamenti