La tesi La minoranza etnica zhuang e il Guangxi introduce le caratteristiche di questa popolazione che abita il sud della cina e le difficoltà di conservare lingua, usi, costumi e specificità economiche e culturali nello stato unitario cinese a maggioranza han.
Gli antichi pensatori cinesi mostravano un’approfondita conoscenza del comportamento collettivo (psicologia sociale) e condividevano una notevole preoccupazione per l’ordine e la stabilità sociale. Anche oggi tra i dirigenti politici c’è un’incrollabile convinzione che l’unità sia migliore della sua mancanza e che l’unica giusta aspirazione di un leader cinese debba essere quella di unificare l’intera Cina sotto un solo governo (es. Taiwan, Tibet, Xinjiang, Mongolia, ecc).
Il territorio che la Rpc ha ereditato, è il frutto della politica condotta dalla dinastia Qing per estendere i confini dell’Impero, imponendo il controllo su varie entità politiche e vari gruppi etnici, attraverso imprese militari, operazioni repressive o accordi con le classi dirigenti. Molti gruppi minoritari si sono scontrati a più riprese, nel corso dei secoli, con gli han su problemi quali la libertà religiosa, il controllo sull’economia e l’assimilazione culturale. Spesso le dinastie al potere hanno mostrato poca sensibilità e scarso apprezzamento verso l’eredità culturale.
Il pragmatismo del Partito Comunista non impedì di realizzare uno Stato integrato politicamente, economicamente, socialmente e culturalmente. In realtà il progetto dell’identificazione etnica (minzu shibie) e dell’autonomia regionale fu promosso proprio per facilitare tale realizzazione, non per garantire l’autodeterminazione dei gruppi minoritari.
L’articolo 3 della Costituzione del 1954 cita chiaramente: “la Repubblica popolare cinese è uno stato unitario multinazionale”, e l’articolo 4 sottolinea l’appartenenza a questo unico Stato, anche nel caso si tratti di Regione autonoma, affermando inoltre la necessità di contrastare ogni tentativo che minacci l’unione dello Stato diventando “sciovinismo di nazionalità locale”.
Ufficialmente la Cina ha adottato la definizione di nazionalità stabilita da Stalin, tuttavia, del modello sovietico ha preso a prestito la separazione territoriale etnica, ma non la struttura federale. A tale modello è stata preferita infatti la nozione di autonomia regionale in uno Stato unitario.
Tre sono i principi alla base della creazione delle regioni autonome:
In generale, tutte le minoranze precedettero gli han nell’insediamento nell’Asia orientale, ma vennero lentamente spinte a sud da questi, oltrepassando i confini cinesi, penetrando nell’Indocina e in Thailandia, lasciandosi gruppi di zhuang e miao alle spalle. Essi coltivavano riso, lavoravano il bronzo, tessevano la seta, e attorno al 300 a.C. avevano già un’organizzazione statale. Tale separazione tra barbari e cinesi assunse forma precisa al tempo della dinastia Han, in concomitanza col delinearsi dell’identità dei cinesi veri e propri. Lo sviluppo sociale ed economico di questi popoli è stato sempre ineguale.
Laddove vi fosse stretta convivenza con gli han, si è riscontrato un maggior benessere dovuto all’adozione di tecniche e prodotti più avanzati.
Gli studiosi ritengono che “l’uomo di Liujiang” (antico antropomorfo di bassa statura, dal ponte del naso collassato all’interno, gli zigomi sporgenti e la mascella inferiore piccola) avesse già in sé l’aspetto e l’incedere dei Zhuang odierni. Il materiale archeologico ci rivela che circa 10mila anni fa nell’area ‘Liang Guang’ (Guangdong e Guangxi) ebbe inizio una società di tipo matriarcale, suddivisa in clan, in cui i legami di consanguineità erano alla base.
Durante la dinastia Zhou Occidentali (1050-770 a.C.) fonti cinesi ci riconducono ad un antico Stato ‘Nan Yue’, costituito da tribù non cinesi appartenenti alla cultura Tai e sito ai confini sud-orientali del territorio imperiale. Gli Ou occidentali e i Luo nello specifico sono considerati i veri progenitori dei zhuang attuali.
I zhuang presentano alcune caratteristiche somatiche che permettono ad un acuto osservatore di distinguerli dalla maggioranza han: i visi sono generalmente più larghi, gli occhi sono più grandi, con la palpebra che presenta la cosiddetta “piega mongola”. Il naso è leggermente concavo nella parte ossea, e le narici sono spesso molto ampie, distanziate più degli occhi. Le labbra sono carnose. I zhuang inoltre sono comunemente piuttosto bassi, raggiungendo la statura media di 155 cm per le donne e di 163 cm gli uomini.
Il popolo zhuang vive raggruppato in villaggi, chiusi da recinti in bambù o muretti di sassi, nel cuore delle verdi vallate montane, nei pressi di corsi d’acqua. Il paesaggio ha qualcosa di eterno: l’architettura dei villaggi e l’ingegneria delle risaie sono ancora quelle di sempre. Da ogni villaggio si innalza una torretta di avvistamento, con funzione protettiva di difesa.
Ogni raggruppamento ha il proprio nome scelto in base ad una caratteristica unica di quel particolare luogo, così ad esempio si può trovare il nome “villaggio di bambù” se è interamente costruito in bambù, oppure “villaggio dei bufali d’acqua” se possiede un grande allevamento, ecc. Ogni villaggio ha il proprio capo, scelto tra gli anziani in base a cultura, responsabilità ed esperienza.
Scendendo dai pendii delle montagne, accanto ai corsi d’acqua, tra alberi da frutto e bambù, si vedono sparse le “ganlan”, le tradizionali abitazioni dei zhuang. Si tratta di case costruite in pietra, o in legno e fango, con le pareti esterne bianco-grigie, robuste e belle a vedersi. Le “ganlan” non hanno finestre che guardano sulla strada, pertanto quando si passeggia in questi villaggi si possono vedere solo pareti e cancelli. Le case tradizionali conservano la tipica struttura a due piani1: quello superiore con la funzione di abitazione vera e propria per la famiglia, quello inferiore adibito a stalla e a magazzino. Questa struttura è considerata la più adatta al clima umido della regione, alle caratteristiche montuose del terreno e alla grande quantità di serpenti e animali selvatici che popolano le foreste. Il tetto che in origine era di bambù e ricoperto di foglie, ora ricoperto di tegole, è costruito dagli artigiani zhuang senza volute, archi o altri ornamenti. La parte esterna dell’abitazione, non importa che sia in legno, bambù, pietra o terra è sempre molto spessa. La parte interna di conseguenza rimane più asciutta e pulita, e molto confortevole.
Molti degli aspetti caratteristici sono stati conservati: l’agricoltura itinerante, abitazioni in vecchio stile, talvolta su palafitte, allevamento del bufalo d’acqua, preparazione del pesce autodigerito e fermentato, uso della noce betel, impiego della gerla, dell’organetto a bocca e dei tamburi di bronzo, culto dei serpenti e dei draghi, del cane e della tigre, pratica dello sciamanismo, ecc.
Dalle cronache di epoca Qing, sappiamo che i zhuang vestivano per lo più bluse nere o grigie o blu e pantaloni corrispondenti. La tintura blu era la più resistente: si otteneva unendo al colore blu (7-8 jin per un abito da uomo), 2 jin di buccia di pompelmi e arance e 4 jin di soda. Le stoffe potevano essere di cotone, lino, seta o anche ricavate dal bambù o dal banano. Nelle città dei zhuang di oggi sono stati adottati gli abiti moderni, ma nei giorni di festa riappaiono i costumi tradizionali che danno nuovo impulso alla cultura nazionale. Le donne più anziane indossano vestiti senza collo, con ornamenti sul lato sinistro, il bordo ricamato e abbottonati sulla sinistra. I pantaloni sono ampi e cascanti. Le fasce annodate in vita sono ricamate per l’intera lunghezza. In generale, alle donne zhuang piace adornarsi con gioielli e monili di argento. Gli uomini vestono abiti poco ricercati, in passato tessuti a mano, oggi industriali. Infilata nella fascia che circonda la vita, c’è la lunga lama adoperata per tagliare il bambù. Sia uomini che donne portano copricapi simili a turbanti. In occasione del matrimonio lo sposo è vestito di bianco, con una fascia che gli attraversa il petto dalla spalla sinistra alla destra, con fiori di stoffa al centro.
I broccati zhuang sono il prodotto tessile più famoso: si ottengono intrecciando a mano fili di cinque colori su cotone naturale o velluto, ricamando figure geometriche non convenzionali, dando vita ad opere pregiate e durevoli nel tempo. La produzione dei broccati risale a oltre mille anni fa: se ne ha riscontro già durante le dinastie Tang e Song. Dopo la fondazione della Repubblica, il mercato dei broccati fu naturalmente ampliato e si moltiplicarono le idee per la creazione di nuove forme e nuovi disegni.
La lingua zhuang, possiede il proprio sistema di pronuncia, le proprie regole per la formazione delle parole e il proprio sistema grammaticale. All’interno della famiglia sino-tibetana infatti si può individuare la branca Zhuang-Dong, che a sua volta contiene la branca14 Zhuang-Dai, cui appartengono appunto le lingue parlate dai Zhuang, dai Buyi e dai Dai, fortemente collegate alle lingue Thai e Lao. Durante il prolungato contatto con il gruppo han, la lingua zhuang ha assorbito al suo interno numerosi vocaboli, circa il 20-30% delle parole usate nel parlato quotidiano, raggiungendo anche il 50-60% nei trattati di economia, politica e studi socio-culturali.
Il vero alfabeto zhuang ebbe inizio nel 1955 quando si trovarono a collaborare la Commissione di Ricerche del Guangxi e l’Istituto delle Scienze: era stata recepita la necessità di creare un corpus di regole grammaticali e di dare un assetto un po’ più stabile alla lingua Zhuang, in modo da facilitare le comunicazioni tra il popolo. I zhuang del nord infatti non comprendevano la lingua del sud, se non tramite la scrittura, e viceversa. Cominciando a pubblicare articoli, saggi, ecc. in lingua zhuang su svariati argomenti di interesse pubblico, ma anche studi sulla lingua stessa, si procedette alla diffusione dell’alfabetizzazione e alla valorizzazione della cultura locale.
Anche la letteratura locale era studiata in lingua cinese, ma ultimamente si è verificata una presa di coscienza nazionale. In base alla “legge sulle nazionalità” del 1984 che accordava loro questo diritto molti scrittori hanno cominciato recentemente a pubblicare le loro opere usando la lingua zhuang. Sostengono che solo abbandonando l’obbligo dell’apprendimento della lingua cinese, la gente potrà effettivamente possedere una propria cultura e approfondendo lo studio delle origini, della storia e della lingua giungere a buone conoscenze tecniche e scientifiche che possano migliorare la situazione della regione.
Il governo comunista ha cercato di ridurre le differenze tra i gruppi nei settori economico, educazionale e politico, e di eliminare le cause che hanno portato questi popoli a essere separati per secoli; tuttavia, nel condurre la sua politica, il governo non tollera resistenze, come le frequenti repressioni del Tibet hanno evidenziato. Questa campagna include la necessità di una “sofferenza consapevole” cioè la limitazione dell’esercizio delle libertà civili e politiche laddove queste possano favorire la frammentazione del Paese. Nelle aree abitate dalle minoranze nazionali si è assistito all’introduzione e all’applicazione di sistemi di gestione economica estranei e spesso in contrapposizione alla storia e alla tradizione di queste popolazioni. Dal punto di vista culturale, venivano concesse libertà, seppur relative. Si sono sviluppati due processi diversi: dal punto di vista economico si è tentato di introdurre la pianificazione, l’organizzazione di lavoro collettiva; dal punto di vista culturale si sono lasciate queste popolazioni libere di studiare la propria cultura, di parlare la propria lingua, e di praticare la religione che preferissero.
Va tuttavia osservato che l’introduzione dell’economia socialista, nella versione poco flessibile degli anni Cinquanta, in queste aree e l’innegabile impatto positivo in termini di crescita, ha comportato un livellamento delle specificità culturali e un immiserimento di quelle etniche. In pratica, il modello di sviluppo proposto non aveva la capacità di raccogliere e valorizzare le differenze etniche, anzi dal punto di vista ideologico le individuava come reazionarie.
* Elena Morandi, morandi.elena[@]gmail.com laureata nel 1999 in Lingue e Letterature Orientali a Ca’ Foscari (Venezia), è interprete, traduttrice, consulente per la Cina e mediatrice culturale nelle scuole. Ma la vera passione è l’insegnamento: è stata docente di Filosofia e Religioni dell’Asia presso l’Università di Urbino, e docente di Cultura cinese per l’Enaip di Bologna e il Clar di Macerata. È docente di italiano LS per studenti cinesi nell’ambito del progetto ‘Marco Polo’. Attualmente è docente di lingua cinese presso Enti di Formazione, e presso il Centro Servizi di Ravenna.
** Questa tesi è stata discusa alla Cà Foscari di Venezia: relatore prof. Marco Ceresa, correlatore prof.ssa Magda Abbiati
[La foto di copertina è di Federica Festagallo]