SINOLOGIE – Salvate i bambini!

In by Simone

Cannibalismo di sopravvivenza e cannibalismo culturale. Un reale mezzo di sostentamento, a tratti con profondi significati socio-culturali, ma soprattutto finzione letteraria. La tesi Il Cannibalismo in Cina tra Storia e Letteratura analizza il fenomeno attraverso la letteratura cinese.
Il cannibalismo è un fenomeno estremamente complesso e resta uno dei grandi tabù del pensiero dell’uomo contemporaneo.

Il solo menzionare la parola “cannibale” evoca alla mente una vasta gamma di immagini, dalle più gotiche alle più esotiche, che provocano una forte repulsione sia fisica che psicologica. Tutte in relazione con l’ “altro”, mai con “noi” fino a tracciare una sorta di linea di confine tra l’uomo civilizzato e il suo opposto, l’uomo barbaro e primitivo.

Il tema dell’antropofagia è costantemente presente nell’immaginario collettivo del popolo cinese, a partire da riferimenti mitologici e leggendari antichissimi, fino all’epoca moderna, in particolare fino al periodo della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (Wuchan Jjieji Wenhua da Geming) negli anni ’60/’70 del Novecento, in cui sembrano essersi verificati gli ultimi casi di cannibalismo di tipo rituale in Cina.

E’ importante sottolineare che, esaminando il tema del cannibalismo nella Cina antica e moderna, è necessario tenere bene in mente la distinzione tra una reale pratica antropofaga documentata storicamente e la finzione letteraria, utilizzata per sorprendere, divertire e talvolta scuotere l’animo del lettore.

I documenti storici e antropologici relativi alle varie dinastie succedutesi nell’impero cinese rivelano che la Cina è da sempre una terra di carestie; durante questi periodi i funzionari spesso venivano meno alle proprie responsabilità mentre il popolo moriva di fame.

Una volta venduti tutti gli averi, la povera gente arrivava al punto di vendere e scambiare i propri figli per cibarsene; per indicare questa pratica si utilizzava un’espressione popolare che è stata tramandata fino al giorno d’oggi: yi zi er shi, letteralmente: “scambia il figlio e cibati”.

Questo tipo di antropofagia viene denominato cannibalismo «di sopravvivenza», ovvero un atto che si verifica in circostanze del tutto particolari, durante gravi carestie provocate da catastrofi naturali o guerre, in cui il cannibalismo si configura come azione disperata, risorsa ultima per sopravvivere.

Infrangere il tabù che vieta di nutrirsi dei propri simili spesso ha comportato la colpevolizzazione e la condanna pubblica dei soggetti che vi hanno fatto ricorso, sebbene la loro vita dipendesse esclusivamente da questa ultima risorsa.

Il cannibalismo cosiddetto «culturale», ovvero una pratica che non dipende dalla scarsità o privazione di cibo, bensì sembra essere condizionata da fattori che riguardano le relazioni interpersonali, come l’amore e l’odio, e consiste nell’atto socialmente istituzionalizzato di consumare determinate parti del corpo, apparve come atto di inumanità durante periodi di guerra.

Non solo rappresentava l’ultima risorsa per gli abitanti assediati all’interno di città e fortezze, ma cibarsi degli stessi prigionieri di guerra o dei nemici uccisi costituiva una brutale forma di vendetta.

In alcune cronache storiche inoltre si riferisce che alcuni imperatori particolarmente crudeli e audaci, utilizzassero l’antropofagia come mezzo per sedare le opposizioni, come deterrente  per le ribellioni e per rafforzare la loro base di potere.

E’ anche noto l’uso di carne umana come cura di alcune malattie a cominciare dall’epoca degli Han posteriori (I sec d.C. circa). Questa pratica, nota come gegu (lett: “tagliare un arto”), è connessa alla virtù confuciana della pietà filiale e  si diffuse soprattutto tra figli, nuore e mogli. Consiste nel donare a genitori, mariti o suoceri malati una parte del proprio corpo (solitamente della coscia) per alleviare le sue sofferenze fisiche.

Dal XIV secolo in poi, la pratica si diffuse in modo capillare, tanto che durante il regno dell’imperatore Shunzhi nel 1652 una serie di editti imperiali proibì formalmente l’uso della carne della moglie come medicina per il marito malato.

Durante l’ultima dinastia della Cina imperiale, la dinastia Qing (1644-1911), era diffusa la credenza secondo la quale bere sangue umano avrebbe aumentato l’appetito sessuale degli uomini; per questo motivo, quando avveniva una esecuzione pubblica, alcune donne acquistavano pane intinto di sangue del condannato per i propri mariti impotenti.

In linea di massima, il cannibalismo di tipo culturale tende comunque a enfatizzare elementi etici e morali, senza implicare motivazioni fisiologiche o materiali.

Anche per quanto riguarda l’epoca moderna e contemporanea, sono abbondanti i riferimenti storici e letterari riguardanti il cannibalismo. Esempi di questa pratica vengono riferiti dal giornalista americano del Time, Theodore White, il quale nel 1942 si trovava nello Henan, una zona colpita da un’inondazione di locuste che provocò una gravissima carestia in cui morirono 5 milioni di persone.

Egli riferisce nei suoi scritti atti di cannibalismo tra concittadini e questi racconti verranno in seguito ripresi dall’autore Liu Zhenyun, il quale negli anni Novanta scriverà il romanzo “Rivisitando il 1942”, basato appunto sulla carestia e sull’antropofagia.

Se si analizza poi il periodo maoista, in particolare gli anni del Grande Balzo in avanti, Dayuejin (1958-62), un utopistico piano di politica economica lanciato da Mao alla fine degli anni ’50 che provocò una delle carestie più gravi nella storia cinese, è possibile individuare testimonianze e interviste fatte a coloro che sono sopravvissuti a questa catastrofe.

Esse riferiscono che nelle comuni popolari (Renmin gongshe) di notte ci si recava nei campi per dissotterrare e tagliare pezzi del corpo dei cadaveri per potersene cibare.

Era la politica ufficiale a nascondere questi episodi, anche quando si provvedeva ad arresti, per non macchiare la figura del Presidente Mao. I casi più noti avvennero nello Henan e nell’Anhui.

I contadini di oltre cinquant’anni, intervistati trent’anni dopo la carestia da Jasper Becker nella sua opera  La Rivoluzione della Fame. Cina 1958-1962: la Carestia Segreta, raccontano di aver sentito parlare di almeno un caso di cannibalismo nella loro squadra di produzione.

In una delle interviste riportate nell’opera, si narra che in un piccolo villaggio della contea di Guanshan, nello Henan, la signora Liu Xiaohua, ormai sessantacinquenne, ricorda ancora in modo vivido alcuni episodi del 1960.

L’anziana donna, debilitata nel corpo e nell’anima, narra in modo dettagliato la sofferenza e i soprusi subiti in quel periodo e in particolare testimonia il fatto che di notte alcuni suoi vicini andavano nei campi a cercare e tagliare pezzi di carne dai cadaveri sepolti di recente, per nutrirsene. Liu afferma che “quell’inverno gli uomini si erano trasformati in lupi: si diceva che chi era fuggito dal villaggio, fosse stato ucciso e mangiato” .

Inoltre racconta di come in un villaggio vicino, formato da una manciata di capanne, una donna avesse ucciso il proprio figlio neonato per cibarsene insieme al marito. In seguito questa donna aveva perso il senno e il segreto era venuto a galla.

Infine, durante l’epoca della Rivoluzione Culturale (1966-1976), abbiamo prove di episodi in cui i dissidenti e gli individui non in linea con il pensiero di Mao, venivano brutalmente uccisi e in seguito ingeriti dalle cosiddette Guardie Rosse (Hongweibing), giovani figli degli operai, dei contadini poveri, dei quadri di partito, dei martiri e dei soldati della rivoluzione.

Questo cannibalismo di tipo rituale si configurava come un metodo di ammonimento per incutere terrore verso coloro che venivano considerati nemici politici.

In particolare, molti casi sono testimoniati nella provincia del Guanxi, nella Cina più Meridionale, dallo scrittore Zheng Yi in Scarlet Memorial, Tales of Cannibalism in Modern China (1993), in cui egli riporta con minuzia un quadro inquietante sulle uccisioni sistematiche e sulla pratica antropofagica degli individui in nome della loro lotta di classe.

La ricerca si è basata non solo su interviste, testimonianze o documenti storici ufficiali, bensì ha fatto ampio riferimento a testi letterari cinesi appartenenti alle varie epoche in cui fosse presente il motivo del cannibalismo nelle sue varie accezioni e forme.

Nelle opere classiche, questa tematica si configura come particolare espressione di una tradizione letteraria, quella del grottesco, riscontrabile nei testi cinesi dai tempi più remoti: il cannibalismo è una pratica descritta per stupire il lettore, talvolta per divertirlo, presentando situazioni immaginarie, fittizie anche piuttosto turpi e riprovevoli, ma alquanto comiche.

Emblematico a questo proposito, è un passo del romanzo di epoca Ming del XVI secolo, intitolato Shuihu Zhuan (Sul Bordo dell’Acqua, in italiano I Briganti), in cui viene narrata la storia di un gruppo di briganti e vengono menzionate strane locande in cui il ripieno di ravioli sarebbe costituto da carne umana:

Dopo aver riportato per quattro o cinque volte il vino, la donna tornò con  un cestello di ravioli al vapore. Le due guardie cominciarono immediatamente a mangiare.

Wu Song aprì a metà un raviolo:
«Cos’è?»-chiese-  «Carne umana o di cane?»

La donna rise. «Mi state prendendo in giro! Chi ha mai sentito dire di una cosa simile in tempi di pace e tranquillità? Per generazioni e generazioni la nostra famiglia ha sempre servito ravioli di puro manzo».

«Durante i miei viaggi ho spesso sentito dire dagli uomini: Quale viaggiatore oserebbe fermarsi alla taverna accanto al grande albero? I più grassi diventano ripieno per i ravioli, i più magri si usano per fare il vapore!»

«Chi mai direbbe una tale falsità? Vi state inventando tutto!»

«Ci sono peli in questi ravioli che assomigliano proprio a peli pubici. Mi fanno venire qualche dubbio» – disse Wu Song -«Perchè suo marito non è da queste parti, signora?»

Per quanto riguarda invece il campo semantico del cannibalismo in opere di epoca moderna e contemporanea, esso si riferisce piuttosto al filone narrativo di tipo politico, riguardante l’evoluzione sociale ed il nazionalismo culturale, in cui l’antropofagia viene presentata come attività abituale di alcuni gruppi sociali.

In questi testi il cannibalismo diventa metafora di concetti di più ampio respiro e ha il compito di scuotere l’animo del popolo cinese, risvegliare la coscienza sociale.

Utilizzando la finzione letteraria si cerca di coltivare nel lettore una nuova consapevolezza della propria identità, non solo di cittadino socialmente attivo, bensì anche di essere umano.

Rappresentativo di questa tendenza è il racconto di Lu Xun, scritto nel 1918, intitolato “Diario di un pazzo”, in cui il protagonista è ossessionato dall’idea di vivere in un mondo di cannibali che vogliono divorarlo.

Il passo finale dell’opera esprime i propositi immediati dell’autore: l’opera è indirizzata contro l’umanesimo della tradizione cinese, contro la morale atavica ufficiale, ma reca uguale scandalo fra chi ne è estraneo, mettendo in questione l’intera civiltà umana e non solo la Cina:

Ho appena capito di aver vissuto per tutti questi anni in un posto dove mangiano carne umana da quattromila anni[…].

Come può un uomo come me,  dopo una storia che dura quattromila anni- anche se all’inizio io non ne sapevo niente- pensare di poter guardare  in faccia i veri uomini? […]. 

Ma forse ci sono ancora bambini che non hanno mangiato carne umana. Salvate i bambini!

Analizzando poi il periodo del Grande Balzo in avanti e quello della Rivoluzione Culturale, riscontriamo che le opere in cui è stato inserito il tema dell’antropofagia sono innumerevoli.

Infatti, soprattutto dopo l’apertura verso il mondo esterno, verso la modernizzazione economica e culturale, inauguratasi in Cina negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, molti autori hanno avuto la possibilità di cimentarsi con un maggiore margine di libertà in opere di critica sociale.

Il tema del cannibalismo viene utilizzato come “strumento” per esprimere concetti di più ampio respiro: la critica di politiche economiche deleterie attuate in passato dal governo, la richiesta di democrazia, nonché la denuncia di un mondo contemporaneo dominato dalle leggi egoistiche di mercato.

Inoltre, soprattutto gli autori più giovani, avendo dovuto vivere sulla propria pelle momenti di grande difficoltà e sofferenza a causa degli errori commessi in epoca maoista in campo economico, hanno inserito nei loro romanzi o racconti il tema del cannibalismo, non come pratica simbolica, bensì come unico e reale mezzo di sopravvivenza in contesti estremamente duri e al limite dell’umano, dipingendo così  quadri di vita reale, dominati da fame, carestia e morte.

Questi resoconti apparvero nel panorama letterario cinese soprattutto dopo l’incidente di Tian’an men: molti giovani che avevano partecipato a questa protesta infatti, dopo la strage del 4 giugno, furono imprigionati o esiliati, altri scelsero la via dell’auto-esilio e in questo modo, trovandosi lontani dal paese natale, ebbero la possibilità di raccontare liberamente determinate esperienze da loro vissute, narrazioni che in Cina sarebbero state probabilmente censurate o condannate.

Alcune opere appartengono alla cosiddetta letteratura di reportage, in cui i fatti sono narrati con estremo realismo e secondo le tecniche tipiche del giornalismo; altre invece appartengono alla narrativa.

Quest’ultime trattano il tema del cannibalismo o sottoforma di finzione letteraria, raccontando per esempio la storia di città immaginarie in cui si pratica un turismo di tipo gourmet, basato sulla vendita della carne di bambini (e questo è il caso de Il paese dell’Alcol di Mo Yan), oppure l’antropofagia è riferita in alcune opere autobiografiche e riportata come fatto realmente accaduto durante la grande carestia del 1958-62. Ne è un esempio il romanzo autobiografico Figlia del Fiume di Hong Ying, in cui l’autrice narra:

Quell’anno, anche nel distretto natale di mia madre, quello di Zhong, sparì qualsiasi cosa fosse commestibile. La popolazione cominciò a mangiare un tipo di argilla bianca chiamata terra del bodhisattva, nella speranza di placare la fame, ma nello stomaco questa si gonfiava e si induriva causando una costipazione fatale.

La zia fu la prima a morire di fame nel villaggio; mio cugino, dalla scuola mineraria dove studiava, corse subito a casa, per compiere i suoi doveri di figlio maggiore. Per tornare a casa, passò dal distretto di Fengdu, dove gli orrori della carestia erano insostenibili.

I bambini erano venduti apertamente; intere famiglie cercavano salvezza nella fuga; i cadaveri giacevano lungo le strade senza nemmeno uno stuoino di paglia che li coprisse; ci fu persino chi, accecato dalla fame, si cibò della carne dei familiari morti.

Un passante lo avvertì: -Ragazzo non andare oltre. Non troverai un boccone di cibo a nessun prezzo.”

Per concludere, è innegabile che la pratica del cannibalismo sia stata attuata in passato da un gran numero di gruppi etnici in tutto il mondo e in tutte le epoche, e sarebbe quindi inopportuno attribuirla solo a popolazioni cosiddette “non civilizzate” o barbare, in quanto le motivazioni che possono spingere l’uomo a tale atto disperato sono molteplici, e spesso si configurano come l’ultima risorsa per la sopravvivenza.

* Beatrice Cerchiai beatricecerchiai[@]gmail.com ha studiato Mediazione linguistica e culturale  presso l’Università per Stranieri di Siena, dove si è laureata nel 2011 con una tesi in lingua e letteratura cinese sul tema del cannibalismo in Cina, analizzato attraverso la storia e le opere letterarie di questo paese. Durante il tirocinio universitario, ha insegnato italiano presso l’Istituto Galileo Galilei di Chongqing.  Attualmente frequenta il primo anno del corso di laurea magistrale in Scienze Linguistiche e Comunicazione Interculturale.

** Questa tesi è stata discussa presso l’Università per Stranieri di Siena. Relatore: prof. Anna Di Toro. Correlatore: prof. Alejandro Patat.

[La foto di copertina è di Federica Festagallo]