La tesi Cultura popolare, slang ed espressioni gergali nella Cina contemporanea. Proposta di traduzione di Niubi! di Eveline Chao ci spiega come il linguaggio raccoglie le contraddizioni tipiche di un paese che sta attraversando grandi cambiamenti. Tutto quello che volevate sapere su turpiloquio, omosessualità e internet.
Niubi! The Real Chinese You Were Never Taught in School raccoglie quello che può definirsi lo “slang contemporaneo cinese”. Il libro pubblicato da Eveline Chao, giovane autrice statunitense di origine cinese, rappresenta un’importante novità nel panorama editoriale: fino ad alcuni anni fa, infatti, non si poteva nemmeno parlare di un vero e proprio slang cinese, in quanto esistevano soltanto regionalismi.
Grazie allo sviluppo economico e all’aumento dei giovani iscritti alle università, lo slang in Cina si è diffuso in maniera molto rapida; con l’avvento di internet, che ha ridotto tempi e costi, il modo di comunicare si è fatto più semplice e veloce, permettendo così ai linguaggi gergali di arrivare e consolidarsi in tutto il paese. Il governo, dal canto suo, monitora attentamente le informazioni che circolano in rete; nel 2009, per esempio, fece molto scalpore l’imposizione di installare su tutti i computer in vendita in Cina la lüba “diga verde”, un software per il controllo del web.
Il libro di Chao si articola in otto capitoli principali, ogni capitolo si apre con una parte introduttiva nella quale l’autrice espone in maniera concisa l’argomento e descrive brevemente l’evoluzione del linguaggio in quell’ambito. Alla presentazione segue l’elenco dei termini e delle espressioni pertinenti ad ogni sezione specifica, e ogni termine è accompagnato dalla relativa traduzione e spiegazione in inglese. Per ogni espressione, inoltre, l’autrice riporta tra parentesi una pronuncia fonetica facilitata per il lettore straniero, in modo tale che anche chi non ha familiarità con le regole del pinyin può pronunciare le espressioni in maniera quasi corretta.
I capitoli trattano diversi argomenti: l’etimologia dell’espressione niubi, che dà il titolo al libro; il turpiloquio; espressioni e interiezioni di uso comune utilizzate nei saluti, e nelle diverse casistiche di approccio fra uomini e donne; il gergo della comunità LGBT (passato e recente); il gergo criminale, e infine il gergo di internet, con il suo corredo di abbreviazioni ed emoticon (molto utilizzate online) e di espressioni “cult” tipiche del web. Qui ci focalizzeremo su tre tematiche in particolare: turpiloquio, gergo omosessuale e di internet.
Per quanto riguarda il turpiloquio, l’italiano e il cinese presentano caratteristiche comuni: tra le varie imprecazioni per manifestare ira, rabbia o eccitazione troviamo, per esempio, l’utilizzo di espressioni che alludono a rapporti extraconiugali e di termini che indicano organi sessuali. In quest’ultimo campo rientra la parola niubi, che dà il titolo al libro. Le origini di questa parola, come afferma l’autrice stessa, sono incerte, ma sappiamo con certezza che ha tre significati: il primo, letterale, è “fica di vacca”; il secondo, figurato e con accezione negativa, è “spaccone, presuntuoso”; il terzo, figurato connotato positivamente, è “stupendo, fantastico, figo” e si usa sia per persone sia per cose o situazioni.
Vediamo ora tre aspetti per cui il cinese e l’italiano si differenziano. In primo luogo, in cinese non esistono vere e proprie espressioni blasfeme come quelle legate al mondo cattolico (per esempio, Cristo!). Tuttavia, la Cina, paese ufficialmente ateo, presenta certi concetti legati al mondo delle divinità riconducibili alla tradizione buddista e taoista: esistono i concetti di “inferno” e di “diavolo”, ed è perciò possibile “mandare una persona al diavolo o all’inferno”. Come ha già rilevato Madaro le espressioni più vicine alle nostre blasfemie religiose sono rivolte alla famiglia, poiché secondo il pensiero confuciano la famiglia è al centro della società e ha un ruolo sacro.
In secondo luogo, come rileva Chao, il cinese si distingue da altre lingue e culture occidentali per l’assenza di espressioni che denigrano l’omosessualità. Anche se l’omosessualità non è universalmente accettata nella società cinese, non viene per questo stigmatizzata, per lo meno a livello linguistico, come accade purtroppo in società influenzate dal pensiero cristiano o mussulmano.
La lingua cinese, infine, si differenzia per l’assenza della parola “merda” dal ventaglio di possibili espressioni ingiuriose. L’autrice spiega che in un paese prevalentemente basato sull’agricoltura, in cui le persone possono parlare apertamente di problemi di diarrea a tavola e in cui i bambini scorrazzano con il sedere in mostra, non è particolarmente ripugnante o degradante parlare di “feci” o di “urina”.
Passiamo ora ad analizzare le peculiarità della lingua cinese e in particolare tre ambiti caratterizzanti. Il primo ambito è legato alla sfera famigliare, da sempre al centro della società cinese, tant’è che lo scrittore Lu Xun ha definito 他妈的 tamade “di sua madre” l’insulto nazionale per eccellenza, per lo meno nel Novecento. Oggigiorno tale espressione ha perso gran parte della sua carica irriverente e, almeno per le nuove generazioni, non è più percepita come particolarmente offensiva. Da questa espressione derivano anche altri modi di dire: nimade cioè “di tua madre” o 去你妈的 qunimade, abbreviato 去你的 qunide, “va dalla tua (di madre)”; mentre la versione taiwanese riguarda “il tuo professore” 你老师 nilaoshi.
Un secondo bacino tematico è legato al regno animale. In Italia, dare dell’uovo di testuggine (王八蛋) a qualcuno può sembrare cosa di poco conto, ma in Cina è una grave offesa corrispondente al nostro “bastardo” o “figlio di buona donna”. Similmente all’italiano troviamo espressioni quali “figlio di cagna” (狗崽子/狗仔子) o “allevato da una cagna” (狗娘养的).
L’ultima sfera tematica è legata all’ambiente rurale. La parola 土 tu, terra, viene utilizzata come peggiorativo per accusare l’interlocutore di essere rozzo, senza cultura, un “provincialotto”, come nell’espressione 土包子 tubaozi. Tale linguaggio probabilmente testimonia il divario ancora presente tra città e campagna.
Voltiamo pagina per introdurre le peculiarità del gergo legato alla comunità LGBT. Nella Cina degli anni ’20, anche se l’omosessualità era nota, non esisteva un vero e proprio termine per indicarla, così fu adottata una parola straniera coniata nel XX secolo da sessuologi tedeschi che venne tradotta come 同性恋 tongxinglian o 同性爱 tongxing’ai “amore per la stessa natura”. Nella Cina imperiale esistevano legami di natura omosessuale, testimoniati anche da testi letterari, e venivano tollerati purché vi fosse una continuazione della stirpe. Con la fondazione della Repubblica Popolare Cinese, invece, e in particolare durante la Rivoluzione culturale, l’orientamento omosessuale venne stigmatizzato fino ad essere incluso nel reato di hooliganismo.
Nel gergo omosessuale riportato in Niubi! è possibile individuare due macrocategorie: la prima comprende quei termini fortemente influenzati dalla cultura anglofona, mentre la seconda comprende quelli ancorati nella cultura cinese. Nel primo gruppo troviamo prestiti e calchi, fonetici o semantici, dall’inglese. Tra i prestiti, segnaliamo la parola gay pronunciata all’inglese che è entrata a tutti gli effetti nel linguaggio comune; anche il termine “lesbica” deriva dall’inglese, lesbian o lez, in questo caso l’influenza straniera è giunta prima a Taiwan con il calco fonetico 拉子 lazi, dopodiché si è diffusa fino al continente diventando 拉拉 lala. Oltre al termine gay, il cinese presenta altri forestierismi come tomboy, moneyboy, potato queen e rice queen.
Numerosi sono i calchi semantici: 断背 duanbei “schiena rotta” dall’inglese brokeback, l’espressione si ispira infatti al film di Ang Lee I segreti di Brokeback Mountain; 熊 xiong, dall’inglese bear (orso), che nel gergo omosessuale indica un uomo paffutello dalla corporatura robusta; il termine 出柜 chugui “uscire dall’armadio” riprende l’inglese coming out of the closet, “coming out”.
Anche il più recente termine queer, inizialmente utilizzato in maniera dispregiativa e poi ripreso dal mondo LGBT per rivendicare il proprio orgoglio, cambiando definitivamente connotazione, è stato inglobato nella lingua cinese attraverso un calco fonetico 酷儿 kur. Il carattere 酷 ku, è un altro calco fonetico dell’inglese cool “figo”. Nel secondo gruppo troviamo quei termini che volgono lo sguardo al passato in ambito letterario, teatrale, storico e filosofico.
Espressioni che rimandano alla letteratura classica sono 断袖之癖 duanxiuzhipi e 余桃 yutao, rispettivamente “la passione della manica tagliata” e “la pesca rimasta”. L’espressione 玻璃 boli “vetro”, invece, deriva dal titolo del romanzo Crystal Boys dello scrittore taiwanese Pai Hsien-Yung, e a sua volta è una citazione tratta dal romanzo Il sogno della camera rossa. Queste espressioni tuttavia non sono utilizzate di frequente nella lingua parlata. Dalla cultura teatrale proviene il termine 反串 fanchuan: nell’opera di Pechino, indica gli attori che si vestono da donna per interpretare i personaggi femminili, mentre nell’opera taiwanese, indica le attrici che interpretano ruoli maschili. Il significato, in seguito, si è ampliato fino a comprendere le drag queen.
Tra le espressioni legate alla cultura cinese è inoltre interessante notare la risemantizzazione di termini già esistenti nel vocabolario. Il caso più noto è legato alla parola 同志 tongzhi, letteralmente persone con gli stessi (同) ideali (志). Tale termine fu in origine coniato per indicare i compagni di partito; in seguito, negli anni ’50, si diffuse in ogni classe sociale sostituendo appellativi come signore, signora, direttore. Alla fine degli anni ’90, degli attivisti gay di Hong Kong hanno preso a prestito questo termine per indicare persone con il loro stesso orientamento. Una rivendicazione lessicale a testimonianza di un cambiamento a livello socioculturale.
La nascita di neologismi è un altro elemento importante che riflette i cambiamenti della società e dà voce a nuove figure. Come abbiamo già detto la famiglia importantissima e la pressione sociale e dei genitori sui giovani è ancora molto forte, per questo molti uomini si sentono costretti a sposarsi e ad avere dei figli pur avendo un altro orientamento sessuale. Questi riti sono indispensabili per non far “perdere la faccia” alla propria famiglia. Da questi matrimoni infelici, tanto per i mariti quanto per le mogli, è nata una nuova figura sociale le 同妻 tongqi: parola coniata dall’unione di 妻子qizi “moglie” e gay 同志 tongzhi “moglie del marito gay”.
La nostra panoramica linguistica si conclude con una breve analisi del linguaggio di internet, mezzo di diffusione dello slang e luogo in cui e per cui nascono nuove espressioni e modi di dire. Il web rappresenta una piazza in cui i cittadini ordinari, gli ultimi della scala sociale, hanno una voce, un luogo in cui sembra possibile portare un cambiamento a livello sociale, in cui si parla di: protezione ambientale, diritti dei lavoratori, diritti degli animali. Tali attivisti del web si sono battezzati 草根网民 caogen wangmin, letteralmente “internauti delle radici d’erba”. Come riporta anche Yu Hua, quest’espressione è stata ripresa dall’inglese: in Cina “radici d’erba” aveva solo un significato, quello letterale, ma in poco tempo ha importato la nuova accezione dall’inglese grassroots che fa riferimento a coloro che sono ai margini della società, i disagiati. Anche 网民 wangmin è ripreso dall’inglese netizen, ossia “cittadini del web”, mentre 网虫 wangchong “i vermi del web” indica i geek, i frequentatori assidui della rete.
Come tutti gli utenti del web anche i cinesi prediligono la velocità e l’immediatezza che possono raggiungere grazie a questo mezzo e per questo cercano l’economicità del linguaggio. I numeri, per esempio, sostituiscono parole simili nella pronuncia: 5 wu significa “io” (我 wo), 1 yao significa “voglio” (要 yao), mentre 246 ersiliu significa “ho fame da morire” poiché somiglia a 饿死了 esile.
Il popolo della rete si caratterizza, inoltre, per ironia e spirito critico: da internet partono i cosiddetti meme, i tormentoni del web, ispirati a fatti reali. Questo è il caso dell’espressione “mio padre è Li Gang”: tale frase venne pronunciata da un ragazzo che aveva investito due giovani e che davanti ai testimoni aveva detto di essere il figlio di un alto ufficiale di polizia, pensando così di poterla fare franca. Adesso questa espressione è utilizzata per indicare un abuso di potere.
La pungente ironia del web si manifesta anche attraverso giochi di parole: la nazionale di calcio, 国足 guozu, nota perlopiù per gli scandali dei giocatori fuori dal campo, è stata soprannominata da chi li critica 国猪 guozhu “maiali nazionali”. L’ambiguità fonetica gioca sul suono zhu che nella Cina meridionale è pronunciato zu.
Passiamo, infine, ad analizzare il linguaggio di internet caratterizzato dalla presenza della censura. Il sistema che controlla ciò che è accessibile o meno in internet è stato ironicamente soprannominato il “Grande Firewall Cinese”, a volte oscura solo parole sensibili altre volte interi siti web. Per aggirare tale ostacolo gli internauti hanno adottato diversi tipi di stratagemmi. A volte è sufficiente usare le iniziali in pinyin delle parole (ad esempio, ZF sta per zhangfu “governo”); altre volte invece è sufficiente aggiungere alcuni simboli tra i caratteri di una parola (ad esempio, Bei.Da o Bei2Da). Altre volte ancora si ricorre all’uso di parole omofone per trasmettere messaggi in codice. Lo scorso anno quando l’arresto dell’artista Ai Weiwei era diventato un tema sensibile e quindi censurabile, i netizen che volevano mostrare il loro sostegno tappezzarono il web di aiweilai “amare il futuro”, la cui pronuncia assomiglia al nome dell’artista.
Introduciamo, infine, la presenza di due figure mitologiche di spicco del web. Il “granchio di fiume”, hexie 河蟹, è omofono di “armonia”, 和谐, concetto martellante della filosofia governativa e rappresenta quindi la censura: un sito rimosso si dice “armonizzato”. Il granchio è però ostacolato dal 草泥马 caonima “cavallo di erba e fango”. La parola caonima è nata per aggirare i filtri censori: infatti, anche se visivamente assume le sembianze di un docile alpaca, cela l’insulto “vaffanculo a tua madre” poiché omofono di 操你妈, e ora è usato come invettiva contro la madrepatria.
Il libro di Eveline Chao, in conclusione, è una risorsa che contribuisce a mostrare l’evoluzione del linguaggio e la varietà delle sottoculture che popolano la società cinese contemporanea. Ciò che emerge dalla lettura di Niubi! è che lo slang riflette i profondi mutamenti in campo economico, sociale e culturale che stanno interessando la Cina negli ultimi decenni, sembra infatti che il linguaggio raccolga le contraddizioni tipiche di un paese che sta attraversando grandi cambiamenti. Troviamo, infatti, termini ancora ancorati alla tradizione, letteraria o teatrale, accanto a neologismi coniati per indicare nuove tendenze, così come troviamo prestiti o calchi fonetici e semantici, soprattutto dalla lingua inglese. Vale la pena, infine, sottolineare l’importanza e le diverse funzioni del linguaggio di internet, un linguaggio, più di ogni altro, in continua e rapida evoluzione.
* Clara Longhi longhi.cla[@]gmail.com nel dicembre 2011 consegue la Laurea Magistrale in Traduzione Specializzata Inglese e Francese, presso la Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori di Forlì (Università di Bologna). Nel 2009 inizia a visitare la Cina, e nel 2012 grazie ad una borsa di studio europea frequenta un anno accademico presso la Beijing Foreign Studies University. Attualmente continua a dividersi tra Italia, Cina, l’ambiente della traduzione e della comunicazione.
**Questa tesi è stata discussa alla Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori di Forlì (Università di Bologna). Relatore prof.ssa Linda Rossato; correlatore prof.ssa Sabrina Ardizzoni.
[La foto di copertina è di Federica Festagallo]