La tesi Le imprese di Stato cinesi: nuovi attori strategici a livello globale analiza le imprese di Stato e le strategie geopolitiche cinesi per dimostrare comequeste ultime siano di fatto strumenti economici atti a raggiungere gli obiettivi di ordine strategico a livello globale attraverso contratti commerciali e acquisizioni.
Siamo partiti da tre quesiti: Qual è il modello economico a cui la Cina fa riferimento nell’approcciarsi all’esterno? Quali sono i principali obiettivi strategici della Cina? Quali sono gli strumenti economici attraverso i quali la Cina intende raggiungere tali obiettivi? Per rispondere ai quali abbiamo convalidato sette singole ipotesi.
Ipotesi 1: il modello economico che caratterizza l’economia cinese e attraverso il quale la Cina si approccia all’esterno è il capitalismo di Stato
Nella cultura economica cinese il ruolo dello Stato è quello di importante strumento per risolvere i fallimenti del mercato che portano a investimenti non produttivi. La sua funzione è quella di amministrare la strategia industriale del paese, facendo sì che essa non sia solamente orientata al profitto, ma anche all’ambito sociale e occupazionale. In questo lavoro è stata individuata una forte componente interna alla società cinese che appoggia un profondo intervento dello Stato nell’economia, con la giustificazione che l’economia cinese è ancora troppo fragile per essere gestita con le logiche di mercato e, inoltre, che lo scopo principale non deve essere il profitto, bensì il concetto di “armonia”, cioè un benessere diffuso per tutta la popolazione. Si afferma, quindi, che il capitalismo di Stato sia il sistema economico che caratterizza il l’apparato cinese, e che, conseguentemente, questa logica verrà applicata anche alle proprie strategie economiche in ambito internazionale.
Ipotesi 2: il soggetto di studio più importante, nonché lo strumento macroeconomico maggiormente utilizzato dalla Cina in ambito internazionale, è l’impresa statale (o State-owned enterprise)
Esistono vari strumenti economici riconducibili alla logica del capitalismo di Stato: essi sono principalmente le banche di Stato, i fondi sovrani e le imprese statali. Queste ultime risultano essere l’elemento più importante della triade, soprattutto per ragioni storiche, derivanti dalla lunga relazione fra le élite economiche cinesi con la leadership industriale Giapponese che ha creato un concreto gruppo all’interno nel Partito Comunista Cinese in grado di influenzare la politica economica verso la creazione di grandi conglomerati industriali. Il ruolo delle banche di Stato e dei fondi sovrani è principalmente quello di favorire la crescita delle imprese di Stato. Essi sono quindi degli strumenti secondari rispetto alle State-owned enterprises e, anzi, detengono un ruolo subordinato rispetto a quest’ultime.
Ipotesi 3: le imprese statali cinesi possono essere divise in due categorie: le “imprese statali fortemente centralizzate” (State-centered) e le “imprese statali ibride” (hybrid), ed entrambe le tipologie sono controllate dallo Stato, sebbene con modalità differenti
Si è potuto constatare come esistano varie correnti interne al Partito Comunista Cinese, le quali appoggiano strategie economiche differenti. I gruppi che oggi prevalgono nell’economia cinese sono il gruppo di Shanghai quello dei taizi (太子). La prevalenza di questi due gruppi su quello dei tuanpai (团派), più legato alle tradizioni politiche cinesi e rappresentante dei grandi apparati statali, ha permesso la creazione di nuove forme di imprese statali che si distaccano nettamente da quelle tradizionali, per adattarsi al mondo dinamico dell’economia globalizzata. Secondo il modello descritto dagli economisti Aldo Musacchio e Sergio Lazzarini, i quali individuano due tipologie di intervento statale, con lo Stato come azionista maggioritario (majority shareholder) o come azionista minoritario (minority shareholder), è stato possibile individuare, a sua volta, due diverse tipologie di impresa statale.
Dove lo Stato agisce come azionista maggioritario, si creano delle imprese statali “fortemente centralizzate” (strong State-centered soe), dove il governo continua a dominare sia le decisioni economiche sia l’educazione politica di chi ne fa parte e gli impiegati sono politicamente attivi ed ideologicamente fedeli al Partito. Il Comitato del Partito Comunista, infatti, svolge un ruolo chiave in queste imprese e tutte le decisioni importanti sono negoziate e discusse in riunioni tenute fra il Partito e l’amministrazione. Fanno parte di questa tipologia le industrie strategiche, come quelle dell’acciaio, quelle petrolifere e minerarie.
Dove lo Stato, invece agisce come azionista minoritario, nascono le imprese statali “ibride” (hybrid). Esse sono il vero punto di svolta della politica economica cinese. Frutto di un compromesso fra i tre gruppi politici descritti in precedenza, queste imprese incarnano lo spirito imprenditoriale del gruppo di Shanghai, conscio del fatto che le aziende cinesi debbano svilupparsi ottenendo la competitività tecnologica che spesso le separa dalle rispettive imprese occidentali. Le imprese ibride rimangono ancorate al controllo statale pur sperimentando un’indipendenza decisionale impensabile per un’impresa “fortemente centralizzata”. In questo modello, lo Stato e gli azionisti convivono perché hanno dei reciproci vantaggi. Gli azionisti e i manager gestiranno la parte economica dell’azienda, riuscendo a far sì che essa sia competitiva sul mercato e che evolva tecnologicamente. Il Governo, invece, manterrà una forte presa, garantendo all’azienda i legami politici essenziali, i fondi finanziari necessari per lo sviluppo, e le conoscenze diplomatiche per favorire le attività dei manager.
La divisione delle imprese statali in due realtà distinte è stata essenziale per dimostrare come il governo utilizzi l’una o l’altra tipologia d’impresa statale in base al contesto in cui esso opera e in base agli obiettivi che esso si propone.
Ipotesi 4: il primo obiettivo strategico della Cina è la proiezione in Asia Centrale
Nel secondo capitolo di questo lavoro, si è cercato di dimostrare come le scelte del governo cinese siano influenzate dal fattore geografico e geopolitico nella scelta delle strategie in politica estera. È, quindi, attraverso la lente della geopolitica che è stata individuata l’Asia Centrale come area di proiezione più importante per la Cina. Le ragioni di tale interesse sono dettate da due fattori: il primo è la necessità cinese di diversificare le proprie fonti di idrocarburi. L’energia è un elemento essenziale per la Cina, la quale intende massimizzare la propria sicurezza e il proprio benessere economico. È stato dimostrato, a tal proposito, come la regione centro-asiatica sia ricca di giacimenti di idrocarburi ancora poco sfruttati. Inoltre, le politica statunitense di contenimento marittimo nei confronti della Cina sul versante dell’oceano Pacifico denominata Pivot to Asia e il rigido controllo dei cosiddetti choke point (rappresentati dallo Stretto di Malacca e dallo Stretto di Hormuz) da parte di Washington, rendono l’approvvigionamento di idrocarburi attraverso le rotte marittime rischioso per la sicurezza nazionale cinese in caso di blocchi navali. Per questa ragione il governo ritiene più sicuro sviluppare una rete terrestre di gasdotti e oleodotti attraverso l’Asia Centrale.
La seconda ragione è puramente strategica: geograficamente, la Cina, viene suddivisa in due parti distinte: l’Heartland (cioè l’area costiera) rappresenta il cuore economico e demografico cinese, e le “regioni cuscinetto”, formate da Tibet, Xinjiang, Mongolia Interna e Manciuria, che risultano importanti perché il loro controllo fornisce alla Cina confini difendibili. L’Heartland, quindi, risulta sicuro quando è assicurato il controllo strategico delle regioni cuscinetto. Trasformare la periferia più instabile del paese in un perno economico e in hub energetico e quindi accelerare lo sviluppo della regione orientale per evitare una “linea di faglia” pericolosa, è, in sostanza, l’obiettivo principale della Cina.
Ipotesi 5: lo strumento privilegiato dalla Cina per raggiungimento degli obiettivi strategici nella regione dell’Asia Centrale è l’impresa statale “fortemente centralizzata”
Dopo aver elencato le ragioni strategiche che portano la Cina ad espandersi verso l’Asia Centrale, è necessario individuare i motivi per cui la Cina tende ad affidarsi a una certa tipologia di aziende statali. Come si è visto, le imprese protagoniste dell’avanzata verso la regione centro-asiatica sono le cosiddette national oil companies: la CNPC, la CNOOC e la Sinopec. Esse sono imprese create con fini “non commerciali” e contraddicono il concetto stesso di massimizzazione del profitto, essenziale nelle imprese del libero mercato. Queste imprese petrolifere agiscono nell’interesse del governo perseguendo obiettivi strategici, prive della pressione dovuta al bisogno di massimizzare i profitti tipica delle imprese capitaliste.
Per dimostrare l’ipotesi secondo la quale le imprese petroliferi tendano a perseguire obiettivi strategici più che economici, è stato preso in considerazione l’infrastruttura denominata Kazakhstan-China Pipeline. Il progetto attirò l’attenzione internazionale perché il valore economico dell’infrastruttura era quantomeno discutibile. Molti esperti affermarono che le riserve petrolifere non erano sufficienti per giustificare la costruzione di una tale infrastruttura. Degli studi stabilirono che risultava economicamente più vantaggioso trasportare il petrolio kazako via mare. In cambio dell’investimento economico infruttuoso la Cina ha ottenuto diversi benefici: ha aumentato la sicurezza energetica cinese diversificando le fonti ed evitando il pericolo del trasporto marittimo. Per un impresa ibrida, questo non sarebbe stato possibile, dato che, in questo tipo di aziende, il potere manageriale e imprenditoriale è molto più radicato e il profitto rimane uno degli scopi principali della loro strategia.
Ipotesi 6: il secondo obiettivo strategico della Cina è lo sviluppo tecnologico atto a colmare il gap di conoscenze che la separa dai paesi avanzati
Il bisogno degli stati di ottenere nuove tecnologie può creare tensioni economiche e geopolitiche che richiedono un nuovo ambito di studi: la geotecnologia. Essa enfatizza il ruolo dell’innovazione tecnologica nel trasformare l’ordine internazionale. Attraverso una serie di esempi pratici (stampanti 3D, shale gas, terre rare e “armi a energia diretta”), è stato possibile capire come la tecnologia influenzerà concretamente le scelte politiche degli Stati. È da questa prospettiva di studi che sono stati analizzati i tentativi cinesi di sviluppare la propria industria tecnologica, dapprima descrivendo la storia della politica industriale cinese, constatando che l’attuale strategia industriale sia incentrata sulla transizione da un economia di mera produzione a un’economia basata sull’innovazione.
Ipotesi 7: il raggiungimento degli obiettivi tecnologici cinesi viene ottenuto attraverso il controllo politico delle imprese statali ibride, le quali vengono incentivate ad operare le proprie strategie in Europa
Come è stato affermato nel primo capitolo, le imprese statali ibride (o national champions) sono una sorta di impresa privata la cui strategia generale è stabilita e orientata dal governo cinese. La figura che meglio rappresenta questa tipologia di imprese è quella dell’“imprenditore burocrate”, spesso a capo di tali aziende. Essi sono dirigenti legati politicamente al Partito Comunista Cinese ai quali verrà lasciata l’opportunità di arricchirsi (e quindi ricavare profitto per la compagnia), ma, allo stesso tempo, avranno l’obbligo di soddisfare le politiche del governo. In queste forme di impresa ibrida, gli “imprenditori burocrati” generano guadagni soprattutto grazie alle ingenti risorse sia materiali sia politiche donategli dalle istituzioni statali. Solitamente, questi tipi di imprese sono finanziate contemporaneamente da azioni provenienti dallo Stato e da istituzioni finanziarie. Le azioni possedute dallo Stato e quelle dalle istituzioni finanziarie corrispondono a una percentuale simile. Per questo motivo il potere decisionale risiede in entrambi gli schieramenti, rendendo le decisioni più razionali e interessate al profitto.
Successivamente viene identificata l’area che più di altre è oggetto degli interessi di tali imprese: l’Europa. l’Europa, infatti, rappresenta tutt’oggi uno dei poli tecnologico-industriali più importante al mondo, con realtà produttive uniche e presenti in tutto il territorio europeo. Secondo l’opinione nata dalla lettura delle fonti utilizzate per questo lavoro, l’Europa viene considerata dalla Cina come un modello industriale da seguire e imitare, ciò è confermato dal comprovato rapporto sempre più stretto venutosi a creare fra la Cina e vari paesi europei. La congiuntura economica negativa che ha interessato il continente europeo nel 2008 prosegue tutt’oggi, ponendo gli Stati europei in situazioni di grande difficoltà. Questa situazione di incertezza all’interno del continente ha reso ancora più appetibile, agli occhi del governo cinese, l’idea di incentivare le proprie national champions ad entrare nel mercato europeo. Attraverso degli esempi specifici, si è potuto comprendere quali siano i metodi attraverso i quali queste aziende operano in Europa: tramite l’acquisizione vera propria di realtà industriali già stabilite per assicurarsi un marchio conosciuto così da accrescere la fiducia nel consumatore e ottenere in breve tempo impianti industriali e commerciali (acquisitions); oppure aprire centri di ricerca e sviluppo sul suolo europeo, attraverso greenfield projects, per poter utilizzare personale autoctono altamente specializzato con esperienza nel settore.
Stando agli elementi evidenziati e ai presupposti forniti, è quindi possibile affermare che tali comportamenti da parte delle imprese cinesi facenti parte del modello “ibrido”, non si collochino all’interno di una comune logica di mercato, bensì siano soggette al controllo dell’entità statale, la quale, attraverso il sistema del capitalismo di Stato, traccia un’ampia strategia con obiettivi che si rifanno ad un ambito globale. Si conclude che:
1. Il modello economico al quale la Cina fa riferimento nell’approcciarsi al panorama internazionale è il “capitalismo di Stato”.
2. I principali obiettivi strategici che la Cina si pone sono la proiezione verso l’Asia Centrale e l’Europa.
3. Gli strumenti economici attraverso i quali la Cina intende raggiungere tali obiettivi sono le imprese di Stato.
Viene avvalorata la tesi secondo la quale la Cina utilizzi le proprie imprese di Stato come strumenti economici atti a raggiungere obiettivi di ordine strategico a livello globale.
*Luigi Donatelli luigidonatelli89[@]gmail.com studia come Esperto Linguistico per le Relazioni Internazionali alla Facoltà di Scienze Linguistiche e Letterature Straniere dell’Università Cattolica di Brescia, è interessato a tutto ciò che riguarda la Cina, dalla lingua alla politica.
**Questa tesi è stata discussa presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (Sede di Brescia). Relatore: prof. Enrico Fassi; correlatore: prof. Giacomo Cimetta Goldkorn.