Una vecchia villa in stile occidentale a Singapore, trasformata ne L’atelier (14,03 euro) raccontato da Yeng Pway Ngon, è il fulcro da cui si dipanano le storie dei pittori che la frequentano. China Files ve ne regala un estratto (su gentile concessione dell’editore Metropoli d’Asia). Il furgoncino correva spedito sulla strada, Hanguang sedeva accanto al guidatore; di tanto in tanto si scambiavano qualche frase mentre Jianxiong, seduto dietro, osservava in silenzio il paesaggio che scorreva fuori dal finestrino, con lo sguardo perso nel vuoto e la testa sottosopra che andava su e giù come i bracci sovraccarichi di una bilancia. Dopo che era rimasto per tre anni in un kampung malese ad allevare polli e fare dolcetti senza ricevere mai alcuna notizia, l’organizzazione gli aveva finalmente permesso di unirsi alla guerriglia.
Durante il primo anno Jianxiong trovava la sua situazione assurda e anche molto deprimente; aveva lasciato famiglia e fidanzata e affrontato i pericoli della clandestinità per allevare polli? Hanguang percepiva la rabbia e l’abbattimento di Jianxiong, gli diceva di avere pazienza, che i capi dovevano metterlo alla prova prima di assegnargli dei compiti. E come facevano per metterlo alla prova? Attraverso Hanguang? Era molto confuso.
Di fatto Jianxiong andava d’accordo con Hanguang e sua madre, quest’ultima in particolare lo trattava come un figlio. All’inizio le pagava un affitto simbolico, ma dopo tre mesi lei non lo volle più. "Viviamo insieme come una famiglia, come posso farti pagare l’affitto? Ci aiuti con il lavoro, e io non ti ho mai pagato!", gli aveva detto. Le premure e la sollecitudine della madre di Hanguang gli ricordavano quelle della sua. E appena pensava a sua madre si sentiva sopraffatto dai rimorsi.
Ma i rimorsi non servivano a nulla. Se avesse avuto modo di tornare di nascosto a Singapore! In quella vita, probabilmente, non avrebbe più avuto la possibilità di vedere sua madre, suo fratello e Meifeng. Dopo due anni al kampung, Jianxiong iniziò a dubitare che l’organizzazione sapesse perfino della sua esistenza, e la sua fede prese a vacillare; sperò addirittura che non venisse più nessuno. Quando finalmente aveva ricevuto il via libera per entrare nella giungla, invece di rallegrarsi era sconvolto, non sopportava di separarsi da Hanguang e da sua madre, da quella vita dedicata ad allevare polli che all’inizio considerava insulsa. Mentre il furgoncino si avvicinava ai bordi della giungla, il suo battito accelerò.
Il furgoncino si fermò accanto a un gruppo di alberi. Dopo aver fatto scendere Hanguang e Jianxiong, il conducente ripartì; i due uomini camminarono per una decina di minuti su un sentiero ingombro di sterpaglie quando d’un tratto videro camminare verso di loro un uomo di bassa statura, con un piccolo fagotto di pezza sulle spalle e in pugno un parang, un grande coltello malese. L’uomo si chiamava Yafeng, Hanguang gli presentò Jianxiong e dopo aver fatto i dovuti convenevoli se ne andò.
Hanguang rifece la strada all’indietro fino al punto in cui lui e Jianxiong erano scesi dal furgone, in attesa che l’autista lo venisse a riprendere, mentre Jianxiong s’incamminò verso la giungla dietro Yafeng. Zigzagarono attraverso la boscaglia e quando si avvicinarono al limitare della giungla era ormai il tramonto; i rovi lungo il sentiero erano sempre più fitti e ed entrarono nella giungla a colpi di parang.
Camminarono per un po’ fra gli alberi calpestando foglie secche poi, al tramonto, Jianxiong vide in lontananza due giovani con la mimetica e il fucile in spalla che venivano verso di loro. «Sono i nostri compagni!», e detto questo Yafeng agitò il braccio verso di loro. Erano ancora a una decina di metri di distanza quando d’un tratto Jianxiong sentì una serie di colpi di arma da fuoco. Sembrò che entrambi i giovani che venivano verso di loro fossero stati colpiti: caddero a terra con un grido uno dopo l’altro, quindi cercarono di strisciare verso un albero vicino per cercare riparo.
"A terra!", gridò Yafeng a Jianxiong in tono perentorio, mentre con una mano lo afferrava per la nuca e lo premeva con forza contro il terreno. Jianxiong sentì un’altra scarica di fucile e il fruscio delle pallottole che fendevano l’aria.
Frammenti di foglie sprizzavano nell’aria come fiori sbocciati nell’acqua. Non si era mai trovato in una situazione del genere, era spaventato a morte; non aveva neppure avuto il tempo di capire cosa stesse succedendo che già Yafeng lo spingeva nella boscaglia sulla sinistra. "Non stare dritto! Corri in avanti tenendo la schiena curva", lo sentì gridare aspramente alle sue spalle. Jianxiong, tenendo la schiena curva, si lanciò in avanti incespicando e barcollando; alle sue spalle esplodevano colpi di fucile; qualcuno lanciò un gemito. Forse Yafeng era stato ferito. Si girò a guardare. "Vai! Vai! Non fermarti, corri!", gli gridò Yafeng da lontano, e lui, tenendo la sua sacca, curvò la schiena e si lanciò a perdifiato attraverso la boscaglia.
Nel frattempo Yafeng estrasse la pistola dalla cintola, sparò due colpi nella direzione da cui veniva l’imboscata per coprire i due compagni feriti, quindi rotolò rapidissimo dietro un albero non lontano e sparò altri colpi per permettere a quei compagni di mettersi al riparo dell’albero. Uno dei due, che era stato colpito alla schiena, mentre cercava di alzarsi per correre verso l’albero fu colpito di nuovo alla testa e cadde a terra.
L’altro, che era stato colpito solo alla spalla, era già appoggiato dietro l’albero e, dopo aver fatto segno a Yafeng che intendeva andare verso la foresta, partì subito e si infilò zigzagando tra gli alberi, lanciandosi in avanti. Yafeng comprese le intenzioni del compagno: voleva attirare il nemico verso il loro campo minato. Colpi di fucile risuonarono ancora alla sua destra; con le spalle appoggiate al tronco cambiò il caricatore e inspirò, si girò a sparare una serie di colpi dal lato da cui proveniva l’imboscata, poi si lanciò verso l’albero di fronte a lui, pronto a correre nella foresta come il compagno, ma sentì una fitta al ventre: era stato colpito.
Yafeng rotolò su se stesso e tornò indietro al riparo dell’albero, con le mani strette sulla pistola e gli occhi fissi sul bosco alla sua destra. Avvertiva delle fitte lancinanti al ventre, il sudore gli colava dalla fronte agli angoli degli occhi, attraversava le guance e il collo e bagnava la maglietta. Sentiva il sangue scorrere a fiotti dalla ferita; teneva gli occhi fissi davanti a sé senza osare sbattere le palpebre. Dopo circa cinque minuti alcuni soldati dell’esercito governativo con i fucili in pugno sbucarono dalla boscaglia: erano in cinque, con l’elmetto e il corpo ricoperti di foglie.
Tre si precipitarono all’inseguimento del suo compagno, mentre gli altri due correvano verso di lui. Yafeng cercò di dominare il dolore al ventre trattenendo il respiro, nello spazio fra un albero e l’altro mirò al volto del soldato più lento rimasto indietro e sparò un colpo. Lo centrò, e quello cadde riverso. Mentre il soldato davanti si fermava per girarsi a guardare il compagno, fu raggiunto al collo dallo sparo di Yafeng.
Yafeng lasciò il suo riparo dietro l’albero e tenendo la mano premuta sulla ferita si diresse verso la boscaglia in cui era fuggito Jianxiong. Mentre avanzava barcollando fra gli arbusti, dopo un po’ sentì risuonare in lontananza alcuni scoppi; non poté trattenere una risata, che però si ripercosse subito sulla sua ferita: il ventre gli doleva come se lo stessero squarciando.
*Nato a Singapore nel 1947 da una famiglia di origini cantonesi, Yeng Pway Ngon esordisce agli inizi degli anni ’60 come poeta modernista. Scrittore, poeta e drammaturgo, ha animato diverse riviste letterarie e culturali di Singapore e collaborato come editorialista con diversi quotidiani di Hong Kong. Nel 1978 è stato arrestato e tenuto in custodia dalla polizia di Singapore, che lo sospettava di attività sovversive. Dagli anni ’80 si dedica a tempo pieno alla scrittura e alla libreria che ha…