Le iniziative cinesi lungo la Via della Seta aprono nuovi scenari sul fronte della sicurezza. La Cina si avvicinerà a una visione simile a quella statunitense e punterà a tutelare i propri interessi globali. Questo presuppone una maggiore collaborazione con i partner esteri. L’annuncio di una presenza militare cinese a Gibuti è a suo modo storica. Pechino parla di facility, non di base. Ma quella nel Corno d’Africa sarà di fatto la prima installazione al di fuori dei confini della Repubblica popolare. La posizione è strategica nell’ambito dell’iniziativa One Belt One Road, il progetto di rilancio della Via della Seta, sia terrestre che marittima.
La presenza militare servirà a tutelare gli interessi commerciali cinesi e dei partner a protezione della navi che transitano in quell’area. «La Cina si sta muovendo verso un concetto di potenza simile a quello statunitense» ha spiegato Nicola Casarini, Senior Fellow per l’Asia dell’Istituto Affari Internazionali, nel corso di un workshop organizzato da Azimut e Unioncamere Lazio per illustrare le linee guida del 13 piano quinquennale varate lo scorso novembre dal plenum del Partito comunista cinese.
Già nel preambolo al documento c’è un forte richiamo alle politiche di sicurezza e militari. La Cina punta infatti a difendere i propri interessi globali. Una concezione strategica che apre opportunità per le industrie del settore sicurezza e della manifattura altamente innovative, nelle quali l’Italia può vantare casi di eccellenza.
Il ragionamento può essere inserito non solo nel contesto del piano quinquennale che detterà le politiche di sviluppo cinese da qui al 2020, ma parte anche dal progetto di creare una rete logistica e infrastrutturale lungo la nuova Via della Seta che collegherà l’Asia orientale all’Europa, attraversando zone del continente asiatico divenute critiche sul piano della sicurezza.
Dopo quella di Gibuti, potrebbero sorgere altre basi. Il comune interesse a tutelare infrastrutture e snodi del commercio potrebbe inoltre portare opportunità per l’industria della difesa. L’ostacolo principale è l’embargo imposto sulla vendita di armi a Pechino dopo i fatti di Tian’anmen. Mancando un’interpretazione vincolante delle limitazioni i Paesi europei si muovono però un po’ in ordine sparso a seconda della lettura che danno dei margini di manovra.
Un’eventuale cooperazione per la sicurezza e obiettivi comuni in alcune aree sensibili come il Medio oriente, diventato molto più importante per Pechino con i progetti nel porto del Pireo, potrebbero portare ad approfondire il dibattito su tale interpretazione, in particolare per quanto riguarda i prodotti a doppio uso, militare e civile, la componentistica o i radar.
D’altra parte se c’è una direttrice che il piano quinquennale intende prendere è proprio quella dell’innovazione, declinata in diversi modi, dalla strategia internet plus volta a rendere l’industria del Dragone più interconnessa, alla tutela dell’ambiente, fino alla sicurezza. A loro volta le industrie italiane dovranno conciliare le opportunità offerte da un mercato che punta a espandere la domanda interna con i rischi di fornire tecnologia a potenziali concorrenti. Perché la nuova crescita cinese passerà anche per una maggiore qualità della produzione.
[Scritto per MF-Milano Finanza; foto credit: sputniknews.com]