Dar da bere a un Paese assetato dissalando l’acqua del mare. Nella costante ricerca di soluzioni contro la cronica siccità che affligge il suo Nord, la Cina investirà nei prossimi anni enormi quantità di denaro in oltre 200 progetti di desalinizzazione. Uno sforzo che coinvolgerà i principali centri di ricerca sulle tecnologie alternative nazionali e regionali, con l’obiettivo di rimuovere definitivamente uno dei principali ostacoli che il Dragone sta incontrano sulla strada dello sviluppo e della crescita economica.
Non a caso il 12esimo piano quinquennale che sarà adottato a breve dalla dirigenza comunista prevede che nel prossimo lustro si incrementi del 150 per cento la capacità di produrre acqua di buona qualità da fonti alternative, passando dagli attuali 800mila a 2 milioni di metri cubi al giorno. Specifici incentivi per la ricerca e fondi speciali per finanziare progetti e tecniche all’avanguardia dovrebbero garantire il raggiungimento di questo traguardo, considerato di fondamentale importanza per il futuro della nazione.
Impegnata in progetti di desalinizzazione fin dal 1958, la Cina ha realizzato i suoi primi impianti di larga scala nel 1975 ed è oggi uno dei Paesi all’avanguardia nel settore.
Una posizione che ha potuto raggiungere anche grazie alla stretta partnership che il governo ha voluto avviare con Israele, che ospita attualmente le tre più grandi centrali di dissalazione al mondo ed è leader indiscusso nel campo della ricerca. Con una joint venture recentemente istituita, la compagnia cinese Haier ha iniziato a lavorare insieme a diverse società israeliane alla realizzazione di un nuovo sistema di filtraggio basato non su un tradizionale impianto a monte ma su mini-apparecchiature installate presso gli utilizzatori finali: case, scuole, ospedali e uffici.
Le moderne tecnologie d’irrigazione dello Stato ebraico sono state importate nello Xinjiang per consentire un risparmio del 40 per cento dell’acqua usata in agricoltura e ancora, aziende israeliane hanno ricevuto in appalto la gestione delle acque reflue provenienti dagli impianti industriali nello Shandong, nell’Hebei e nel Sichuan. Ogni anno nutrite delegazioni cinesi composte da rappresentanti di società pubbliche e private visitano lo Stato mediorientale per incontrare tecnici, scienziati e ingegneri idraulici. A novembre le prime file della sala che ospitava la Watec, Water technologies convention, meeting biennale delle imprese leader del settore, erano occupati dai funzionari di Pechino.
Il vero fiore all’occhiello della partnership sino-israeliana è rappresentato dall’impianto di desalinizzazione di Tianjin, città sulla costa a un’ora e mezza da Pechino, l’eternamente assetata capitale, alle prese con un deficit idrico che ha ormai superato i 200 milioni di metri cubi d’acqua. Costata oltre 12 miliardi di yuan (circa 1,2 miliardi di euro), la centrale rappresenta un modello di alta tecnologia coniugata all’ecosostenibilità e al risparmio energetico.
Capace di generare quotidianamente 4.000 megawatt di elettricità e 200mila metri cubi d’acqua dolce, oltre a non emettere alcun odore né esalazione nociva, vanta un uso efficiente del carbone impiegato per la sua alimentazione, grazie al riutilizzo del vapore in eccesso derivante dal processo di distillazione dell’acqua di mare. Il sale ottenuto dalla struttura, infine, non viene ributtato tra i flutti come normalmente accade, ma impiegato per scopi industriali e chimici.
L’unico problema della struttura, è che, come sottolineato dai responsabili, al momento essa non è redditizia, funzionando a un quarto del suo potenziale. Come accade a molti altri impianti idroelettrici, la centrale non è infatti ben collegata alla rete nazionale e questo causa sprechi di corrente e di energia. «Il valore di questo progetto aumenterà quando l’economia della zona si svilupperà ulteriormente», ha spiegato Guo Qigang, direttore generale del distretto industriale di Tianjin.
«La desalinizzazione può portare vantaggi all’intera società, rafforzando la crescita delle industrie, riducendo lo sfruttamento delle acque sotterranee e contribuendo a migliorare il nostro rapporto con l’ambiente».
Nel Paese della Grande Muraglia, tuttavia, non tutta la comunità scientifica condivide questo ottimismo. Diversi studiosi hanno sottolineato come la desalinizzazione al momento non possa garantire prezzi realmente concorrenziali per l’approvvigionamento idrico: l’acqua presa da laghi, fiumi, sorgenti o faglie sotterranee ha un costo medio di 5 yuan al metro cubo, contro gli 8 di quella prodotta da un impianto di dissalazione.
Una differenza che non la rende appetibile per società e aziende.
Piuttosto che investire soldi in progetti per la distillazione dell’acqua marina, secondo gli scettici sarebbe meglio dirottarli verso programmi d’altro genere, finalizzati alle ricerca di fonti idriche alternative e al miglioramento degli impianti di sfruttamento esistenti. Alcuni ambientalisti non hanno mancato di sottolineare come la costruzione di centinaia di centrali lungo le coste per separare il sale dall’acqua risulterebbe dannosa per l’ambiente e aumenterebbe il consumo del carbone necessario al loro funzionamento, aumentando le emissioni di CO2.
E qualcuno ha suggerito che il problema della scarsità d’acqua potrebbe essere risolto semplicemente applicando i meccanismi di mercato ai suoi prezzi, che sono attualmente i più bassi al mondo a causa del tetto imposto dal governo.
Infine c’è chi ormai da tempo sta cercando altrove la soluzione al problema siccità. Tian Juncang, professore all’università di Ningxia, si dedica da anni al miglioramento dell’efficienza dei sistemi di irrigazione. Le sue ricerche si concetrano attualmente sull’uso congiunto di pacciame di plastica (una guaina artificiale che riduce l’assorbimento dell’acqua da parte del terreno) e dell’irrigazione a goccia, studiata per concentrare il liquido dove serve e limitare al massimo gli sprechi.
In un Paese in cui l’agricoltura assorbe il 70 per cento delle risorse idriche disponibili, sono in molti a pensare che la strada aperta dal professor Tian sia quella giusta da seguire. Lo scienziato assicura che un’irrigazione efficiente sarebbe sufficiente a risolvere la crisi idrica della Cina ma c’è chi considera le sue previsioni troppo ottimistiche. Anche dimezzando la quantità d’acqua usata per irrigare i campi, sottolineano i suoi detrattori, resterebbe la scarsità di liquido potabile. Un problema rispetto al quale la soluzione offerta dallo scienziato sarebbe poco più che una goccia nel mare di siccità che affligge il Paese.