In Scintille, storia clandestina della Cina (24 euro, Neri Pozza 2024) Ian Johnson dà atto di un cambiamento poderoso in essere: le voci di dissenso stanno incrinando la versione ufficiale, combattendo una delle grandi battaglie dell’umanità, memoria contro oblio. Una battaglia che darà forma alla Cina di domani. La recensione di China Files per GariwoMag.
“Per distruggere un popolo, cominciate dal distruggere la sua storia”. Questo – ammoniva il presidente cinese Xi Jinping – è successo all’Unione Sovietica, ma non accadrà mai alla Cina. Era il 2015 e, citando il poeta cinese Gong Zizhen, il leader di Pechino esplicitava la personale ossessione per il passato. D’altronde, appena assunto il potere due anni prima, Xi aveva scelto il museo nazionale per tratteggiare il cosiddetto “sogno cinese”: l’aspirazione verso un futuro di prosperità, ma anche di prestigio internazionale attraverso la sublimazione delle umiliazioni subite nell’800 per mano dell’occidente.
Per i leader cinesi, la storia giustifica il controllo del potere. “Senza il Partito comunista non ci sarebbe la nuova Cina” (meiyou gongchandang mei you xin zhongguo): lo slogan è ben visibile praticamente ovunque in Cina. Così come la storia ha determinato il successo della leadership comunista, la storia legittima il mantenimento ininterrotto del suo potere. Quindi anche di chi governa il paese oggi. Come scriveva nel 2014 il quotidiano ufficiale People’s Daily, “con Mao il popolo cinese si è alzato in piedi, con Deng Xiaoping è diventato ricco e Xi Jinping lo ha reso forte”.
Sono queste le premesse da cui parte Scintille, Storia clandestina della Cina (Neri Pozza, 2025) di Ian Johnson, Premio Pulitzer e per vent’anni corrispondente del New York Times dalla Cina. Un testo necessario, capace di scavare nelle problematiche attuali della seconda potenza mondiale, partendo dalla genesi: la mancanza di un’analisi critica degli errori commessi in passato dalla dirigenza comunista, che regge i fili del paese da quasi ottant’anni.
Come evidenzia Johnson, la storia viene infatti costantemente (ri)scritta dal partito, che si avvale di autori, registi, videomaker e giornalisti per imporre la propria versione dei fatti antichi e moderni nei libri, nei manuali scolastici, nei film, nei documentari televisivi, e perfino nei videogiochi. Dall’inizio della presidenza Xi abbiamo assistito alla chiusura di riviste indipendenti e festival cinematografici. Ma anche alla diffusione di nuovi musei, film patriottici e mete turistiche “rosse”, dove eventi e luoghi scenario di purghe, persecuzioni politiche e linciaggi vengono idealizzati per rinsaldare l’orgoglio del popolo cinese verso il passato rivoluzionario.
Eppure – fa notare l’autore – sono sempre più numerosi i cinesi “illuminati” che attribuiscono l’attuale deriva autoritaria del paese proprio al monopolio distorsivo del passato. Ai loro occhi, i problemi del presente hanno radici lontane: la campagna anti-destra di Yan’an, il Grande balzo in avanti, la Rivoluzione culturale, sono pagine buie della storia cinese di cui tutt’oggi si fatica a parlare. L’ultimo tentativo risale agli anni ‘80, una delle fasi culturali più dinamiche, interrotta violentemente con il massacro di piazza Tiananmen. Complice, una classe istruita connivente, disposta ad alimentare l’amnesia collettiva in cambio della promessa di stabilità sociale e prosperità.
A questa rimozione concertata dall’alto, si oppongono i “controstorici”. un ampio gruppo composto da alcune delle menti più brillanti della Cina: docenti universitari, registi indipendenti, editori di riviste underground, scrittori, artisti e giornalisti. Veri protagonisti del libro, l’autore li definisce “cronisti” per la capacità di immortalare quanto visto e ascoltato. Alcuni agiscono ai margini, come dissidenti. Ma la maggior parte è ancora dentro il sistema: evita tematiche politiche legate alla contemporaneità, concentrandosi sul passato. La missione dei “controstorici” parte infatti dal ricordo delle tragedie familiari sotto il regime maoista. L’obiettivo è però corale: salvare quella che Johnson chiama “memoria comunicativa”, ovvero i racconti individuali che finora il governo, manipolando la narrazione storica, è riuscito a impedire diventassero “memoria collettiva”. Ad animare i loro sforzi è un senso di giustizia e rettitudine, fortificato da vincoli di fratellanze e sorellanze. Così come è avvenuto per i giovani fondatori di Xinghuo (Scintilla) – rivista da cui il libro prende il nome – lanciata nel 1960 per fare luce sugli orrori della grande carestia, terminata con decine di milioni di morti per inedia. Una catastrofe provocata dalle scelte economiche di Mao, che la leadership non ha mai avuto il coraggio di contestare ufficialmente.
Il testo di Johnson, diviso in tre parti, è un viaggio nel tempo e nello spazio: dalle prime iniziative giornalistiche nel nordovest della Cina, la base rivoluzionaria di Mao, fino alle proteste di Hong Kong, nell’estremo sud, a cui è dedicata la terza e ultima sezione. Quella sul futuro. Le fibrillazioni nell’ex colonia britannica e le manifestazioni contro la politica Zero Covid, negli anni Venti del Duemila – secondo l’autore – evidenziano il potenziale di una trasformazione politica nel paese. Anche grazie all’avvento di nuovi mezzi tecnologici. Il formato digitale oggi assicura al lavoro dei cronisti ribelli una longevità impensabile per la generazione di Scintille – la rivista è stata chiusa subito dopo la pubblicazione, con la confisca di tutte le copie. Allo stesso tempo, la rete permette a chi sceglie l’esilio di mantenere un legame con la Cina, evitando l’emarginazione sperimentata dagli attivisti della precedente generazione.
In questo palleggio tra passato e presente, tra nordovest e sudest, si snodano i racconti personali degli storici clandestini: la documentarista Ai Xiaoming, la giornalista Jiang Xue, e la scrittrice tibetana Tsering Woeser, sono alcuni dei personaggi presentati da Johnson ad animare il flusso narrativo. Divisi tra alienazione e azione, i cronisti proseguono la loro lotta sociale senza certezza di successo, ma con la speranza di tramandare ai posteri la resilienza delle epoche passate. Perché, come chiosa l’autore, “sanno che vinceranno, non singolarmente e non subito, ma un giorno. Perché i nemici del partito comunista cinese non sono questi individui, ma i valori duraturi della civiltà cinese: rettitudine, lealtà, libertà di pensiero”. Loro non moriranno mai.
Di Alessandra Colarizi
[Pubblicato su GariwoMag]
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.