Reportage: Huawei e l’ascesa di una potenza cinese

In by Simone

Leader mondiale, la Huawei tra lavoratori e "combattenti", sperimenta il cloud computing e conquista fette di mercato internazionale. Di seguito il reportage all’interno dell’azienda di Shenzhen, Cina. Enterprise: il nuovo assalto al cielo

Alla Huawei piacciono le metafore. D’altronde fu Ren Zhengfei, fondatore dell’azienda nel 1988, ad avvicinare per la prima volta il nome Huawei al concetto di “spirito del lupo”. Erano i primi anni 90 e paragonando le multinazionale dell’epoca agli elefanti, Ren Zhengfei disse che la Huawei doveva, piuttosto, sviluppare lo spirito del lupo: grande fiuto, un istinto competitivo e un afflato di sacrificio e cooperazione.

Vent’anni dopo in una sala riunione del mega complesso di Huawei a Shenzhen – tanto per capirci sul peso nazionale dell’azienda in questione, l’uscita autostradale nei pressi del quartier generale si chiama proprio Huawei – alcuni manager dell’azienda cinese presentano la nuova unità business, chiamata Enterprise. Scopo: sviluppare un mercato aziendale relativamente a soluzioni basate sul cloud computing nonché servizi avanzati come la videopresence. Ed ecco una metafora di partenza: se il mercato ICT si sviluppa, cambiando in pratica il modo di concepire le soluzioni e il rapporto con la tecnologia da parte di tutti, c’è bisogno di qualcosa di radicalmente nuovo: “noi siamo questo nuovo sangue”, specifica il manager cinese, ma di stanza in Germania presso la sede dell’azienda a Dusseldorf.

La Huawei si pone così come il sangue e più in generale i muscoli, il lavoro infinito di particelle e cellule, la carne che macina intelligenza, la manovalanza che ha ormai raggiunto vette di qualità altissima all’interno del nuovo mercato globale. Manovalanza sui generis: l’azienda è composta per lo più da laureati, con grande presenza di dottorati e ricercatori. La Huawei è cinese: unisce quindi la categoria “quantità” consueta, ad un ritmo di innovazione che segna il passo non solo nel settore di competenza. La fabbrica del mondo cinese è ancora lì a produrre per tutti, anche se non mancano ormai delocalizzazioni in Vietnam o Bangladesh effettuate dalle stesse aziende del Celeste Impero, ma i cinesi hanno ormai compreso che nella filiera che va a creare valore, sono innovazione e i servizi, i tasselli a più alto rendimento economico.

Ed ecco la spinta sull’innovazione, con ingenti investimenti governativi per dare vita a brevetti (sono premiati al riguardo anche i carcerati), centri di ricerca e tutta una regolamentazione speciale sulla proprietà intellettuale (a questo proposito una nota: mentre i media nostrani sottolineano le copie dei vari Apple Store e Ikea, è bene notare che secondo i dati forniti dal team dell’unione Europea che collabora con il ministero della scienza cinese riguardo la proprietà intellettuale, su 40 mila cause annuali di plagio e copia, solo 3mila riguardano aziende straniere). La Huawei quindi unisce numeri a innovazione ed una qualità dei propri prodotti che ormai la posiziona tra i leader del mercato di riferimento, le telecomunicazioni. I numeri del resto non lasciano dubbi: l’asticella per il 2011 per la nuova business unit è fatturare circa 4 miliardi di dollari, confermando così una crescita che arriva ormai dal consolidamento di anni di attività: 1 miliardo di dollari nel 2009, 2 nel 2010 con l’unità Enteprise sempre più asset dell’offerta globale Huawei.

10 mila dipendenti, 6mila e passa impiegati nella ricerca e sviluppo (inaugurato appena un anno fa un centro di ricerca specializzato nei servizi wireless a Shanghai)e progetti già avviati con la municipalità di Shanghai per servizi basati sul cloud computing.

Cloud computing con caratteristiche cinesi

Il data center è bello fresco, nel clima torrido da sauna all’aperto della Shanghai di luglio: fa specie ai pazienti in pigiama che bighellonano tra i reparti vedere un nugolo di laowai, gli stranieri, muoversi tra diversi uffici di uno degli ospedali di Shanghai. Si tratta del primo esperimento di cloud computing associato ai dati ospedalieri cinesi.

Una prima sperimentazione che diventerà generale e sarà gestita interamente dall’azienda di Shenzhen. Computer senza torrette, ma solo con una piccola scatoletta dietro lo schermo, connessi in rete e pronte a pescare ogni tipo di dato in remoto, senza nessuna possibilità di salvare o accedere dati in locale. Il data center elabora, connette informazioni diverse con cui vengono gestiti ordini di medicinali e schede dei pazienti. A livello di manutenzione una bella svolta.

L’ospedale è nuovo ed è nella metropoli di Shanghai, ma i manager Huawei annunciano anche piani nazionali per sostenere la sanità rurale. E’ la Cina del resto, in cui anche un’azienda privata (o supposta tale) è legata a doppio filo alle esigenze nazionali. Tanto più se si tratta della Huawei, nata in seno al Esercito e investita quindi di un ruolo ancora più importante a livello nazionale. Un aspetto questo, messo da parte nel lancio dei nuovi servizi: l’ascesa della Huawei infatti si va a misurare con competitors internazionali. Azienda globale dunque, nel senso di mercato e di uffici sparsi in tutto il mondo, con personale del luogo, coadiuvato da management cinese.

Sanqi Li, presidente del Data Center and Media Network Product Line della Huawei, durante l’incontro con alcuni giornalisti occidentali presso la sede di Shenzhen, dopo un rapido giro turistico tra la città Huawei, dove alloggiano i dipendenti, tra punti di ristoro e svago (una moderna danwei, nome con il quale in Cina si indicano le unità di lavoro), già advisor del governo cinese sul tema del cloud computing, non ha dubbi: “il cloud computing, questo concetto di cui si parla e di cui si evidenziano pregi e difetti, sarà il futuro. Per questo Huawei ha deciso di investire in modo massiccio nella ricerca e nella sperimentazione di progetti pilota, come quello ospedaliero”. Dubbi sulla privacy e la sicurezza? “Certo, ma si procede, perché quello è il fulcro del futuro mercato”. E chi ne sta fuori, è perdente, non è lupo, anzi, finirà per essere divorato. Ritorna il sangue e il cambiamento generale di cui la Huawei si sente parte.

Un’offerta verticale, in tema di cloud computing, capace di offrire applicazioni (SaaS), Cloud Platform (PaaS) e IP/IT Network (IaaS) declinate su diversi settori del mercato: dal government e settori pubblici, ai trasporti, settore energetico, finanziario e corporate in generale (con annessa la nuova tecnologia per videopresence ormai a standard elevati di qualità e funzionamento). Un’avanzata non senza problemi: il mercato Usa, ad esempio, è tra i più ostici per la Huawei. Storie di scontri diplomatici tra Pechino e Washington e di un certo scetticismo del congresso Usa verso un’azienda considerata molto, troppo, vicina ai vertici politici di Pechino. Non è un caso che solo qualche settimana fa Fred Hochberg, presidente della Us-Export-Import Bank, ha accusato la Huawei di utilizzare un credito di 30 miliardi di dollari fornito direttamente dalla banca cinese per lo sviluppo, con un vantaggio non da poco sui propri competitor. Il tutto mentre la Huawei firmava in Italia un accordo d’intesa con la Telecom, di cui potrebbe rilevare, secondo voci insistenti da addetti ai lavori, la quota in Italtel.

L’animale Huawei

Un’azienda sui generis, dalla rigida disciplina e organizzazione gerarchica in cui però l’azionariato è gestito da migliaia di dipendenti. Il fondatore, quel Ren Zhengfei che riuscì a entrare nel PCC solo nel 1978 a causa dell’appartenenza del padre agli sconfitti del Kuomintang, detiene solo l’1,42% delle quote azionarie.

Discutendo a tavola con il management della Huawei è venuto fuori anche la famigerata “cultura del materasso”. E’ un classico degli uffici cinesi farsi un pisolino dopo la pausa pranzo, spesso consumata davanti allo schermo, sgranocchiando riso, verdure e carne da un lunch box dal costo spesso non superiore ai 10 RMB. Finito il pranzo, i cinesi appoggiano braccia e testa al tavolo e si fanno una pausa di mezzora di sonno completo. Secondo i dirigenti Huawei incontrati a Shenzhen, il materasso posto sotto la scrivania agevola questa abitudine rendendola più umana e godereccia. Una cosa in stile Google, non a caso nel centro di ricerca di Shanghai ci viene mostrato un calcetto. Non la pensano così alcuni dipendenti della Huawei che sulla stampa cinese hanno invece denunciato come il materasso, almeno agli albori dell’azienda cinese, servisse soprattutto a dormire in ufficio anche di notte, con ritmi di lavoro sempre più alti. Sarebbe questa la vera cultura del materasso.

Di fronte alla Huawei, del resto c’è la Foxconn, azienda nota in tutto il mondo per assemblare tra gli altri prodotti Apple e colpita da una serie di suicidi da record. L’ultima novità cinese riguarda proprio la Foxconn decisa a sostituire molti dipendenti con dei robot. Tornando alla Huawei, non sono pochi gli articoli anche della stampa cinese che tendono a descrivere la dura disciplina e l’alta competitività all’interno degli uffici.

Il Nanfang Zhuomo pubblicazione in cinese, nel dicembre del 2010 ha provato a raccogliere voci interne all’azienda, specie riguardo uno strambo accordo tra Huawei e lavoratori. Al momento della firma, il lavoratore poteva scegliere se essere combattente o semplice lavoratore. I combattenti avrebbero accettato di rinunciare ad alcuni diritti (straordinari, maternità) ma avrebbero avuto maggiori possibilità di fare carriere e avere scatti di salario, il lavoratore, invece, avrebbe mantenuto i diritti ma avrebbe avuto penalizzazione nelle promozioni e nei dividendi finali.

Una scelta molto discussa in Cina, su cui gli stessi lavoratori ebbero ad esprimersi in maniera diversa. Analoga inchiesta venne fatta nel 2008 dal Xinmin Zhoukan, il cui reportage sulla Huawei è stato tradotto dal China Labour Bulletin, una ong di Hong Kong. Spirito del lupo, cultura del materasso e anche la venerazione dei forti.

Scrive il Xinmin Zhoukan: “in una lettera pubblicata on-line, Ren Zhengfei ha esortato i suoi dipendenti a non preoccuparsi troppo dei loro difetti, ma costruire piuttosto una fiducia in se stessi, sviluppando i propri punti di forza. "Ho molti punti deboli io stesso e sono spesso preso in giro dalla mia famiglia, come se fossi ancora uno scolaro. Se non avessi lavorato così duramente per superare le mie debolezze, io probabilmente non sarei mai diventato amministratore delegato. Il mio principale punto di forza è sempre stata la capacità di concentrami su ciò che mi fa sentire forte" Ren insiste anche sul fatto che l’energia organizzativa debba essere concentrata sullo sviluppo della forza di manager e dipendenti”.

Un’organizzazione molto esigente, tutto sommato, data anche la grande attenzione internazionale, non peggio di quanto accade in tante aziende cinesi meno note. Discutendo con uno dei manager della Huawei, è venuto fuori un particolare non da poco: all’inizio della sua storia l’azienda avrebbe chiesto una consulenza, molto costosa, alla IBM in tema di organizzazione interna. “Molto interessante, mi dice il manager cinese, ma alcuni aspetti sono stati considerati eccessivamente dittatoriali dalla nostra dirigenza e sono stati scartati”. Niente male come giudizio di un cinese su un’azienda occidentale. D’altronde, come osserva uno dei lavoratori della Huawei nell’inchiesta del Xinmin Zhoukan, “la Huawei è un’azienda che venera i forti, è una compagnia molto realistica, così come Shenzhen è una città molto realistica. Del resto, conclude, noi viviamo in una società molto realistica”.

[Pubblicato su Wired.it nel mese di agosto]