«Siamo sgomenti». La condanna a otto anni di carcere inflitta da un tribunale cinese al geologo sino-statunitense Xue Feng è stata accolta così dall’ambasciata di Washington a Pechino. L’accusa contro di lui è di aver violato il segreto di Stato. Xue fu fermato dalla polizia nel 2007 per aver accettato di vendere all’azienda americana per cui lavorava -la IHS Energy- un archivio contenente informazioni sulle compagnie petrolifere cinesi. L’arresto ufficiale avvenne però soltanto nell’aprile del 2008. In questi due anni il geologo si è sempre difeso sostenendo che tutti i dati erano di di dominio pubblico al momento dell’acquisizione.
In aula al momento del verdetto era presente anche l’ambasciatore statunitense in Cina, Jon Huntsman. Gli Stati Uniti hanno seguito da vicino le sorti del connazionale. Durante la detenzione Xue ha potuto incontrare per trenta volte i funzionari americani e durante il processo ha accusato le autorità cinesi di averlo torturato nei mesi passati in cella. Una denuncia confermata dalle bruciature di sigaretta sulle braccia mostrate agli inviati dell’ambasciata durante le visite. Il caso, hanno riferito i media statunitensi, fu anche sollevato dal presidente Barack Obama nell’incontro dello scorso novembre con il suo omologo cinese, Hu Jintao.
«Trascorsi più di due anni in galera, ora che la legge cinese ha fatto il suo corso penso si arrivato il momento di rilasciare Xue Feng», recita una nota dell’ambasciatore. Gli fa eco John Kamm, direttore esecutivo della fondazione Dui hua (Dialogo). «Oggi è un brutto giorno per la giustizia in Cina», ha detto al quotidiano The Guardian, «che influenzerà chi vorrà fare affari in Cina».
Sia Xue sia la IHS ritenevano che il database fosse un prodotto regolarmente commerciabile, L’archivio fu secretato soltanto a vendita già avvenuta. Su tutta la vicenda pesa il vasto campo di argomenti cui può essere applicato il segreto di Stato: dalle informazioni sulle compagnie petrolifere, come in questo caso, ai nomi degli scolari morti nel terremoto del 2008. Con questa accusa sono infatti finiti in carcere attivisti come Huang Qi o Tan Zuoren.
Oltre al geologo cinese, formatosi a Houston e naturalizzato statunitense, sono stati condannati anche altri tre cittadini cinesi: Li Yongbo dovrà scontare sei anni in galera, mentre Chen Mengjin e Li Dongxu passeranno in cella i prossimi due anni e mezzo.
L’affaire Xue ricorda da vicino il caso Stern Hu, dirigente della compagnia mineraria Rio Tinto. A marzo il manager cinese, ma con passaporto australiano, fu condannato a dieci anni di reclusione per corruzione e commercio di documenti segreti
«Entrambi i casi», ha detto Joshua Rosenzweig intervistato dal New York Times, «ha mostrato data da Pechino alle risorse naturali soprattutto acciaio e petrolio». Secondo l’analista della fondazione Dui Hua «le risorse sono vitali per la crescita economica cinese e per mantenere la stabilità». Per questo, ha concluso, «sono una questione di sicurezza nazionale».
[Anche su Il Riformista del 6 luglio 2010]