La lega dei diritti degli scrittori, dopo aver vinto cause con Baidu e Google, prende di mira la Apple. L’azienda del compianto Steve Jobs metterebbe a disposizione un’applicazione che consente di scaricare illegalmente i libri. E in Cina se ricevi denaro sei responsabile.
Proprio così: cittadini del Paese che dalle nostre parti è sinonimo di contraffazione fanno causa a un’impresa occidentale perché avrebbe violato i diritti d’autore o contribuito a farlo. E che impresa: fondata da un guru così adorato in Cina che la sua biografia fake comparve nelle librerie il giorno dopo la sua morte (5 ottobre 2011), una settimana prima di quella ufficiale. Paradossi.
Loro si chiamano Zuòjiā wéiquán liánméng, lega dei diritti degli scrittori, e sostengono che gli Apple store mettano a disposizione applicazioni che consentono di scaricare illegalmente i libri. Avevano già fatto pervenire le proprie rimostranze al diretto interessato la scorsa estate, ma Apple li aveva ignorati. Così sono ricorsi alla Corte intermedia del popolo N.2 di Pechino, che ha accolto la loro causa. Chiedono rimborsi per 11,9 milioni di yuan (quasi un milione e mezzo di euro).
Alla Apple non commentano. La questione è sottile, perché la multinazionale impone agli sviluppatori di inserire negli “store” solo applicazioni in regola con il copyright. Ma con le stesse applicazioni vengono spesso offerti contenuti non in regola.
Bei Zhicheng, il portavoce del gruppo che rappresenta autori noti come il blogger-scrittore-rallysta Han Han, ha spiegato che “la legge cinese dice che finché ricevi parte del denaro, sei responsabile di controllare [gli articoli venduti nell’Apple store]”. E Apple guadagna il 30 per cento su ogni applicazione venduta. A questo punto, la “lega” vuole intentare anche una seconda causa rappresentando gli scrittori assenti dalla prima.
La notizia potrebbe sembrare l’ennesimo caso in cui si prende di mira il “cattivo comportamento” di una impresa straniera, occultando invece analoghe condotte da parte di imprenditori cinesi. Succede per esempio con gli scioperi: è più facile che trovino cittadinanza sulla stampa cinese quelli contro multinazionali straniere (valga per tutti il caso della Honda nel 2010), che quelli contro aziende cinesi.
Ma in questo caso, la Zuòjiā wéiquán liánméng non fa distinzioni: nel 2011, il più famoso motore di ricerca cinese, Baidu, è stato costretto a cancellare 2,8 milioni di opere dal suo portale di e-book, Wenku, proprio su richiesta del gruppo; precedentemente, nel 2010, Google aveva dovuto invece scusarsi pubblicamente per pratiche simili.
Oltre al complesso tema del diritto d’autore, ce n’è tuttavia un altro che va evidenziato.
Secondo Bei Zhicheng, “anche il governo vuole proteggere la proprietà intellettuale, ma alcuni aspetti della legislazione sono in ritardo, come le compensazioni che sono ancora basse. Quindi cerchiamo attraverso le cause di fare pressioni per migliorare le leggi”.
Non è la prima volta che gruppi di intellettuali o di artisti cercano di forzare un po’ i costumi, se non le leggi, cinesi.
La mente corre agli sgomberi forzati (di terre e di case) in cui i cosiddetti developer (speculatori immobiliari) agiscono spesso di concorso con le autorità. Prima del recente episodio di Wukan, passavano quasi inosservati nonostante le resistenze dei residenti, di solito contadini. Con gli sgomberi – alcuni riusciti e altri no – dei “distretti artistici” attorno a Pechino, la questione ha cominciato ad assumere enfasi mediatica (nel 2011, il documentario Il freddo inverno di Zheng Kuo ha raccontato una di queste lotte molto creative). Ora, anche se l’aggressione speculativa continua, le autorità tendono a vedere nei distretti artistici una risorsa.
La cultura è sicuramente al centro dell’agenda politica cinese. Pechino chiama l’intellighenzia alle armi per esercitare soft power nel mondo e creare un nuovo tessuto connettivo in patria. Per farlo, non basta controllare. Bisogna anche assecondare.
* Gabriele Battaglia è fondamentalmente interessato a quattro cose: i viaggi, l’Oriente, la Rivoluzione e il Milan. Fare il reporter è il miglior modo per tenere insieme le prime tre, per la quarta si può sempre tornare a Milano ogni due settimane. Lavora nella redazione di Peace Reporter / E-il mensile finché lo sopportano
[Scritto per E-il mensile. Foto credits: paolamalcotti.blogspot.com]