Quella sedia non più vuota

In by Gabriele Battaglia

Due anni fa, Liu Xiaobo non poté ritirare il premio Nobel per la Pace perché in carcere. Oggi, a poche ore dalla cerimonia che consacrerà Mo Yan, riconciliando la Cina con il Nobel, le voci che chiedono la liberazione dell’attivista si fanno più forti. E torna a parlare anche la moglie, Liu Xia, ai domiciliari dal 2010. Dicembre, periodo di premi Nobel, con i vincitori che volano in Scandinavia a ritirare i riconoscimenti. Domani in Svezia Mo Yan terrà il suo discorso per celebrare l’assegnazione del Nobel per la Letteratura che gli sarà consegnato lunedì.

La Cina si riconcilierà così con il premio, dopo la scena della sedia vuota a Oslo due anni fa, quando quello per la Pace andò all’intellettuale dissidente Liu Xiaobo, cui la firma in calce al documento Charta 08, che chiedeva il rispetto dei diritti umani e la fine del sistema a partito unico, costò una condanna a 11 anni di reclusione per “sovversione dello Stato”.

Trascorsi quattro anni dall’uscita del documento due lettere diffuse praticamente alla vigilia della cerimonia di consegna chiedono a Pechino la scarcerazione di Liu, sfidando le posizioni della dirigenza cinese che continua a difendere la condanna in base alle proprie leggi.

La prima è firmata da 134 premi Nobel tra cui il Dalai Lama, l’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu e la scrittrice statunitense Toni Morrison. La seconda lettera è invece un’iniziativa del China Pen Center, indirizzata direttamente a Xi Jinping che a marzo prenderà il posto di Hu Jintao al vertice dello Stato. Le firme sono quelle di 40 tra attivisti per i diritti civili come Hu Jia, scrittori, avvocati come Pu Zhiqiang, accademici ed esperti di diritto.

La condanna di Liu è sbagliata scrivono i firmatari che esortano il governo a liberare non soltanto il premio Nobel per la Pace ma tutti i prigionieri politici come primo passo verso la riforma politica. “La fine della detenzione per motivi politici è un segnale importate per una Cina che si muove verso un sistema politico civile”, continua la lettera, “i prigionieri politici non aiuto certo l’immagine del Paese che vuole accreditarsi come una potenza responsabile”.

Alle parole di scrittori e attivisti hanno fatto seguito oggi quelle della moglie di Liu Xiaobo, Liu Xia, confinata ai domiciliari sin dall’assegnazione del Nobel al marito. Approfittando della momentanea assenza delle guardie che presidiano la casa, allontanatesi tutte assieme per andare a mangiare, due reporter dell’Associated Press le hanno potuto fare visita.

Liu Xia ha così rilasciato la prima intervista in oltre due anni. Una conversazione veloce, il tempo di una pausa pranzo appunto. “Kafka non avrebbe potuto descrivere una situazione talmente assurda”, ha detto Liu Xia, visibilmente commossa, raccontano Alexa Olesen e Isolda Morillo, “Viviamo in un luogo assurdo. Pensavo di essere preparata emotivamente alle conseguenze del Nobel a Liu Xiaobo. Ma non mi sarei mai immaginata di non poter lasciare la mia casa dopo la sua vittoria”.

Una volta al mese, ha raccontato alle due giornaliste, Liu Xia può incontrare il marito in prigione, sebbene le visite le fossero state vietate per un anno per aver detto al mondo che Liu Xiaobo aveva dedicato il Nobel ai morti nella repressione del movimento di piazza Tian’anmen. Tuttavia nei colloqui non le è permesso parlare della propria detenzioneGli ho detto che sto passando quasi ciò che lui sta passando. Penso che abbia capito”, ha ammesso alla fine.

Tutto accade alla vigilia della consegna del Nobel per la Letteratura a Mo Yan, che spiazzando i detrattori che gli rinfacciavano le mancate prese di posizione contro il Partito e in favore della tutela dei diritti umani, aveva espresso il suo desiderio di vedere Liu libero il prima possibile. Parole cui tuttavia hanno fatto seguito quelle pronunciate a Stoccolma circa la censura necessaria. O meglio come dettp da lui stesso: "Non credo che la censura possa o debba prendere il posto della verità, ma credo anche che ogni tipo di diffamazione o diceria dovrebbe essere censurato". Ribadendo tuttavia di essere indipendente e di non voler essre forzato a fare qualcosa.

[foto credits: seattlepi.com]