Prove tecniche di soft power

In by Gabriele Battaglia

Nell’isola cinese di Hainan ogni anno si tiene il Boao Forum for Asia, la versione asiatica del World Economic Forum di Davos. Il meeting è stato aperto dal discorso di Xi jinping, che ha ribadito l’impegno cinese a mantenere la stabilità in tutta l’Asia. Puntando tutto su una sola arma: il soft power. Qual è il luogo dove il presidente cinese Xi Jinping incontra il technofilantropo miliardario Bill Gates, il primo ministro australiano Julia Gillard prende il caffè con il magnate-speculatore George Soros e il presidente messicano Enrique Peña Nieto si fa una Pepsi con il presidente della stessa Pepsi, Zein Abdalla?

La risposta è Boao Forum for Asia, l’alternativa asiatica al World Economic Forum di Davos. Qui, nell’isola cinese di Hainan, leader, top manager e lobbysti di livello mondiale si incontrano in questi giorni per parlare dei problemi e delle relative soluzioni per la crescita del continente. A incombere, la crisi nordcoreana.

I media cinesi danno grande risalto al discorso con cui Xi ha aperto i lavori del Forum, domenica: “A nessun Paese dovrebbe essere permesso di gettare una regione e persino il mondo intero nel caos per i propri interessi – ha tuonato il leader cinese – la stabilità in Asia deve ora affrontare nuove sfide, dato che questioni calde continuano ad emergere ed esistono minacce alla sicurezza di tipo sia tradizionale sia non tradizionale”.

In poche parole, c’è tutta la recente e meno recente linea politica di Pechino: esasperazione per le provocazioni di Pyongyang, priorità assoluta per la stabilità dell’area (che garantisce sviluppo) e un messaggio trasversale anche al “frienemy” (amico-nemico) statunitense. Chi dice infatti che quel Paese che getta “una regione e persino il mondo intero nel caos per i propri interessi” sia solo ed esclusivamente la Corea del Nord?

Intanto Pechino continua a gestire i propri rapporti con Pyongyang in un’apparente normalità. I giornali cinesi riportano che il flusso di uomini e cose al valico di Dandong procede regolarmente, anche se Global Times ospita l’esperto di cose coreane presso la scuola del Partito comunista cinese Zhang Liangui, che dice: “Il governo cinese chiede la pace nella penisola, ma ha però le mani legate con una Corea del Nord che già ha il potere di iniziare una guerra. Ciò che la Cina deve fare ora, oltre a chiedere ripetutamente il mantenimento della pace, è l’evacuazione di tutte le proprie imprese”.

Xi ha anche fatto riferimento alle controversie territoriali nell’area, sostenendo che la Cina intende “gestire correttamente le differenze e gli attriti con i Paesi coinvolti”, ma continuerà allo stesso tempo a portare avanti le proprie rivendicazioni. Il leader cinese ha avuto anche un incontro con l’ex Primo ministro giapponese Yasuo Fukuda (che presiede il Forum), tuttavia – riportano i media – i due non hanno discusso delle tensioni tra i due Paesi relative alle isole Diaoyu/Senkaku.

Nel quadro della progressiva marcia verso l’internazionalizzazione dello yuan, il South China Morning Post riporta che, a Boao, Cina e Australia starebbero discutendo la possibilità di commerciare nelle rispettive valute e non più utilizzando il dollaro Usa. A riferirlo sarebbero anonimi funzionari della People’s Bank of China. È almeno dai tempi della crisi finanziaria globale (2008), che Pechino affretta i tempi per emanciparsi dal dollaro Usa, divisa di cui non ha il controllo. Non dimentichiamo che di recente la Cina ha stretto con il Brasile un accordo analogo a quello che sarebbe in discussione al Forum.

Un articolo del Global Times legge invece Boao in termini di soft-power: il potere di persuasione, la capacità cioè, da parte di un Paese, di esercitare un ascendente morale e culturale sugli interlocutori. Inutile dirlo, da questo punto di vista la superpotenza Usa è ancora anni luce avanti alla Cina che, in genere, gode di pessimo marketing all’estero. La qual cosa urta particolarmente la suscettibilità cinese: a Pechino e dintorni sono infatti convinti di non essere “capiti” e che dietro ci sia una sorta di congiura morale anticinese.

La domanda che il giornale oggi si pone è: se Pechino organizza ormai eventi così di alto livello e anche così alternativi ad analoghi summit occidentali (in questo caso, a Davos), questo significa qualcosa dal punto di vista della capacità cinese di esercitare soft-power? Nonostante “gli applausi nei suoi confronti siano pochi – osserva l’articolo – il mondo è sempre più interessato alla Cina, e la sua attrattiva è in aumento. Se le voci critiche in Occidente sono aumentate, l’opinione globale sulla Cina è diventata tuttavia più varia. Il muro del sentimento anti-cinese viene gradualmente sollevato”.

Vero o falso che sia, il Global Times è convinto che prima o poi il mondo accetterà il punto di vista cinese al pari di tutti gli altri. Del resto “la Cina ha sempre sottolineato che abbraccia la pace. Così fanno gli altri Paesi. Gli standard di pace sono oggi determinati dagli interessi dei Paesi occidentali. Mano a mano che la Cina diventa più forte, i suoi interessi fondamentali saranno incorporati in questi standard. I dubbi diminuiranno e la Cina potrà usare il suo potere di persuasione più liberamente”.

Ha l’aria di un progetto di lungo periodo.

[Scritto per Lettera43; foto credits: washingtonpost.com]