Proteste Jnu, poesia e musica contro la repressione

In by Gabriele Battaglia

Se ogni paese ha i suoi canti rivoluzionari, gli studenti di Jawaharlal Nehru University (Jnu) che da settimane protestano contro la repressione governativa si stanno rifacendo a una tradizione poetica sublime, apparentemente religiosa e profondamente rivoluzionaria.  Qualche giorno fa, in una serata di «canzoni per la rivoluzione» un gruppo di ragazzi ha intonato diverse poesie in lingua urdu di Faiz Ahmed Faiz, intellettuale pakistano simbolo della lotta contro il regime islamico del generale Zia-ul-Haq. La poesia più celebre, scritta nel 1979, si intitola «Hum dekhenge» (noi vedremo, in urdu) e questa è la storia del perché viene cantata ancora oggi nel subcontinente indiano. Tutto.

Partiamo dal video degli studenti di Jnu, questo.

Ad un primo ascolto, senza alcuna conoscenza né del contesto né dei protagonisti che ruotano intorno ai versi di questa canzone (i componimenti poetici in urdu spesso vengono adattati e cantati, contribuendo alla diffusione del messaggio poetico e politico centrale nel ruolo della poesia come mezzo di protesta in Pakistan), la performance somiglia molto a una nenia un po’ melensa che apparentemente nulla ha a che vedere con la lotta degli studenti contro la destra estrema indiana.

«Hum dekhenge» è stata scritta nel 1979 da Faiz Ahmed Faiz, tra i principali animatori del Progressive Writers’ Movement, un movimento di intellettuali indiani e pakistani (fondato prima della Partition, quando era tutto British India) progressisti e di sinistra. Faiz, in particolare, si autodefiniva marxista e agnostico, rivendicando al contempo l’appartenenza alla comunità musulmana laica del nuovo stato pakistano.

Vicino agli ambienti della sinistra pakistana, Faiz con le sue opere combatté per tutta la vita contro le derive estremiste del paese, attraversando le stagioni turbolente del neo fondato Pakistan tra onoreficenze e periodi passati in carcere o in esilio. Nel 1977, col colpo di stato del generale Zia contro l’amministrazione della famiglia Bhutto, Faiz entrò nel mirino dei servizi di sicurezza del generale ultraislamico, che attraverso l’imposizione di pratiche anti-democratiche e censure nel nome dell’Islam continuava un processo di radicalizzazione della società pakistana di cui ancora oggi possiamo vedere le conseguenze nefaste.

Le opere di Faiz, sotto il regime Zia, vennero messe all’indice e lo stesso poeta, dopo la morte per esecuzione capitale eseguita dell’amico ed ex primo ministro Zulfikar Ali Bhutto (padre di Benazir Bhutto) nel 1979, scappò in esilio in Libano. Tornò a Lahore nella prima metà degli anni ’80, dove morì nel 1984.

Un anno dopo, 1985, in un auditorium di Lahore si tiene un concerto di Iqbal Bano, cantante di ghazal nota al grande pubblico soprattutto per le interpretazioni canore delle poesie di Faiz. Secondo alcune fonti, il permesso era stato accordato dalle autorità della capitale culturale del Pakistan per dimostrare alla popolazione, che adorava Faiz, la benevolenza del regime nei confronti di un intellettuale critico – i cui lavori erano ancora banditi – del generale Zia ma riconosciuto unanimemente come «il più grande poeta pakistano».

Il concerto marcava il primo anniversario della nascita di Faiz dopo la sua morte.

Da qualche tempo il generale Zia, nell’opera di «rigore dei costumi» esercitata sempre nel nome dell’Islam, aveva vietato alle donne pakistane di indossare la sari, uno degli abiti tradizionali del subcontinente, giudicato «non islamico».

Davanti a cinquantamila persone, Bano guadagna il palco indossando un sari nero. Prende il microfono, violino e tabla attaccano e lei inizia a cantare «Hum dekhenge, hum dekhenge, lazim hai ki hum bhi dekhenge» (vedremo, vedremo, è sicuro che vedremo). La folla inizia a urlare, applaudire.

Cinquantamila persone cantano l’intera poesia di Faiz con Bano, alternata da urla di «Inquilab zindabad» (viva la rivoluzione), che preannuncia il giorno in cui «le montagne dell’ingiustizia saranno soffiate via dal vento, come batuffoli di cotone».

La leggenda narra che le cassette dell’esibizione di Bano, che con i versi di Faiz denunciava l’oppressione del regime Zia (dandogli anche, tra le righe, dell’idolatra: il peccato più grande nell’Islam), furono duplicate e contrabbandate in tutto il paese.

Il generale Zia morì di morte naturale nel 1988, salutato dall’ex segretario di stato americano Schultz come «un grande uomo, un martire».

Ad oggi, il Pakistan ancora deve vedere quel giorno quando le montagne dell’ingiustizia saranno spazzate via. Ma in Pakistan come in India, i versi di Faiz cantati da Bano ancora oggi rappresentano la speranza di chi si oppone alla repressione.

La registrazione dell’esibizione di Bano a Lahore è su Youtube e, conoscendo ora il contesto e il significato che una canzone del genere ricopre nella memoria collettiva del subcontinente indiano, ora potete ascoltarla con altre orecchie.

 

[Scritto per East online]