Pillole di Cina – Balzac e gli imprenditori patriottici

In Uncategorized by Isaia Iannaccone

Di Forbes, la rivista americana di economia e finanza, nata poco più di un secolo fa e che porta il nome del suo fondatore non m’importa nulla. E per delle buone ragioni: i miei interessi e le mie tasche non rientrano in nessuna delle categorie delle quali il periodico si occupa: patrimoni, stime, classifiche legate ai soldi – tanti soldi -, miliardi e miliardari. Nonostante ciò, una volta un numero di Forbes l’ho letto, e con grande curiosità, quando il 10 maggio del 2021 ha pubblicato la lista dei dieci più ricchi fra i miliardari cinesi, specificando che, se negli USA sono 724 e in Europa 621, in Cina, di miliardari ce ne sono 626 le cui fortune ammontano in totale a 2500 miliardi di dollari. Vi chiederete perché mai abbia voluto conoscere questi dati: diamine, sono stato spinto dalla stessa morbosa curiosità che anima molti di noi tutte le volte che siamo in attesa dal barbiere (o dal coiffeur) e sfogliamo compulsivamente riviste di gossip e glamour, mai comprate in vita nostra e lette soltanto in quelle occasioni. Per me, poi, c’è un motivo in più: sempre, mi fiondo su tutto quello che capita sotto i miei occhi che riguarda il Paese di Mezzo. Forse sono malato di Cina…

Ritornando ai dieci Paperoni che prosperano con l’economia socialista di mercato, la somma dei loro patrimoni arriva a 447 miliardi di dollari. Si va dal primo in classifica, Zhong Shanshan (67 miliardi di dollari) – che ha abbandonato la scuola a 12 anni, e che dopo un passato da operaio e di venditore di pillole che stimolano l’erezione, è diventato il re delle acque minerali – a Yang Huiyan (decimo con 30 miliardi di dollari) che ha ereditato l’azienda immobiliare di famiglia, passando per Jack Ma (quarto in classifica con 48 miliardi di dollari) fondatore di Alibaba il gigante del commercio on-line, per Zhang Yiming, (settimo con 36 miliardi dollari) patron di TikTok, per Qin Yinglin (ottavo con 34 miliardi di dollari) che ha fatto fortuna con gli allevamenti di maiali, e altri imprenditori che completano il gruppo dei dieci riccherrimi cinesi.

Dopo avere preso visione della classifica di Forbes, mi sono chiesto: faranno una brutta fine? Eh sì, perché non sono pochi i cinesi che in un recente passato, all’apice della loro folgorante accumulazione di capitale, sono morti in modo misterioso o per mano della legge che ne ha condannati altri a pene severissime per reati vari. Faccio qualche esempio.

Il 20 dicembre 2013, Lam Hok, presidente del gruppo Brilliant specializzato nel commercio di tè pregiati, immobiliare di lusso, e proprietario di due splendidi castelli francesi del gruppo alberghiero Relais & Châteaux, pose la firma per l’acquisto del dominio viticolo Châteaux de la Rivière (64 ettari e castello avito nella Gironda) che produce un rinomato Bordeaux; per festeggiare il contratto, l’ex proprietario, James Grégoire propose di fare un giro di ricognizione dell’area con il suo elicottero; a bordo, oltre a Grégoire, che pilotava, e Lam Hok, salirono anche Pen Wang nuovo direttore generale dello Château de la Rivière, con il proprio figlio dodicenne; la moglie del magnate cinese, invece, all’ultimo momento rifiutò d’imbarcarsi dicendo che aveva paura dell’elicottero. Dopo pochi minuti di volo, il velivolo si schiantò nel fiume Dordogne, e tutti gli occupanti morirono. L’inchiesta francese decretò che le cause dell’incidente erano da ricercare nell’errore umano ma la vedova di Peng Wang, non convinta del verdetto, chiese per anni, inutilmente, la riapertura delle indagini.

Il 4 agosto 2014 fu invece un tappo di champagne a uccidere Dingxiang Loeng, un businessman cinese con la cinquantunesima fortuna di Hong Kong. La versione ufficiale narra che nel corso di un ricevimento ufficiale nella sua suite del fastoso Hotel Shangri-La di Hong Kong, davanti a 217 invitati (l’élite politica ed economica della città) accorsi per festeggiare il suo cinquantesimo compleanno, Loeng fu colpito alla tempia dal tappo di champagne che tra gli applausi dei convenuti veleggiava nell’aria a una velocità e un’energia insolite; ne conseguì un’emorragia cerebrale che ebbe esito mortale. L’inchiesta si concluse con la constatazione che lo champagne usato – un grand cru francese – era contraffatto perché conteneva un eccessivo tasso di diossido di Carbonio, il che spiegava la partenza a razzo dell’arma fatale, il tappo.

Il 9 febbraio 2015, Liu Han, un miliardario cinese, suo fratello e tre complici condannati con le accuse di «gang mafiosa, riciclaggio, e omicidio» sono stati fucilati. Nel 1997, Liu aveva fondato il gruppo Hanlong (costruzioni, immobiliare, risorse naturali) ma nel 2011, nella scalata per acquistare il gigante australiano dei minerali ferrosi, molto attivo in Africa, Liu Han fu messo sotto inchiesta, condannato e poi giustiziato.

Il 3 luglio 2018, in Francia, nel villaggio di Bonnieux (Vaucluse), il miliardario Wang Jian è morto all’età di 57 anni cadendo da un muretto alto una decina di metri; pare che vi si fosse affacciato con uno slancio eccessivo per scattare un selfie con panorama. La sua fortuna era stimata a 1,7 miliardi, ed era tra i fondatori della linea aerea Hainan che, grazie anche al suo impegno, fu trasformata da piccola compagnia regionale a colosso internazionale (HNA) con sviluppi nell’immobiliare, finanza, logistica e turismo, oltre che detentrice del 9,9% della Deutsche Bank, di un quarto di capitale degli Hotel Hilton, e partecipazione azionaria in altre compagnie aeree quali Aigle Azur (Francia), Virgin Australia (Australia), TAP (Portogallo) e Azul (Brasile). A causa dei debiti accumulati in queste acquisizioni internazionali, HNA fu messa sotto inchiesta dal Governo cinese. Quanto alla morte di Wang, l’inchiesta francese si è conclusa con il verdetto di «incidente»; un’indagine indipendente è stata successivamente finanziata da un altro miliardario cinese, Guo Wengui, e ha decretato che Wang Jian è stato assassinato dalle sue tre guardie del corpo cinesi che l’avrebbero gettato oltre il muretto e sarebbero successivamente rientrate in Cina. Per inciso, Guo Wengui che viveva a Pechino e si era arricchito con l’acquisto dei terreni su cui dovevano sorgere gli impianti sportivi per le Olimpiadi del 2008, entrò poi in contrasto con le autorità perché il prezzo dei terreni era lievitato di mille volte; in una recente intervista al canale TV Arte, ha affermato di essere stato imprigionato per un certo tempo e torturato; è poi riuscito a fuggire e ora vive a New York in un appartamento del valore di 68 milioni di dollari, affacciato su Central Park. I suoi beni bloccati in Cina ammontano a 70 miliardi di dollari.

Il 25 dicembre 2020, Lin Qi, alla testa dell’impero dei giochi video Yoozoo valutato1 miliardo di dollari, è morto avvelenato; l’assassino sarebbe stato un suo collaboratore ma a tutt’oggi il caso risulta ancora aperto.

A parte le morti sospette, ci sono poi i ricchi cinesi scomparsi dalla circolazione per periodi più o meno lunghi come Jack Ma eclissatosi per circa tre mesi a cavallo tra il 2020 e 2021 dopo alcune dichiarazioni critiche contro il Governo; e quelli condannati alla prigione o alla fucilazione.  Ecco alcuni casi emblematici. Nel 2008, il magnate Yuan Baojing fu fucilato perché accusato e condannato come mandante di un delitto di un altro uomo d’affari. Nel 2017, Wu Xiaowei, patron del colosso delle assicurazioni Anbang e proprietario del Waldorf Astoria Hotel di New York, è sparito alcuni mesi per poi ricomparire l’anno dopo ed essere condannato a 18 anni di prigione per corruzione. Nel settembre 2019, Ren Zhiqian, chiamato “il miliardario rosso dell’immobiliare” perché figlio di un membro fondatore del Partito Comunista Cinese, è stato condannato a 18 anni di prigione per «avere violato la disciplina di partito» (aveva dato del clown a Xi Jinping). Il 5 gennaio 2021 Lai Xiaomin, è stato condannato a morte per corruzione e bigamia dopo avere confessato in TV le proprie colpe. Sun Dawu, nell’agosto 2021 è stato condannato a 18 anni e a 600.000 dollari di multa per occupazione illecita di suolo agricolo al fine di sfruttamento minerario e per avere criticato le Autorità che nel 2019 avevano minimizzato la peste porcina africana.

Comunque, se anche dessimo per scontato che le morti dei ricchi cinesi nulla hanno di sospetto e quelli caduti nelle maglie della Giustizia avessero commesso crimini, ci sono però degli indizi che portano a prevedere che molti cinesi dal patrimonio spropositato continueranno forse a non passarsela bene: mi riferisco a due interventi molto pubblicizzati dalla stampa cinese del presidente cinese Xi Jinping. Il 17 agosto 2021, presiedendo il decimo incontro della Commissione Centrale per gli Affari Finanziari ed Economici, egli ha affermato che bisogna «promuovere la prosperità comune, requisito essenziale del socialismo e caratteristica chiave della modernizzazione alla cinese». Ha quindi focalizzato il suo intervento «sul ragionevole aggiustamento dei redditi eccessivi e sull’incoraggiamento a gruppi e imprese ad alto reddito per restituire di più nella società».

Questo richiamo del leader cinese a coniugare capitale ed equità sociale prima che la disparità di reddito tra gli oltre un miliardo e 400mila cinesi porti a conseguenze nefaste, mi ha richiamato un altro suo precedente intervento quando, il 13 novembre del 2020 visitando il Nantong Museum a Nantong (Jaingsu), tirò fuori dalla panoplia dei suoi strumenti affabulatori il concetto di «imprenditore patriottico». Si riferiva a Zhang Jian (1853-1926), bussinesman di epoca Qing, come «esempio da seguire». In effetti, Zhang, che per le sue abilità imprenditoriali era stato messo a capo di diversi settori industriali e commerciali governativi, nel 1913 aveva abbandonato ogni carica per fondare 370 tra collegi e scuole per la formazione dei giovani uomini d’affari «socialmente responsabili», ossia che avrebbero dovuto operare per lo sviluppo della Nazione e non soltanto per arricchire se stessi. Nel 1905 egli fondò anche il Nantong Museum, dedicato alla Storia e alle Scienze Naturali, che fu il primo museo pubblico cinese. Attualmente, il Zhang Jian Research Institute dell’Università di Nantong, diventato un centro di eccellenza per lo studio delle scienze sociali in Cina, è anche il centro dove si formano in queste discipline i quadri del Partito Comunista Cinese. Insomma, per fare crollare la piramide dell’ingiustizia, chissà se i capitalisti cinesi, sull’esempio di Zhang Jian e rieducati a suon di sparizioni, condanne, fucilazioni e reprimende varie, non diano prima o poi il buon esempio a tutti gli esseri umani che nel mondo si arricchiscono sfruttando altri esseri umani.

Che dire per terminare questa Pillola che ci ha fatto balenare davanti agli occhi un mondo di lucenti monete oscurato da preoccupanti ombre? Che impegno sociale e studio potrebbero fare diventare virtuosi creatori di ricchezza comune anche le persone dedite all’accumulazione di capitale? Data la mia formazione che mi spinge sempre a sospettare, per dirla con Balzac, che «dietro ogni grande fortuna si dissimula il crimine» (Le père Goriot), ne dubito; a meno che gli imprenditori patriottici, se esistono, non riescano a fare cambiare idea a me e a Balzac.

Di Isaia Iannaccone*

*Isaia Iannaccone, nato a Napoli, chimico e sinologo, vive a Bruxelles. Membro dell’International Academy of History of Science, è specialista di storia della scienza e della tecnica in Cina, e dei rapporti Europa-Cina tra i secoli XVI e XIX. È autore di numerosi articoli scientifici, di trattati accademici (“Misurare il cielo: l’antica astronomia cinese”, 1991; “Johann Schreck Terrentius: la scienza rinascimentale e lo spirito dell’Accademia dei Lincei nella Cina dei Ming”, 1998; “Storia e Civiltà della Cina: cinque lezioni”,1999), di due guide della Cina per il Touring Club Italiano e di lavori per il teatro e l’opera. Ha esordito nella narrativa con il romanzo storico “L’amico di Galileo” (2006), best seller internazionale assieme al successivo “Il sipario di giada” (2007, 2018), seguiti da “Lo studente e l’ambasciatore” (2015), “Il dio dell’I-Ching” (2017) e “Il quaderno di Verbiest” (2019)