Il 13 settembre Pechino ha approvato un controverso piano per aumentare l’età pensionabile, rimasta invariata dal 1978. Una manovra necessaria, ma difficile da attuare oltre che molto impopolare. Quindi potenzialmente “esplosiva” per il governo cinese col pallino della stabilità sociale.
Sono ovunque: nei parchi, nelle piazze, lungo i fiumi. Ballano in gruppo, giocano a scacchi, fanno ginnastica. Senza un lavoro a tenerli occupati, i cinesi di mezza età sanno bene come riempire le proprie giornate. Ora però il governo vuole spegnere la musica. Anzi cambiarla. In una Cina sempre più vecchia, tutta la popolazione – anche quella agée – è chiamata a sostenere l’economia nazionale in rallentamento.
Il 13 settembre Pechino ha approvato un controverso piano per aumentare l’età pensionabile, rimasta invariata dal 1978. A partire dal prossimo gennaio, per gli uomini il ritiro dal lavoro sarà portato da 60 a 63 anni nel corso di 15 anni, mentre per le donne con funzioni di quadro e le operaie l’età pensionabile sale rispettivamente da 55 a 58 e da 50 a 55 anni. Aumentano anche gli anni minimi di contributi pensionistici di base per i benefici mensili che a partire dal 2030 lieviteranno progressivamente da 15 a 20 anni al ritmo di un rialzo di sei mesi all’anno. Anche se sarà consentito andare in pensione su base volontaria con tre anni di anticipo, purché raggiunta la quota minima di contributi.
“Gradualmente” e “su base volontaria”: il lessico scelto dal governo lascia intuire come quella delle pensioni sia una manovra necessaria, ma difficile da attuare oltre che molto impopolare. Quindi potenzialmente “esplosiva” per la dirigenza comunista col pallino della stabilità sociale. Necessaria la riforma (approvata in soli due mesi) lo è per diversi motivi. Dal 2022 il gigante asiatico è in contrazione demografica. E a poco o nulla è servito l’allentamento del trentennale controllo sul numero dei figli. Secondo proiezioni dell’Economist Intelligence Unit, la popolazione cinese in età lavorativa passerà dai 976 milioni di quest’anno ai 938 milioni del 2030. Allo stesso tempo, l’aspettativa di vita in Cina è salita: se nel 1960 un cinese viveva in media 44 anni, nel 2021 poteva ambire alla soglia dei 78.
Sono numeri che avranno varie implicazioni non solo in termini di produttività e dunque di crescita economica, già scesa al 4,7% dall’11% di quindici anni fa. Stando all’Accademia delle scienze sociali cinesi, il sistema pensionistico pubblico, prima fonte di reddito per la maggior parte degli anziani, sarà a corto di fondi entro il 2035. Problema noto da anni ma diventato più pressante da quando la pandemia ha aggravato l’indebitamento delle amministrazioni locali. Posticipare l’età pensionabile a 65 anni – rimpolpando i contributi – si stima ridurrà il disavanzo del bilancio pensionistico del 20%.
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.