Pechino avvisa gli Stati Uniti, per quanto riguarda lo scudo anti missile coreano, celebra la Repubblica popolare e l’entrata dello yuan nel paniere del Fmi e prepara l’accoglienza per un ospite d’eccezione, il presidente filippino Rodrigo Duterte.Meno considerata dai media nostrani, la situazione nel Pacifico non accenna a migliorare. Il disimpegno Usa da altre zone e il suo concentrare le proprie energie in questa area del mondo ha creato tensioni notevoli tra i paesi della regione. L’annuncio, qualche settimana fa, di un sistema anti-missile made in Usa, utilizzato dalla Corea del Sud a partire dal 2017, ha fatto infuriare Pechino.
L’organo ufficiale del Partito comunista, il Quotidiano del popolo, non ha lesinato le critiche, arrivando a maturare una vera e propria minaccia nei confronti degli Stati Uniti: «pagherete», era scritto nell’editoriale.
Non si tratta di minacce da prendere alla leggera. Pechino si sente accerchiata, ha quasi tutti i paesi che si affacciano nell’area «contro» – benché Manila possa diventare un jolly per Pechino – nonostante i tentativi di riportare a una sorta di decenza diplomatica Pyongyang. Il rischio di incidenti ristagna in un’area preda di trasformazioni sociali che fomentano i nazionalismi, aumentando i rischi.
Lo yuan cinese entra a far parte del paniere Fmi
Di sicuro è un grande successo, ma quanto è prematuro e quanto gioverà a Pechino? È quanto andrà verificato nell’immediato futuro. Di sicuro l’inclusione dello yuan nel paniere dei diritti speciali di prelievo del Fondo monetario internazionale costituisce un fatto storico.
Lo yuan (rmb) è entrato dal primo ottobre a farne parte, un grande successo diplomatico della Cina che da anni tenta di ottenere questo status, specie dopo l’ingresso nel Wto (e con la speranza che permetta di ottenere anche lo status di «economia di mercato»). La notizia in Cina è stata accoppiata alle celebrazioni per la festa della Repubblica popolare, fondata il primo ottobre del 1949 da Mao.
Christine Lagarde, numero uno del Fmi, ha definito «una importante e storica pietra miliare» per i sistemi finanziari internazionali l’inclusione dello yuan quale quinta valuta nel paniere, poiché rappresenta il riconoscimento dei progressi fatti dalla Cina nella riforma dei suoi assetti finanziari e monetari. Nel paniere, lo yuan ha un peso del 10,92 per cento, alle spalle solo del dollaro (41,73 per cento) e dell’euro (30,93 per cento), mentre le altre quote sono in carico a yen giapponese e sterlina britannica.
Nel frattempo è stato annunciato il viaggio di Duterte in Cina. Il presidente filippino Rodrigo Duterte è finito su tutti i media mondiali in seguito alle sue sconsiderate dichiarazioni (non è la prima volta, dato che aveva già pesantemente insultato Obama, salvo poi chiedere scusa) nelle quali si è paragonato ad Adolf Hitler esprimendo il desiderio di «uccidere tre milioni di tossicodipendenti» per «porre termine al problema» nel paese.
Al di là delle considerazioni su una leadership ancora tutta da comprendere, dato anche lo straordinario seguito che sembra avere nel suo paese, Duterte pare avere le idee piuttosto chiare in tema di politica estera, rappresentando al momento un elemento imprevedibile nel complicato scacchiere politico del Pacifico.
Le Filippine sono alleate agli Stati Uniti e di recente proprio un contenzioso di Manila con Pechino ha portato a una importante sentenza della Corte Internazionale dell’Aja sulle isole contese da Filippine e Cina. Ma Duterte ha anche annunciato un importante viaggio proprio a Pechino (dal 19 al 21 ottobre), in quanto intenzionato a rivedere il sistema di alleanze nell’area. Pechino si è detta ben lieta di capire le possibii relazioni economiche, commerciale e chissà, in futuro, anche quelle militari. Washington è avvisata.
[Scritto per Eastonline]