Prima passeggiata
Indeciso fino all’ultimo, alla fine sono andato anche io a dare un occhio in via Wangfujing, cuore commerciale di Pechino, a pochi passi dalla più nota piazza Tiananmen. Questo il posto designato nella capitale cinese per la supposta rivoluzione del gelsomino in Cina. Domenica pomeriggio, ore 14.00, di fronte al McDonald’s.
Alle 13.15 calma piatta, molte persone a passeggio, agenti in divisa ai lati della strada, due pastori tedeschi con museruola e la temperatura che gironzola intorno agli zero gradi. Piano piano la via si è riempita di persone, in gran parte agenti in borghese. Diversi stranieri, molti armati di macchina fotografica, tutti lì e probabilmente non a caso.
Intorno alle 14.00 un po’ di tensione è salita, gli agenti (in divisa e non) cercavano di bloccare l’accesso in via Wangfujing ai passanti, specie a quelli con macchina fotografica in bella vista. Proviamo ad entrare da una via laterale, osserviamo una ragazza cinese portata via da un poliziotto, poi un tipo in borghese che teneva ferma un’altra ragazza cinese; quando le siamo passati accanto la tipa ha detto ad alta voce "They took my passport!". Lo vedo amica mia, ma non credo di poter far molto.
Qualche passo più in giù è toccato a noi: un agente mi piomba addosso, spinge via me e due stranieri che erano con me, in inglese stentato ci dice di far silenzio e andarcene via perché non si può entrare a Wangfujing. Facciamo il giro e rientriamo da un’altra via laterale, siamo nei pressi del McDonald’s, aria tesa ma sembrava più una partita di massa a guardie e ladri, una specie di nascondino. Agenti superagitati a controllare il traffico dei pedoni, alcuni stranieri fermati mostrano il passaporto, la stragrande maggioranza della gente fa finta di niente e osserva incuriosita nella speranza che "qualcosa" accada.
Noi ci chiudiamo in una libreria per una decina di minuti. Quando torno in strada saluto gli altri e mi dirigo verso l’uscita di via Wangfujing, direzione fermata metropolitana. Noto che gli agenti hanno sbarrato l’ingresso principale, molti cinesi sono bloccati dietro il nastro della polizia. In un modo o nell’altro le forze dell’ordine fanno capire che è ora di sgombrare l’area e ci spinge lontano da Wangfujing. Nei pressi della metropolitana molti curiosi si fermano per capire cosa sta succedendo, dei giornalisti svedesi fanno delle riprese e vengono fotografati coi cellulari dai passanti cinesi. Uno straniero mi chiede "what’s going on?". Alcuni anziani cinesi cercano di passare il nastro, un agente li ferma e alla domanda "perché?" lo sbirro taglia corto "non so".
A quanto pare un camion con idrante è passato a fare piazza pulita dei pochi rimasti, la polizia invita la folla incuriosita a circolare, come nei fumetti di Topolino. Una triste pagliacciata dove agenti e attivisti/giornalisti/curiosi eran lì tutti insieme e tutti per lo stesso motivo, rincorrendosi l’un l’altro, rubando scatti di foto, tutto in silenzio, quasi come un gioco.
Su una popolazione di quindici e passa milione di abitanti avere poche centinaia di persone in piazza (quasi tutti agenti in borghese e giornalisti stranieri) è ben lontano da ogni qualsivoglia idea di protesta o manifestazione. Né un fumogeno, né uno slogan, né una canzone, neanche un canto o uno striscione. E sembra che nel resto della Cina non sia andata molto meglio.
Seconda passeggiata
Ci sarà il tempo per capire le reazioni, per aggiornarsi sulle conseguenze. Nel frattempo la passeggiata a Wangfujing lu del primo pomeriggio di domenica 27 febbraio, ha mostrato la forza dell’organizzazione della polizia cinese, che ha reso vana la convocazione pechinese per la protesta del gelsomino.
Freddo cane, con nevicata notturna e aria gelida a ghiacciare quel poco di scoperto lasciato da berretti e sciarpe: alle 13.45 la strada, una via dello shopping non distante da Tienanmen, dove nel week end si riversa un alto numero di turisti, era stracolma di poliziotti, poliziotti con cani, poliziotti con telecamere, poliziotti in boghese, ma facilmente riconoscibili dagli auricolari o perché a scattare foto (solo agli occidentali) o perché intenti senza alcun pudore a riprendere piccoli gruppetti di stranieri.
I quali, analogamente, nel caso dei tanti reporter presenti, si fingevano turisti improvvisati. Chi si avvicinava al McDonald, in teoria il luogo della protesta, per scattare, timidamente, foto, chi andava e veniva alzando gli occhi, cercandone altri. Affari pessimi per il McDonald infarcito di poliziotti in borghese, travestiti da inservienti, è andata meglio alla libreria vicina, dove in molti si sono rifugiati alla ricerca di un po’ di caldo e uno spazio dall’alto per scattare altre foto.
Poi improvvisamente i camion per il lavaggio della strada hanno iniziato ad innaffiare la via, mentre le due entrate venivano chiuse. Qualcuno ha riportato che fosse impossibile a quel punto entrare, se non dopo un breve colloquio con richiesta di passaporto da parte delle autorità.
Chi era già in mezzo, in prossimità del McDonald, era invitato a sloggiare, in fretta. Chi aveva una camera veniva allontanato a braccia, mentre alcuni fotoreporter sono stati fermati e interrogati sul luogo. Via Twitter si è appreso poi che alcuni sono stati picchiati: uno di loro sarebbe anche finitio in ospedale (menato mentre riprendeva un suo collega, rilasciato dai poliziotti).
Una volta uscito da Wangfujing lu, anche le strade laterali erano chiuse. Alla domanda sulla causa, i poliziotti hanno risposto: c’è un’attività.
La situazione era tipicamente cinese, come spesso accade in occasioni del genere: una surreale tensione, a fronte del nulla assoluto.
Terza Passeggiata
Capitano delle volte in cui uno si sente dentro ad un film e oggi a Wangfujing mi sono sentito molto Leonardo Di Caprio, e non perché tenevo in braccio Kate Winslet con sottofondo “My heart will go on”.
Come in Inception, tutti gli stranieri informati del tentativo di Rivolta dei Gelsomini si aggiravano per la via dello shopping di Pechino con aria vaghissima, circondati da poliziotti in divisa o travestiti da “vaghissimo cinese della classe media che la domenica pomeriggio passeggia in compagnia di soli amici maschi confabulando in finti Ipod e facendo fotografie e video agli stranieri, tanto io sto solo passeggiando che ti credi che sono un poliziotto?”.
Così abbiamo partecipato a questa immensa messa in scena di guardie e ladri, con finti poliziotti a fare i finti turisti cinesi e finti turisti occidentali interpretati da giornalisti e curiosi.
Nel clima surreale di supercazzola collettiva, ai bordi dei marciapiede capannelli di poliziotti chiedevano i documenti ai giornalisti e fotogiornalisti più impavidi, dissuadendoli dal riprendere…il nulla!
Perché, ancora più surreale, il gran baccano di questo tentativo di insurrezione è stato creato esclusivamente dal dispiegamento di forze – qualche centinaio? un migliaio? – messo in atto dal governo di Pechino: Wangfujing, agli occhi del cinese che la passeggiata la domenica pomeriggio se la fa davvero, oggi risultava presidiata dalle forze dell’ordine senza motivo apparente, tanto che la risposta ufficiale da dare in caso di richiesta di spiegazione era “c’è una huodong, un’attività”, senza lanciarsi in giustificazioni.
Voglio fare una huodong la domenica pomeriggio nella via del passetto domenicale? La faccio!
Voglio aprire un cantiere davanti al McDonald due giorni prima? Lo apro!
Voglio evacuare tutta la zona perché ho deciso che oggi alle due di pomeriggio passiamo gli idranti e puliamo un po’ Wangfujing? E io ti evacuo!
L’impressione, tornando a casa, è amara ed affascinante.
Wangfujing, come microcosmo della Cina, mi è sembrata un incredibile set cinematografico, disposto e plasmato da un regista meticoloso ed esigente: migliaia di comparse, noi giornalisti occidentali compresi, ad animare il Truman Show dei Gelsomini, a presenziare ad una farsa annunciata.
Alla fine, meno male che non ha nevicato.