Su Weibo, il twitter cinese, #SparatoriaAParigi e #AttaccoTerroristicoParigi sono stati per due giorni gli argomenti più discussi in assoluto. La solidarietà è massima, ma qualcuno si chiede: “Se fosse la Cina ad avere problemi, farebbero lo stesso per noi?”. Intanto la Cina chiede di non usare due pesi e due misure. E’ di ieri la notizia che le autorità dello Xinjiang avrebbero ucciso 17 sospetti appartenenti a tre famiglie – tra cui donne e bambini – accusati di avere compiuto un attentato che circa due mesi fa ha lasciato 50 morti e 50 feriti in una miniera di carbone.
Dopo gli attacchi a Parigi, hanno fatto il giro del mondo i monumenti illuminati con i colori della Francia. La Cina non ha fatto eccezione. Si sono illuminate la torre della televisione a Shanghai e la porta sud di piazza Tiananmen. Gli otto uomini più ricchi del Paese hanno firmato congiuntamente una lettera di solidarietà a Hollande.
Didi Dache, una delle app più popolari per la ricerca di taxi, ha colorato di blu, bianco e rosso le icone delle macchine per localizzare il taxi più vicino. Persino uno dei più famosi cantanti rock cinesi Xie Tianxiao, ha fermato il concerto per chiedere al suo pubblico un minuto di silenzio.
Ma a livello politico, la situazione è molto più complessa. La Repubblica popolare ha più volte espresso la sua volontà di non intervenire all’estero, specialmente militarmente. Il presidente Xi Jinping ha subito espresso solidarietà alla Francia condannando gli attacchi come “barbari”. Il viceministro degli esteri Li Baodong ha comunicato ufficialmente che la Cina vorrebbe “un immediato cessate il fuoco in Siria”.
Nel frattempo in Patria in una video conferenza straordinaria il ministro della pubblica sicurezza Guo Shengkun – che è anche a capo dell’anti-terrorismo – ha chiesto a tutti i dipartimenti di “intensificare i sistemi di preparazione e controllo” e di tenersi “sempre pronti per salvaguardare la pubblica sicurezza e la stabilità sociale”.
Il terrorismo islamico fa paura anche in Cina. In Xinjiang è in corso da anni una guerra civile a bassa intensità. Gli uiguri, la minoranza etnica a maggioranza musulmana che abita la regione, denuncia dagli anni Ottanta le politiche repressive di Pechino. Il governo dal canto suo nega e accusa gli uiguri di favorire gruppi terroristici che lotterebbero per l’indipendenza della regione.
Alcune fonti governative parlano di alcune centinaia di cinesi, per la maggior parte provenienti dallo Xinjiang, che si sarebbero unite alle fila dello Stato Islamico per imparare a combattere. A luglio di quest’anno, la televisione di stato Cctv ha mandato in onda la confessione di un presunto militante uiguro fermato mentre stava progettano un attacco suicida in un centro commerciale. Completamente rasato, e già vestito da carcerato, diceva di essere stato formato in Siria.
Dal G20 di Antalya, in Turchia, la Cina ha di nuovo condannato le stragi di Parigi chiedendo unità nella lotta al terrorismo senza che vengano utilizzati “doppi standard”. Facciamo attenzione.
[Scritto per il Fatto Quotidiano. In copertina Badiucao]