Oggi Obama in Cina: Pechino è pronta

In by Simone

Intanto: è Aobama oppure Oubama? La traslitterazione cinese dei termini occidentali riserva sempre sorprese: il primo modo (aobama) è quello usato da sempre nella stampa cinese. Il secondo però è comparso fresco fresco nelle comunicazioni ufficiali della visita del presidente Usa. Qual è quella giusta, si chiedono oggi i media cinesi. La seconda che hanno detto, replicano gli organismi ufficiali.

Attesa, curiosità e sole splendente, seppure areato da un vento gelido: Pechino attende il presidente Usa. Da poche ore è rimbalzato la dottrina cinese di Obama da Tokyo. I governanti cinesi sono pazienti, lo aspettano qui per dare il loro parere. Per ora parla il Popolo. Per strada, sul web, quelli più in vista, i semplici cittadini. La voce più forte è senza dubbio quella di Ai Wei Wei, artista e attivista cinese, mente e designer del Nido d’Uccello, ma anche feroce critico del governo di Pechino. In occasione del terremoto del Sichuan si prese la briga di contare il numero dei bambini morti sotto il crollo delle scuole, in aperto contrasto con l’ambiguità delle informazioni ufficiali al riguardo. Da quel momento controlli, arresti e anche botte, tanto da fare finire l’artista sotto i ferri in Germania. La scorsa estate invitò ad un «tranquillo atto di rivolta» contro il filtro per internet. In occasione della visita di Obama ha scritto un appello sul Newsweek: «mi piace Obama perché rappresenta una speranza per l’America e per il mondo. E’ però inconcepibile che visiti la Cina senza mettere in agenda i diritti umani. Che ci importa della crescita economica quando non ci sono le protezioni di base per i cittadini?» Ai Wei Wei all’appello ha aggiunto anche una personale riflessione sullo stato dell’arte della comunicazione in Cina: «per noi è vitale portare in luce la verità ma, come altre società tiranniche la Cina non ha un sistema di giustizia indipendente. Quando la polizia impedisce a un testimone di presentarsi in un processo, significa che il nostro sistema legale è come un sistema mafioso. In più in Cina non esiste una stampa libera che pone domande». 

E le domande per ora le pongono i netizens cinesi. Xinhua, l’agenzia governativa, ha lanciato un forum in cui i cinesi possono effettuare le proprie domande al presidente Usa. Niente di che, anche le domande dei cittadini possono essere filtrate. Infatti si scade decisamente nel folklore: «ha una pagina Facebook?» – chiede uno – «Se le mando la richiesta possiamo essere amici?» O ancora: «quanto vino riesce a bere in una serata?» Oppure: «sua moglie indossa sempre abiti molto sgargianti e di stile. Li pagate voi o l’amministrazione americana?» Insomma.
Più interessante il forum di Global Times, quotidiano cinese in lingua inglese. Solitamente allineato, ma con alcuni picchi di intraprendenza (unico nel giugno scorso a parlare di Tiananmen). Nel sondaggio, secondo il 32% dei cinesi che hanno votato, tra Cina e Stati Uniti è in atto una cooperazione amichevole. Secondo il 27% i due paesi sono rivali. Per il restante: è dura definire i rapporti sino statunitensi.

Pechino aspetta tra giornalisti a caccia delle magliette Obamao ed edicolanti ormai abituati a vedersi spuntare davanti fotografi alla ricerca di una foto di qualche rivista con il faccione di Obama in prima pagina. Passeggiando nelle zone universitarie ci si aspetterebbe un poco più di profondità. Infatti: «parleranno di economia, naturalmente», dice un giovane laureando cinese, che precisa: «anche perché di diritti umani non ne parleranno. Credo che Obama sappia che quelle sono cose interne al nostro paese». Gli fa un eco un altro studente: «Obama è un fenomeno importante, impossibile negarlo. Storico, il primo presidente di colore degli Stati Uniti. Credo che i cinesi siano molto attenti al suo lavoro, per il futuro». Quanto al presunto razzismo dei cinesi, su Obama si annulla. Qualche settimana fa era scoppiato il caso di una giovane cinese di colore insultata pesantemente sul web, dopo un’apparizione in un programma televisivo, divenuto un caso mediatico. Il China Daily le dedicò una pagina intera con un titolo che voleva essere propositivo e si è rivelata una piccola gaffe (come ben sanno gli italiani): la cinese abbronzata che cambierà la nostra mentalità, hanno scritto a caratteri cubitali.

«Su internet è molto facile insultare, in realtà noi cinesi non siamo razzisti», precisa uno studente di economia. E poi via, ad attendere il primo cittadino di Mei Guo, gli States in cinese, letteralmente Belpaese. A segnare quel sentimento contraddittorio di odio e amore che lega la Cina alla potenza statunitense.

[Pubblicato il 15 novembre 2009 da Liberazione]

[Foto di Laia Gordi i Vila]