Nel pianeta di Izumi Suzuki

In Asia Orientale, Economia, Politica e Società by Agnese Ranaldi

«Alle donne ormai non resta che cercare di proteggere un pianeta saccheggiato dagli uomini». Nell’utopia lesbo-matriarcale di Noia Terminale, l’opera di Izumi Suzuki edita da Add editore e tradotta da Asuka Ozumi (pp. 216, euro 20), i rapporti tra i generi sono ribaltati o irriconoscibili ma le società aliene raccontate, per quanto disturbanti, hanno qualcosa di familiare. La fantasia divergente dell’icona del proto-cyberpunk giapponese offre a chi la legge le lenti per osservarsi per contrasto: il fascino fatale del progresso senza etica, la miseria dell’amore ai tempi del capitalismo e la violenza strutturale che soggiace alle relazioni impari.

C’è «Un mondo di donne e donne», in cui gli uomini sono relegati in luoghi marginali e inaccessibili («Al giorno d’oggi, per avvistarne uno, bisogna andare nella Zona di residenza speciale»). Una giovane si interroga sulle ragioni di questa segregazione finché non fa una scoperta sconvolgente («Come posso essere felice, ora che ho scoperto quella cosa») che rigurada il sesso, la violenza, ma anche la conoscenza come linea di confine tra il dolore e la salvezza.

I RACCONTI DI SUZUKI sono anche un invito a non cedere ai ricatti della società, come in «Picnic notturno». Mentre alcuni giocano a fare i terrestri e riproducono una società posticcia che ha proprio le sembianze della nostra (guardano film e leggono libri che li istruiscano su come comportarsi «da femmina», «da adolescente», «da padre e madre»), un anziano pone una quesito che avrà effetti dirompenti: «Perché vivete imitando (…) dei perfetti estranei? Se smetteste di farlo, sareste liberi».

Quando a interagire sono esemplari di pianeti diversi, Suzuki sa raccontare, oltre a una violenza di genere spesso normalizzata, la violenza del progresso realizzato a costi psicologici ed emotivi elevati. La chiave per intuire il rapporto tra Sol ed Emma (lui un alieno del pianeta Mir, lei una terrestre) è proprio nelle prime pagine del racconto «Dimenticato»: «‘Non capisco proprio cosa ti passi per la testa’. ‘Non capisci perché sei ritardata’, rispose lui serio».

La narrazione si sposta agilmente dal contrastato rapporto tra i due alla critica sferzante di Sol alla società di Emma. Raccontando di Mir dice: «Siamo tutti più rilassati, viviamo di agricoltura e allevamento. C’è un ottimo clima, nessuno vuole occupare posizioni di rilievo e, se lo facciamo, è solo per dovere.

MA NESSUNO è così malato da tornare a casa soltanto due giorni alla settimana come fa il marito di tua sorella». L’idilliaco mondo alieno, però, si rivelerà ben presto per quello che è, così come Sol e le sue promesse. Chi legge si chiede fino all’ultimo perché Emma si ostini a non assecondare le sue intuizioni finché è in tempo.

Suzuki rende l’assurdità del nostro mondo, che ha normalizzato l’ingiustizia sociale e di genere al punto da non saperla riconoscere più. E dall’altra sponda del Pacifico riprende, forse inconsapevolmente, l’invito della femminista statunitense Audre Lorde a dare un nome a ciò che non ha nome affinché possa essere pensato e messo al servizio del presente: nella fantasia di Suzuki, infatti, risuonano la sensibilità sociale e i temi della controcultura di grandi contemporanee della fantascienza come Ursula K. Le Guin e Octavia E. Butler.

Nonostante una vita sregolata e contrastata (la scrittrice si è tolta la vita a 36 anni, impiccandosi con dei collant davanti alla figlia) la sua penna irriverente invita a riconsiderare le convenzioni sociali attraverso scenari futuristici che ancora oggi, dopo quasi cinquant’anni e nel bel mezzo della rivoluzione tecnologica dell’IA, servono lo scomodo fine della critica sociale.

Di Agnese Ranaldi

[Pubblicato su Il Manifesto]